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Brexit, il governo britannico è in stato confusionale. Ecco la carta che si può giocare
Finalmente ci siamo. David Davis, Segretario di Stato per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, e Michel Barnier, Commissario Europeo responsabile dei negoziati sulla Brexit, danno il via ai colloqui, a Bruxelles. Tre mesi dopo l’attivazione dell’ormai famoso “Articolo 50”, avvenuta il 29 Marzo, il Regno Unito è pronto ad iniziare il percorso che dovrebbe portare al grande divorzio.
Secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, l’incontro odierno tra Michel Barnier e David Davis durerà tutta la giornata (dalle 11 alle 18,30) e vedrà i diplomatici di Bruxelles esporre le linee guida principali delle negoziazioni: accordo di separazione e, solo in un secondo momento, avvio delle trattative per un nuovo accordo commerciale.
Per ora, quindi, i colloqui si concentreranno principalmente su tre questioni di fondamentale importanza: 1) diritti dei cittadini Europei nel Regno unito e vice-versa; 2) conti totali del divorzio (che, secondo quanto riportato dal Financial Times, potrebbero ammontare a circa 100 miliardi di euro); 3) il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda.
Mentre da un lato la Commissione Europea ha già avuto modo di rendere pubblici i suoi “documenti di posizione” riguardo i primi due punti, dall’altro il governo britannico, probabilmente a causa del terremoto elettorale, non è riuscito ad inoltrare a Bruxelles i propri “documenti di sintesi”.
Oltre alla mancanza di una vera e propria “Brexit strategy” è interessante notare come David Davis incontrerà Michel Barnier due giorni prima della cerimonia di inaugurazione del parlamento britannico (evento meglio conosciuto come “Discorso del Sovrano”).
Nel corso di questa cerimonia, che avviene ogni anno e segna l’inizio delle attività parlamentari, la Regina leggerà l’agenda legislativa del governo May.
Come ricorda molto bene l’Institute for Government, storicamente questa inaugurazione è sempre stata considerata equivalente ad un voto di fiducia nei confronti dell’esecutivo. L’ultima volta in cui un governo non è stato in grado di ottenere i favori del parlamento era il lontano 1924. L’ironia della sorte vuole che questo esecutivo fosse il governo guidato dal conservatore Stanley Baldwin. Dopo aver deciso di andare ad elezioni anticipate Baldwin perse la maggioranza assoluta. Subito dopo essere stato sfiduciato, anche dal parlamento, Baldwin decise di dimettersi immediatamente. Poco dopo, il partito laburista di Ramsay MacDonald riuscì a formare un governo di coalizione con i liberali guidati da Herbert Henry Asquith. Contrariamente alla situazione instabile di oggi, la coalizione tra MacDonald e Asquith garantì al governo laburista-liberale una maggioranza assoluta di 23 parlamentari.
Ma torniamo al 2017. Poiché il partito conservatore non ha ancora ufficialmente raggiunto un accordo finale con il Partito Unionista Democratico nord irlandese (DUP), molti analisti reputano ancora possibile un voto di sfiducia nei confronti del governo appena nato.
Da un punto di vista puramente tecnico, l’alleanza tra Tories e DUP non sarà una coalizione di governo formale. Stando a quanto emerge dalle negoziazioni, il DUP sosterrà l’esecutivo solamente dall’esterno, garantendo a Theresa May un appoggio di “supporto senza partecipazione” (“confidence and supply agreement”).
Il possibile voto di sfiducia porterebbe invece alla formazione di un nuovo esecutivo, entro 14 giorni. Nel momento in cui nessuna delle forze politiche in campo avrà la forza di formare un nuovo governo, è previsto il ritorno alle urne.
In altre parole il segretario di stato David Davis inizierà le negoziazioni sulla Brexit con la Commissione trovandosi in una posizione poco invidiabile. Nel caso in cui ci fosse un voto di fiducia favorevole a Theresa May ed un accordo con il Partito Unionista Democratico nord irlandese, l’attuale governo avrebbe una maggioranza di soli 3 parlamentari.
Nonostante la maggioranza, David Davis e Theresa May dovranno negoziare con Michel Barnier e con gli altri 27 paesi europei tenendo in considerazione tutte le resistenze alla Brexit interne al partito conservatore. Come la storia ci insegna, è risaputo che, fin dai tempi dell’ingresso del Regno Unito nella Comunità Economica Europea, avvenuto il 1 gennaio 1973 per volere del governo conservatore di Edward Heath , i “Tories” sono sempre stati fortemente divisi sulle tematiche europee.
Ad oggi, Theresa May e David Davis si trovano in mezzo a quattro fuochi amici. Da un lato dovranno confrontarsi con l’ala più euroscettica del partito conservatore, che invoca l’uscita sia dal mercato europeo comune che dall’unione doganale comune; dall’altro dovranno tenere sotto controllo tutti quei parlamentari che preferiscono una “soft Brexit”, ovvero un accordo simile a quello attualmente in vigore tra l’Unione Europea ed i tre paesi dell’Area Economica Europea (Islanda, Liechtenstein e Norvegia). La terza fazione con cui dovranno dialogare sarà quella capitanata da Ruth Davidson, leader dei conservatori scozzesi che, nel corso del referendum sulla Brexit, votò contro l’uscita dall’Unione. L’ultimo gruppo che potrebbe creare problemi è legato al DUP che, nonostante una forte vocazione euroscettica, si oppone apertamente al ritorno di controlli di frontiera con la vicina Repubblica d’Irlanda.
Negli ultimi giorni, questo stato confusionale è stato incarnato alla perfezione Philip Hammond, attuale Ministro delle Finanze. In un primo momento, Hammond aveva spiegato che le urne avevano parlato chiaro: i cittadini vogliono che il governo assuma un comportamento pragmatico. Ieri, invece, in un’intervista alla BBC, ha rassicurato che il Regno Unito è pronto ad uscire sia dal mercato comune europeo che dall’unione doganale. In netto contrasto con il mantra di Theresa May, Hammond ha poi anche sottolineato come un non accordo sia molto peggiore di un accordo negativo. Insomma, la partita è ufficialmente aperta.
Una cosa è però certa: se David Davis volesse iniziare le negoziazioni rafforzando l’attuale debolissima posizione di Theresa May, dovrebbe proporre a Michel Barnier l’immediato riconoscimento unilaterale dei diritti dei cittadini europei che vivono nel Regno Unito. Viste le grandi difficoltà del momento, questa mossa permetterebbe al governo di aprirsi un maggiore spazio di manovra ed affrontare il voto di fiducia di mercoledì con meno apprensione.
Twitter @cac_giovanni