categoria: Vendere e comprare
La piccola impresa deve fare di tutto per diventare media. Il caso Spontini
Dal “piccolo è bello” degli anni Settanta/Ottanta si è passati con fatica al mantra “piccolo è brutto”. Mentre il mondo correva, miliardi di persone entravano sul mercato – del lavoro e dei consumi – l’evoluzione tecnologica impazzava, solo pochi illuminati imprenditori hanno capito che era tempo di cambiare.
Come ha scritto Pierluigi Ciocca – una carriera in Banca d’Italia fino al direttorio –, citando Marcello De Cecco, “i capitalisti italiani non ‘sposano’ indissolubilmente l’impresa, spesso piccolissima. Pensano prima o poi di venderla. Diventano rentier. Come i “cafoni” del Sud – che tuttavia hanno ben altre ragioni – tendono ad avere eredi non imprenditori, ma “dottori”, professionisti. Quindi – eccezioni a parte – non perseguono il profitto attraverso l’investimento, l’innovazione, il progresso tecnico in un orizzonte di lungo periodo, nell’arco di generazioni”.
Per internazionalizzarsi – ormai imprescindibile per non rimanere inchiavardati nella languente crescita italiana del Pil – bisogna avere una dimensione adeguata. Una struttura all’altezza. Per cui bisogna pianificare un percorso di crescita per potere, poi, affrontare l’arena globale.
Già in passato proprio qui su Econopoly abbiamo sottolineato come sia errato mescolare le “piccole” con le “medie” imprese. PMI definisce male due comparti di imprese molto diverse tra di loro. Spesso le piccole non sono neanche imprese, ma un artigiano con la moglie a libro paga.
Proprio perché la strada per passare da piccola a media è impervia – “It’a long way to Tipperary”, canticchiava mio padre – è appropriato parlare di coloro che stanno percorrendo strategie adeguate.
Spontini dal 1953 è la pizza al trancio di Milano, rigorosamente margherita con le acciughe. Massimo Innocenti – uomo energico e combattivo, eredita dai genitori l’unica pizzeria Spontini nell’omonima via. Nel 2008 decide di intraprendere un percorso di crescita ed apre la seconda pizzeria in Viale Papiniano.
Il modello veloce di Spontini in una città frenetica come Milano funziona, per cui Innocenti ci prende gusto ed apre altri punti vendita, non solo a Milano, ma anche nel nord Italia. Nel 2017 sono in programma aperture a Malpensa, a Bergamo, Como e Roma. “Spontini non è più solo Milano”, mi dice Massimo, orgoglioso dei successi ottenuti.
Un po’ di numeri. Il fatturato è passato dai 10 milioni del 2013 ai 21 del 2016, con ben 178 dipendenti (oltre a 65 persone che lavorano in Spontini-Oven, società diretta al franchising nei centri commerciali). Sono stati circa 640.000 i tranci venduti nel 2016 nel solo Spontini Duomo in S. Radegonda (dove si mangia in piedi in pochissimi minuti).
I punti di forza del modello Spontini? Buon prodotto, gentilezza, cordialità e sorriso. Dalla velocità del servizio si sta passando a un modello meno frenetico, dove si può anche prendere il dolce o bere un caffè. Si cerca quindi di aumentare lo scontrino medio, il single ticket.
La competizione a Milano sul food è efferata. Se 10 anni fa c’erano 3.500 locali, ora siamo a circa 7.000. In via Spontini, accanto alla storica pizzeria, sono nati come funghi altri competitors. In tutta Milano è un fiorire di all you can eat, kebab, street food, sushi bar, ristoranti argentini e brasiliani. C’è solo l’imbarazzo della scelta.
Gestire la crescita è sfidante. Servono persone di talento e capitali. Servono capitali, di rischio e di debito. Sul fronte del capitale di rischio, Spontini reinveste sistematicamente gli utili, rafforzando il patrimonio aziendale. Con le banche, Spontini ha instaurato rapporti di lungo termine, che consentono di raccogliere frutti nel futuro. Come sottolineano diverse ricerche, un rapporto storico facilita il finanziamento di capitale fisso.
Salvatore Rossi e Anna Giunta nel loro recente “Cosa sa fare l’Italia” (Laterza, 2016) scrivono: “Le imprese familiari fanno più fatica a ‘prendere l’ascensore’ verso una dimensione più grande. Inoltre, esse hanno in media più debito, soprattutto bancario, delle non familiari e sono quindi più esposte al razionamento del credito. Questo aspetto è cruciale: sia la teoria economica sia l’evidenza empirica suggeriscono che, per sostenere l’innovazione e la crescita nel lungo periodo, occorre più capitale che debito”.
A livello di contabilità direzionale, Spontini ha deciso di investire – un progetto NCR – per sistematizzare il controllo di gestione di ogni punto vendita, che avrà il proprio conto economico e stato patrimoniale. Col cruscotto digitale, le imprese sono più efficienti e soprattutto sono in grado di reagire in tempo reale al mutamento delle scelte dei consumatori.
Innocenti si illumina quando parla di suo figlio Andrea, in Bocconi con la media del 29: “Non ha preso da me perché io studiavo ben poco, correvo dietro alle ragazze”. A lui vuole lasciare un’impresa con 100 negozi (contro i 19 di oggi). Non vuole lasciargli il “cash”, una ricchezza sterile, ma un’azienda pronta a diventare globale. I figli servono anche a questo, a guardare con fiducia al futuro, a traguardare l’orizzonte, al di là della siepe leopardiana. Nel bel romanzo “L’Estate infinita” (Bompiani, 2015), Edoardo Nesi mette in bocca all’imprenditore Ivo Barrocciai l’espressione “C’era un futuro che non finiva mai”.
Quando Massimo Innocenti ti fissa negli occhi capisci che non scherza, che il fuoco gli brucia dentro, che deve correre per evitare di cadere dalla bicicletta in corsa. Non è un “uomo solo al comando” come Fausto Coppi, perché ha una bella squadra intorno, ma con lui come leader Spontini può raggiungere qualsiasi traguardo.
Twitter @beniapiccone