categoria: Draghi e gnomi
La fantastica uscita dall’euro alla francese
L’economia non è una scienza esatta, ma una scienza sociale. C’è però una bella differenza tra studiare una scienza sociale e scrivere inesattezze basate su previsioni fantasiose. E’ il caso del working paper di Cédric Durand e Sébastien Villemot pubblicato dall’OFCE (Observatoire français des conjonctures économiques) di Parigi sugli effetti dell’uscita dall’euro sugli stati patrimoniali degli agenti economici nelle economie che compongono l’eurozona (il balance sheet effect).
Detta in soldoni: che succede se uscendo dall’euro una parte dei debiti non può essere ridenominata nella nuova valuta, ad esempio perché sotto legislazione estera? Banalmente, il debito aumenterà in proporzione alla svalutazione stessa, mettendo in difficoltà l’impresa o banca che lo ha emesso, e con essa la stabilità finanziaria. Ovviamente, più la nuova moneta si svaluta, peggio è.
E qui arriviamo alle fantasiose previsioni di Durand & Villemot. Secondo loro, la “nuova lira” non solo non si svaluterebbe, ma addirittura si rivaluterebbe dell’1% rispetto al resto dell’eurozona. Quindi nessun balance sheet effect.
È plausibile la previsione del working paper dell’OFCE? No. Non lo è. Gli autori hanno infatti previsto la svalutazione sulla base delle partite correnti dei paesi uscenti dall’euro e, poiché l’Italia è in avanzo commerciale, hanno concluso che la lira si rivaluterebbe. Ma questa è una teoria (neoclassica, ovviamente…) con pochi riscontri nella realtà. Se i tassi di cambio seguissero le bilance commerciali o le partite correnti, non esisterebbero avanzi o deficit con l’estero, se non nel brevissimo termine. La realtà è notoriamente diversa, perché domanda e offerta di valute per gli scambi commerciali sono solo una piccola componente del totale.
Quel che contano davvero sono le aspettative che guidano le scelte di portafoglio e i flussi di capitali. Il solo annuncio dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE, qualcosa di profondamente meno drammatico della deflagrazione dell’eurozona, ha portato la sterlina a svalutarsi del 15% rispetto al dollaro e del 10% rispetto all’euro. O per fare un altro esempio, lo yuan cinese si è svalutato del 10% rispetto al dollaro dal 2015 a oggi, a causa del deflusso di capitali dalla Cina, causato tra le altre cose dal (modestissimo) rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti. E questo nonostante la Cina continui ad essere un esportatore netto, e quindi la sua moneta dovrebbe apprezzarsi, non a svalutarsi.
Un altro punto critico del paper riguarda la valutazione dei debiti rilevanti ai fini del rischio sugli stati patrimoniali. Gli autori attribuiscono un peso molto elevato ai debiti a breve termine (fino a un anno) mentre quelli a lungo termine pesano poco nel loro indice di rischio. Nel calcolare la svalutazione, essi escludono il cosiddetto overshooting, cioè il deprezzamento della valuta oltre il (presunto) tasso di cambio di equilibrio di lungo periodo. Tuttavia nulla impedisce (anzi, tutto fa pensare) che la deviazione possa essere ben più duratura, e quindi che il debito a medio e lungo termine possa essere ben più pericoloso per la stabilità finanziaria di quanto essi ipotizzano.
Davvero qualcuno può ragionevolmente predire che la deflagrazione della seconda valuta di riserva del mondo si possa riassorbire in 12 mesi? Davvero qualcuno può azzardarsi a predire che la valuta di un paese costretto a violare le Clausole di non ridenominazione (CAC) su uno dei debiti pubblici più grandi del mondo, e probabilmente anche a dichiarare l’insolvenza sui debiti nei confronti della BCE sui saldi Target 2, sia un evento che non comporterebbe un’estrema volatilità della nuova moneta?
Posto quindi che la previsione dei due economisti sulla svalutazione è a dir poco irrealistica, desta preoccupazione quanto essi sostengono rispetto al rischio per il nostro paese. Secondo il paper, nel caso italiano, già una modesta svalutazione del 15% farebbe crescere il rischio da “nullo” a “basso” (un caveat rivelatore, che alimenta il sospetto che neppure i due autori ritengano plausibile la non svalutazione della lira). Se è così, con una svalutazione del 30-40% quanto potrebbe rischiare il nostro paese in termini di stabilità finanziaria?
Per qualche strano motivo il working paper ha fatto il giro dei siti noeuro, tutti felici e contenti di sapere che non vi sarà una forte svalutazione della lira in caso di uscita dall’euro. Gli stessi siti che ci spiegavano che dovevamo uscire dall’euro perché è una “moneta sbagliata”, troppo forte per noi. Gli stessi siti che ci spiegavano anche che il saldo Target2 “non è un vero debito” quando invece il paper dell’OFCE esplicitamente sostiene che si tratti di un debito estero del settore pubblico, anche se non conteggiato ufficialmente nel debito pubblico: “It is therefore clear that TARGET2 balances correspond to claims between sovereign states, that are distinct from official public debt figures”. C’è ben poco da festeggiare considerando quanto è cresciuto il nostro saldo T2 nel 2016.
Questo post è apparso su Keynes Blog
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