categoria: Res Publica
Perché la (buona) scuola è un’azienda
Tra gli slogan favoriti dagli oppositori della riforma della scuola dispiegata dal governo (e, a ben guardare, di ogni tentativo di riforma della scuola), v’è quello secondo il quale la scuola non sarebbe paragonabile a un’azienda – gemello dell’altra frequentissima invocazione secondo la quale la cultura non sarebbe una merce. L’obiettivo polemico di queste rivendicazioni è la privatizzazione dell’istruzione, intesa non tanto come abdicazione alla titolarità della funzione educativa, mai realmente posta in discussione, quanto come adesione a un approccio di gestione che non può prescindere da criteri di efficienza.
Ovviamente, nessuno ritiene che la scuola sia un’azienda nello stesso senso in cui lo si predica di una fabbrica di scarpe, perché profondamente diverso è – per così dire – l’oggetto sociale: per quanto difficile sia immaginare una vita senza calzature, versare nozioni, competenze e una generale visione del mondo nelle menti permeabili di fanciulli e fanciulle è un’operazione infinitamente più preziosa – e infinitamente più delicata. Ciò detto, la scuola è un’azienda perché anche la sua missione richiede la combinazione ottimale dei fattori produttivi attraverso l’impiego di tecniche manageriali efficaci. Quello dell’insegnante sarà pure un mestiere ad alto tasso di vocazione, ma nemmeno il più ispirato dei docenti può fare molta strada senza attrezzature adeguate e i giusti incentivi professionali.
Si tratta di un’osservazione persino banale, eppure ideologicamente controversa: è una coincidenza fortunata, allora, che un articolo contenuto nell’ultimo numero dell’Economic Journal le fornisca il necessario supporto empirico. Gli autori hanno passato in rassegna le pratiche aziendali di oltre 1800 scuole in otto diversi paesi e hanno rilevato una forte correlazione tra la qualità nella gestione e la bontà dei risultati accademici. Ciò aiuta a spiegare le divergenze esistenti a livello internazionale, ma anche quelle che si riscontrano all’interno dello stesso paese, specialmente tra diverse categorie di scuole.
In particolare, lo studio evidenzia il successo di quegli istituti – escolas de referência in Brasile, Ersatzschulen in Germania, friskolor in Svezia, charter schools o free schools nel mondo anglosassone… – che si possono racchiudere entro la categoria di “scuole pubbliche autonome“: enti caratterizzati dalla presenza di finanziamenti pubblici, sia pure non totalitari; e da un significativo livello di libertà in materia di determinazione dei programmi, selezione dei docenti e ammissione degli studenti. L’Italia è il solo dei paesi analizzati – gli altri sono Brasile, Canada, Germania, India, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia – in cui le scuole pubbliche autonome sono del tutto assenti.
La diffusione di moderni processi gestionali – come la rilevazione delle prestazioni, l’individuazione di obiettivi specifici, il ricorso a meccanismi premiali – è generalmente limitata nel campo dell’istruzione. Tuttavia, si riscontrano significative disparità: il grafico che segue riassume i punteggi medi dei diversi paesi, riportati su una scala da 1 a 5. Il punteggio medio dell’Italia è inferiore alla media dei paesi considerati e più vicino al risultato di India e Brasile che a quello dei paesi anglosassoni o di Svezia e Germania. Significativamente, la quota delle scuole con un punteggio superiore a 3 è del 46% nel Regno Unito, ma appena del 5% in Italia.
La qualità della gestione e i risultati accademici sono positivamente correlati in tutti i paesi del campione. (I risultati accademici di Germania e Italia non sono disaggregati a livello di singolo istituto, ma si riscontra un’analoga correlazione con i punteggi dei test PISA) Le scuole pubbliche autonome e le scuole private sono quelle che registrano i migliori risultati accademici; tuttavia, gli autori rilevano che, nel caso di queste ultime, altri elementi – come la selezione degli studenti – sembrano influenzare maggiormente gli esiti finali. Questa conclusione, per inciso, potrebbe richiedere un supplemento d’analisi focalizzato sulla sussistenza di effetti di spiazzamento collegati alla presenza pubblica – per esempio, in India, dove il ruolo della scuola pubblica appare più ridotto, i punteggi della gestione delle scuole private sono relativamente maggiori.
Ma qual è il meccanismo attraverso il quale l’autonomia gestionale si riverbera sulla qualità dell’istruzione? Due sono i fattori evidenziati dallo studio: da un lato, l’accountability dei dirigenti scolastici: all’autonomia, in altre parole, deve fare da contrappeso la responsabilità per i risultati conseguiti (o non conseguiti); dall’altro, la loro capacità di leadership, che si estrinseca nella definizione di una strategia coerente di lungo termine.
Eccoci ricondotti a un’altra bestia nera dei conservatori della scuola: l’anatema della dittatura dei prèsidi. Quello che gli slogan impediscono di mettere a fuoco è che il miglioramento dei meccanismi di governance dell’istruzione permette di valorizzare il contributo di tutti i soggetti coinvolti: vale per gli insegnanti, così come per i dirigenti. Del resto, se la scuola è un’azienda, è naturale che abbia bisogno di un capo-azienda all’altezza del compito.
Twitter @masstrovato