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Lunga vita ai capitalisti cinesi, che adorano il made in Europe
Come riportato dalla Lega Calcio, sabato 15 Aprile il “derby di Milano” e’ stato visto da oltre 862 milioni di spettatori; dall’Italia all’Australia, dal Brasile al Giappone, dall’Argentina alla Cina, il mondo intero ha seguito lo spettacolo calcistico andato in scena allo stadio Giuseppe Meazza.
Fino ad oggi, stando ai dati di Auditel, l’evento televisivo di maggior ascolto registrato nel nostro paese rimane quello rilevato durante la semifinale dei campionati del mondo di “Italia ’90” tra gli Azzurri di Totò Schillaci e l’Argentina di Maradona. Quella partita, persa dagli Azzurri ai rigori, fu vista da circa 27 milioni di spettatori. Una nazione intera davanti alla TV. Nulla, però, in confronto agli oltre 550 milioni di cinesi che , grazie ad uno standard di vita sempre più alto, hanno potuto godersi (si fa per dire, visto il livello tecnico non eccelso) il famoso “derby della Madonnina”.
Nonostante l’ostinazione delle diverse amministrazioni milanesi che si sono succedute negli anni a capire che Inter e Milan necessitano di due stadi di proprietà separati e la sterile polemica di Matteo Salvini sull’orario della partita, le 12.30, questi dati fanno riflettere e lasciano, in qualche modo, sbalorditi. Il periodo di transizione e gli scarsi risultati non hanno però intaccato il fascino di una sfida che inizia a parlare sempre più un linguaggio planetario.
Da poco tempo, e nel caso dei rossoneri da pochissimi giorni, Inter e Milan sono diventate entrambe società di proprietà cinese. Da sempre le due squadre meneghine sono i team italiani più seguiti e tifati nel mondo, in competizione con Barcellona, Real Madrid, Manchester United, Liverpool, Bayern Monaco e Juventus. L’ultima partita giocata il 23 aprile dal Real Madrid con il Barcellona è stata vista “soltanto” da 650 milioni di spettatori in tutto il mondo.
L’audience del “derby di Milano” e del “Clasico” rivelano però molto di più. In particolare, dimostrano l’interesse sempre maggiore della classe media cinese verso il nostro stile di vita, la nostra economia, le nostre aziende. La “Serie A” è solo l’ultimo dei tanti settori economici europei desiderati, sognati e amati dai nuovi capitalisti cinesi. Dal settore automobilistico (Volvo Cars, Svezia) al alla robotica (Kuka, Germania ); dal settore agricolo (Syngenta, Svizzera) ai videogiochi (Supercell – Finlandia); dai viaggi (Skyscanner – Regno Unito) alla moda (SMPC Group, Francia), nel corso di questi ultimi anni un numero sempre maggiore di imprese cinesi ha fatto acquisti in Europa ed il trend sembra destinato a proseguire.
Tabella 1: Principali acquisti Cinesi in Europa nel 2016. Fonte – Financial Times
Azienda Cinese Acquisitrice | Azienda Europea Acquisita |
Valore Affare (€ miliardi) |
Settore | Stato Membro |
Tencent | Supercell | €6,7 miliardi | Videogiochi | Finlandia |
Midea | Kuka | €4.4 miliardi | Robotica | Germania |
Consortium | Global Switch | €2,8 miliardi | Telecom | Regno Unito |
HNA | Avolon | €2,3 miliardi | Aviazione | Irlanda |
Ctrip | Skyscanner | €1,7 miliardi | Viaggi | Regno Unito |
Beijing Enterprise | EEW Energy | €1.4 miliardi | Energia | Germania |
Shandong Ruyi | SMCP Group | €1,3 miliardi | Fashion | Francia |
Wanda AMC | Odeon & UCI | €1,1 miliardi | Intrattenimento | Regno Unito |
Come viene riportato anche dal Financial Times, un recente studio del Rhodium Group e del Mercator Institute for China Studies stima che gli investimenti diretti cinesi nell’Unione Europea abbiano raggiunto i 35,1 miliardi di euro nel 2016 ed abbiano fatto registrare un balzo del 76% rispetto all’anno precedente. Al contrario, gli investimenti diretti europei in Cina sarebbero calati nel corso di questi ultimi due anni. Questo rallentamento sarebbe principalmente dovuto alla frenata nel processo di apertura e di liberalizzazione da parte di Pechino. Non è un caso, infatti, che secondo l’ultimo rapporto della World Bank “Doing Business 2017”, la Cina si posizioni solamente al 78esimo posto, ben distante da tutti i suoi principali partner commerciali europei (interessante notare come l’Italia, che rimane un paese in cui fare business, si trovi in 50esima posizione).
