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350mila euro di aiuto pubblico a The Startup. Ma i sussidi al cinema, perché?
“Ma i giornalisti della BBC, del Corriere della Sera, di Business Insider, quelli di Microsoft e di Google e ancora il produttore del film, il regista, il distributore, la Rizzoli che ha pubblicato il libro, non si sono mai accorti di chi avevano davanti?”. Leggendo questa amara riflessione di Antonio Simeone nel suo pezzo su Egomnia, con riferimento al film The_Startup ho subito pensato al fatto che lo stesso avesse potuto ricevere un aiuto pubblico. Come immaginavo e come appreso casualmente dal web, nella Relazione FUS 2015 si legge nella tabella 8.6 (Attività cinematografiche – Riconoscimento dell’Interesse Culturale – Opere di Lungometraggio IC: contributi assegnati) che The_Startup ha ricevuto dal fondo statale 350 mila euro. Nel rapporto troverete tutti gli altri titoli di interesse culturale con i fondi assegnati e, se ne avete visto qualcuno, forse una risatina potrebbe scapparvi.
Non ricordo tutte le volte in cui ho letto o ascoltato interviste ad attori e registi che si appellavano ai politici per ottenere più fondi per il cinema. Nulla di strano ovviamente, ma quello che mi colpiva sempre era che gli appelli venissero fatti in nome della cultura, con quest’ultima utilizzata quale giustificativo morale di maggiori stanziamenti.
È difficile criticare alcuni dogmi senza passare per il cattivo di turno che è contro la cultura, ma ogni tanto val la pena rischiare. Nel suo ultimo libro [1], l’economista Roberto Perotti racconta la sua esperienza di consigliere economico per la revisione della spesa pubblica, nella quale si è imbattuto anche nei finanziamenti all’industria cinematografica. Scrive Perotti che fino al 2016 lo Stato erogava al cinema duecento milioni di euro annui, frutto di decine di programmi diversi. Ma al di là della spesa – di peso effimero rispetto al totale delle uscite – stupisce che essa riguardi un industria molto piccola rispetto a tanti partner europei: «(…) in Italia, per ogni euro di investimento in produzioni cinematografiche, oltre 50 centesimi (…) vengono dallo stato; in Francia e Gran Bretagna, circa 30 centesimi. Data l’ossessione dei francesi per la “eccezione culturale” del loro paese, è quindi probabile che l’Italia sia il paese con il più alto tasso di sussidio al mondo».
Sì, ma si potrebbe obiettare che il cinema non si può analizzare solo da un punto di vista economico, essendo una forma di cultura. Sul punto Perotti replica sostenendo che «(…) ci sono tante altre forme di cultura, e nessuna, con l’eccezione della lirica, è sussidiata quanto il cinema. (…) sono soldi spesi male: la maggior parte va ai grandi produttori, ai registi e agli attori già ricchi e famosi».
Sì, ma oltre all’argomento culturale, vi sono anche le ragioni dell’indotto generato sul territorio dalla produzione dei film. Vero, ma anche qui l’economista replica: «Qualcuno può documentare che crea così tanta occupazione da meritare di essere sussidiato al 50 per cento? Se dovessimo sussidiare ogni settore dell’economia per il 50 per cento del suo prodotto, in pochi anni torneremmo all’Età della pietra».
Il 14 novembre 2016 è stata approvata la Legge n. 220/2016, la cosiddetta nuova legge
cinema. La novità più rilevante è l’aumento dei fondi che dovrebbe essere del 60%, per uno stanziamento che non potrà mai essere inferiore ai 400 milioni di euro. Altra novità deriverebbe dal modello di finanziamento, secondo cui «Il fondo è alimentato, sul modello francese, direttamente dagli introiti erariali già derivanti dalle attività di: programmazione e trasmissione televisiva; distribuzione cinematografica; proiezione cinematografica; erogazione di servizi di accesso ad internet da parte delle imprese telefoniche e di telecomunicazione. Pertanto, a decorrere dal 2017, una percentuale fissa (11%) del gettito Ires e Iva di questi settori costituirà la base di calcolo delle risorse statali destinate al finanziamento del Cinema e dell’audiovisivo. Nessuna nuova tassa ma un virtuoso meccanismo di “autofinanziamento” della filiera produttiva che viene incentivata a investire e innovare (…)».
