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La mobilità sociale, Einaudi, la competizione. E il Sud in un mondo a parte
Francesco Bruno, ottima penna di Econopoly, settimana scorsa ha concentrato la sua attenzione sulla scuola come fattore di mobilità sociale. Bruno coglie nel segno. La scuola è decisiva. È il solo strumento per dare una chance – non la certezza, ahinoi – alle nuove generazioni. Sentite cosa scrive Luigi Einaudi nelle “Prediche inutili” (Einaudi Ed., 1959): “Soltanto insegnanti capaci danno garanzia che i giovani siano, dopo esame rigoroso e imparziale, promossi meritatamente dall’uno all’altro grado della scuola… Sterminati i programmi, troppe le discipline insegnate ed alternate ad ore; gli insegnanti affannati a correggere i compiti, a leggere o far leggere testi antologici, non hanno tempo alla conoscenza intima dei giovani”.
Una volta assodato che la preparazione scolastica degli studenti italiani ha una variabilità mostruosa all’interno delle singole regioni – svantaggiando clamorosamente gli studenti del Sud, che vengono apparentemente “aiutati” con bei voti di maturità, che nella vita valgono ben poco – è interessante guardare ad alcuni dati comparati tra Italia e Stati Uniti di recente presentati alla Fondazione Rodolfo Debenedetti.
L’American Dream, il “sogno Americano” è agli occhi di tutti sempre funzionante. Negli Stati Uniti puoi farcela anche se parti dal basso. Madonna, Lady Gaga, Steve Jobs (il cui padre naturale era siriano), Sergey Brin co-fondatore di Google ce l’hanno fatta. Ci hanno provato e hanno avuto successo. Vogliamo parlare di Jeff Bezos di Amazon, ormai multimiliardario in dollari? Eppure le ultime ricerche, che racchiudono un campione maggiore, ci dicono che l’ascensore sociale negli Stati Uniti è in realtà meno efficace che in Italia, per le classi meno agiate.
Sabato scorso, alla conferenza europea della fondazione Rodolfo Debenedetti, tre economisti – Paolo Acciari del ministero dell’Economia, Alberto Polo della New York University e Giovanni Violante di Princeton University – hanno presentato il loro lavoro – ‘And Yet, It Moves’: Intergenerational Economic Mobility in Italy – che documenta come la società italiana è meno bloccata di quanto risulti da studi precedenti. I tre autori hanno abbinato i dati reddituali di un vastissimo campione di italiani, abbinando attraverso i codici fiscali circa 650mila coppie di genitori nati tra il 1942 e il 1963 – e di figli nati tra il 1972 e il 1983.
Come spesso avviene il Sud vive un mondo a parte. Infatti chi nasce nel Mezzogiorno ha molte meno probabilità di migliorare sensibilmente la sua posizione economica di chi è bambino e poi giovane e adulto nel Nord-Est. All’interno del Belpaese il grado di mobilità ha una forte variabilità. A Bergamo, per esempio, quinta nella classifica della mobilità ascendente, la situazione è molto diversa rispetto a Palermo, al centotreesimo posto.
La ricerca risponde anche al quesito se il sistema Italia favorisce il perpetuarsi di situazione favorevoli tra generazioni. Si può dire di sì. Infatti per ogni cento nati da genitori che siano nella porzione più alta della distribuzione del reddito (sopra i 50mila euro annui), “almeno 35 manterranno da adulti la posizione dei genitori”. Se si prendono 100 figli di genitori nella fascia più bassa di reddito – sotto i 15mila euro – solo 10 di loro riusciranno ad arrivare tra chi guadagna oltre 50mila euro.
Dal confronto con gli Stati Uniti emerge come l’Italia offra una maggiore mobilità intergenerazionale per coloro che vengono dal 30% di famiglie con un reddito basso. Se i figli provengono dalla classe media, gli Stati Uniti offrono più chance. Naturalmente, in un sistema economico che cresce, le opportunità sono maggiori per tutti in termini assoluti. Se la crescita stenta o langue, si può parlare con Cechov di “egoismo degli sventurati” che lottano tra di loro per un tozzo di pane.
E comunque, sempre con Einaudi, la competizione, la concorrenza è un enzima formidabile: “Solo nella lotta, solo in un perenne tentare e sperimentare, solo attraverso a vittorie ed insuccessi, una società, una nazione prospera. Quando la lotta ha fine si ha la morte sociale e gli uomini viventi hanno perduto la ragione medesima del vivere”.
Twitter @beniapiccone