categoria: Distruzione creativa
Il risanamento di Marchionne è il risultato tardivo dell’opera incompiuta di Ghidella
Nelle scorse settimane – al di là dei selfie con Matteo Renzi sulla jeep Renegade rossa – si è parlato molto di Fiat e della strategia dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, il quale spinge per un ulteriore consolidamento del settore automobilistico. Secondo il manager italo-canadese gli investimenti necessari per nuovi modelli, ricerca e sviluppo non consentono di coprire il costo del capitale, per cui il mercato penalizza il settore valutando i “mass market carmakers” con un multiplo esiguo – 4x ebidta/enterprise value rispetto a 13 del settore farmaceutico.
L’incredibile risanamento compiuto in Fiat (Fca) mi ha indotto ad andare in là nel tempo per capire le cause della mancata internazionalizzazione, o meglio, globalizzazione della Fiat, che ha dovuto aspettare l’avvento di Marchionne per diventare un’impresa globale.
L’operazione Fiat Chrysler si sarebbe dovuta fare molto prima. Torniamo quindi al 1985 quando in Fiat regnava l’avvocato Gianni Agnelli. Come ha scritto Alberto Arbasino in “Ritratti italiani” (Adelphi, 2014), “Agnelli possedeva l’allure e la verve di un sovrano settecentesco vivacissimo e di un banchiere cosmopolita carismatico e seducente, benché producesse automobili non molto chic”.
In “Capitani di sventura” (Mondadori, 1993), Marco Borsa scrive: “Inossidabile, Agnelli continua a godere di un grande prestigio. Dispone di profitti immensi che raggiungono i 3000 miliardi nel 1989 (…). È il momento di consolidare definitivamente la posizione della Fiat al vertice delle classifiche mondiali per redditività ed efficienza. È in quest’ottica che matura la trattativa con Ford Europa, per creare un polo automobilistico europeo e mondiale, in grado di fronteggiare la sempre più agguerrita concorrenza giapponese.
“L’accordo con la Ford però è vissuto dai due principali dirigenti Fiat (Romiti e Ghidella) in modo opposto. Romiti vede nell’intesa con gli americani il pericolo che la casa torinese perda la propria autonomia e che la holding di cui è amministratore delegato ceda il controllo della principale fonte di fatturato e di profitti. Al contrario Ghidella, l’uomo dell’Auto, vede nell’intesa con gli americani un’occasione unica per creare un gruppo imbattibile sul mercato (…).
“Agnelli non si avvede dello scontro o lo sottovaluta. Non sa decidere quele strategia adottare. Si lascia guidare dagli eventi. Quando emerge la richiesta americana di avere la maggioranza della joint venture alla morte dell’Avvocato, Agnelli dà ragione a Romiti e tronca le trattative con la Ford. Ma, di fronte alla reazioni critiche all’interno dell’azienda, sostiene Ghidella, annunciando pubblicamente che il successore di Romiti, nel giro di qualche anno, sarà appunto lui: Ghidella. È un disastro. Dentro la Fiat si apre uno scontro tra i romitiani e i ghidelliani… Giovanni Agnelli non sa mettere fine alla rissa. Pressato da tutte le parti, alla fine del 1988 licenzia Ghidella”.
L’allontanamento di Ghidella sarà una delle peggiori scelte dell’avvocato Agnelli, che perde l’uomo migliore al mondo nel campo automobilistico. “Non ci si improvvisa ingegneri ed esperti di automobili a sessant’anni”, sarà l’acido commento di Ghidella.
Ghidella venne chiamato nel 1979 come ad di Fiat Auto per rilanciare l’azienda in grave crisi. Al termine della prima sua giornata di lavoro, tornò a casa sconfortato, ha ricordato la moglie: “Non hanno un solo progetto, non c’è una sola idea nel cassetto”. Sarà poi proprio Ghidella a rimettere in carreggiata la Fiat.
Al suo nome sono legati i modelli del rilancio: la Uno, la Croma, la Lancia Delta, la Thema, la Tipo e la Y10. Fiat diventa il 1° costruttore auto dell’Unione Europea e il quinto nel mondo. Non si può far gestire la Fiat a un manager che sa tutto di finanza – Cesare Romiti, che proveniva dalla direzione finanziaria di Alitalia, viene suggerito da Cuccia – e nulla di automobili.
Due settimane fa il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano ha riportato il dialogo con l’ingegner Marco Bonometti, a capo delle Officine Meccaniche Rezzatesi, che gli dice: «Vuol sapere come ha fatto Marchionne? Glielo dico io, e le dirò una cosa che non dice nessuno: ha vinto perché ha messo l’aspetto industriale davanti a quello finanziario, è andato a vedere i problemi nei dettagli, i difetti della vettura, le condizioni per dare soddisfazione ai clienti, la piattaforma tecnologica globale, poi ha vinto perché ha una determinazione e una capacità di lavoro infinite, sa stimolare e coinvolgere le persone, soprattutto i giovani, mi piace perché è poca filosofia e molti fatti. Ha capito adesso perché sono sicuro che la Ferrari farà faville?».
Il declino della Fiat, affidata a Romiti e poi a tanti altri uomini che hanno privilegiato la finanza rispetto al prodotto, sarà durissimo e lungo. Solo l’arrivo di Sergio Marchionne nel 2004 porrà fine a una perdita di valore stratosferica.
Io sono d’accordo con lo storico Giuseppe Berta, che dice: “Prima di Marchionne la Fiat aveva un’inefficienza crescente che derivava da un insufficiente e instabile modello di corporate governance. Il management non era effettivamente responsabilizzato perché la presenza di un forte azionista come l’avvocato Agnelli faceva sì che quando non si ottenevano i risultati, il management andava dall’avvocato a spiegare quali circostanze avevano impedito il raggiungimento degli obiettivi. Per cui si annunciavano risultati che erano continuamente disattesi. Marchionne arriva a Torino senza aver mai conosciuto l’avvocato Agnelli, fa dei budget realistici e obbliga tutti al rispetto di questi budget. Oltre alla radicale pulizia intrapresa in quegli anni impone la responsabilità manageriale e impone dei budget non avventati ma credibili. La Fiat era un’azienda ancora troppo provinciale dal punto di vista del management, con lui c’è un cambio di passo, di regole e di mentalità”.
Lode a Marchionne – Marchionne tutta la vita, scrissi nel 2011 – e un pensiero all’ingegner Vittorio Ghidella, straordinario conoscitore del mondo automobilistico.
Twitter @beniapiccone