Ma che significa autofinanziamento? «È l’esempio perfetto dell’eterna illusione dei politici di poter trasformare il piombo in oro» scrive Perotti, «Finora, il gettito Ires e Iva di questi settori finiva nel grande calderone delle entrate statali, che finanzia gli 800 miliardi di spesa pubblica. Se adesso si sottraggono 200 milioni a questo gettito, ma non si riduce la spesa pubblica, bisognerà trovare questi 200 milioni da altre entrate. L’idea dell’“autofinanziamento” senza “nessuna nuova tassa” denota solo incompetenza o la volontà di prendere in giro il contribuente».
Su una cosa però voglio dare atto alla riforma Franceschini: la fine dell’ipocrisia sulle commissioni che decidono quali film meritino il riconoscimento dell’ interesse culturale e quali no. L’attribuzione dei fondi è adesso quasi interamente automatizzata per le opere di nazionalità italiana (solo il 18% dei fondi è assegnato sulla base di criteri selettivi, che comprendono gli aiuti per i giovani autori ad esempio). Quantomeno è caduto il velo del famigerato interesse culturale e si è affermato chiaramente che si tratta di meri sussidi pubblici a un settore economico come gli altri.
E come tutti i sussidi, le argomentazioni a favore prevedono la morte del settore in assenza degli stessi. Ma si tratta di un argomento che di empirico sembra avere ben poco.
Un recentissimo studio cerca di misurare l’impatto dei sussidi sull’industria del cinema, paragonando le esperienze francesi e sudcoreane. In Francia, dagli anni ’50 in poi, l’industria del cinema è stata sempre sussidiata, a differenza dell’industria sudcoreana, che ha iniziato a ricevere sussidi a partire dagli anni ’90 e, in particolare, negli ultimi anni. Due indicatori sono utilizzati per la comparazione, le dimensioni totali del mercato cinematografico e la quota di mercato dei film domestici. I risultati mostrano che l’industria più sussidiata (francese) ha prodotto risultati peggiori rispetto a quella meno sussidiata e che l’aumento dei sussidi non è stato seguito da un aumento dei ricavi del settore. Per fare un esempio numerico, nel 2011 l’industria del cinema francese ha ricevuto sussidi per 676 milioni di euro, generando un valore di 1,7 miliardi di euro, mentre nel Paese asiatico ha generato valore per 1,1 miliardi, ricevendo però sussidi per circa 86 milioni di euro.
Come sempre, i sussidi tutelano gli operatori esistenti dalla distruzione creatrice, non favoriscono la prosperità del settore. Semmai creano assuefazione all’aiuto pubblico. E il caso italiano ricorda le caratteristiche del cinema francese: a furia di ricevere protezione politica, non si è sviluppato un mercato dinamico e competitivo.
Qualche giorno fa leggevo un’intervista di Riccardo Scamarcio al Corriere della Sera, nella quale il famoso attore – oltre a svelarci che voterà «(…) il primo che presenta la nazionalizzazione delle banche in crisi e investe sulla cultura (…)», riflette amaramente sul suo mondo: «Io amo il cinema italiano, ma questo Stato l’ha distrutto. Eravamo i primi produttori europei e oggi i nostri film coprono solo il 18 per cento del mercato».
Io ricordo l’esplosione di Scamarcio come attore, con il cult adolescenziale Tre metri sopra il cielo. Avevo 15 anni, ma non mi sembrava per nulla un film culturale. Ero un ragazzo ingenuo, non in grado di capire che la pellicola era degna dell’etichetta di “interesse culturale” secondo la commissione competente e, soprattutto, degna di un finanziamento pubblico pari ad euro 2.208.726,00.
Twitter @frabruno88
[1] Perotti R. “Status Quo. Perché in Italia è così difficile cambiare le cose”, Feltrinelli 2016, cap. 4.2.1.