Nonostante il recente dinamismo capitalista cinese in Europa, il totale degli investimenti cinesi nell’Unione Europea rimane ancora molto basso e come riporta Bloomberg, ad oggi la Cina detiene circa l’1% dello stock di investimenti diretti esteri europei. Troppo poco per gridare allo scandalo e alla vendita selvaggia. Al contrario, il vero e proprio scandalo è che, nonostante la Cina sia diventata una nazione a reddito medio (con un prodotto interno lordo pro capite pari a US$ 14.450, in termini di parità di potere d’acquisto) ed i cinesi siano ormai i nostri più importanti consumatori, le relazioni economiche tra l’Unione Europea e Pechino rimangono relativamente fredde e sono spesso caratterizzate da misure protezionistiche e di difesa commerciale controproducenti.
Queste misure di difesa commerciale danneggiano in primo luogo i consumatori ed i produttori europei, anziché gli esportatori cinesi. Come infatti riportato in un recentissimo briefing di EPICENTER, pubblicato pochi giorni fa, ogni euro “guadagnato” dal settore protetto costa ai consumatori europei circa 4,50 euro. Inoltre, come riportato da uno studio condotto dall’Alliance for Affordable Solar Energy (AFASE) nel 2013, le misure protezioniste promosse dall’Unione Europea nel corso di quell’anno hanno portato alla conseguente perdita di un totale di circa 65.000 posti di lavoro nei vari stati membri.
Interessante notare come anche le misure di difesa commerciale imposte dal governo cinese danneggino in primis i consumatori ed i commercianti cinesi. Come riportato dall’Economist, a causa di alte tariffe di importazione, una borsa Louis Vuitton comprata in un negozio di Pechino costa il 30% in più che a Parigi. Non è quindi un caso che il crescente numero di turisti cinesi in Europa (oltre 11.5 milioni nel 2015, in aumento del 150% rispetto ai dati 2010) cerchi di acquistare abiti, borse e oggetti di lusso direttamente in Italia, Francia, Germania o Regno Unito. Stando a stime di Global Blue, nel 2016 i turisti cinesi in Europa hanno assegnato un terzo del loro budget vacanziero all’acquisto di marchi di lusso come Prada, Gucci, Armani, Rolex, Chanel, Dior, D&G. Ciò significa che, in media, un cinese spende oltre 3.500 euro nei marchi del lusso, durante le sue vacanze europee.
Contrariamente a quanto ci viene spesso raccontato, i cinesi non sono più solo ed esclusivamente nostri “competitori”. Al contrario, sono ormai diventati i nostri più grandi consumatori: amano tutto ciò che è europeo perché di qualità, di valore, di pregio. Di conseguenza, aprirsi ulteriormente alla Cina non significa essere conquistati dai ricchi capitalisti di Pechino, Shanghai e Shenzhen, ma significa garantire alle nostre aziende uno sbocco ancora maggiore nell’immenso mercato interno della seconda economia del mondo.
Recentissimi dati pubblicati dalla Commissione europea a fine febbraio dimostrano come la Cina sia oggi il secondo partner commerciale più importante per l’Unione Europea, mentre i 28 stati membri siano il principali partner per la Cina. Nel corso dell’ultimo decennio (2006-2016), gli export europei verso la Cina sono quasi triplicati, passando da 63 miliardi di euro a oltre 170 miliardi. Al tempo stesso le esportazioni cinesi verso l’Unione Europea sono praticamente raddoppiate, raggiungendo i 344 miliardi di euro nel 2016.
Nonostante i protezionisti nostrani, come soleva dire l’imperatore Vespasiano “pecunia non olet” (il denaro non ha odore).
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