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Italiani più soddisfatti? Sì, anche perché assuefatti al peggioramento
Per la prima volta dopo cinque anni, migliorano le stime relative al giudizio delle famiglie italiane sulla soddisfazione per le condizioni di vita. Ogni anno l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) compie un’indagine – basata su un campione di 24mila famiglie – basata sulla percezione sia della situazione economica, sia degli aspetti relazionali (famiglia e amici), salute e tempo libero. Visto che la crescita economica stenta – il Pil cresce nel 2016 a tassi identici a quelli dell’anno scorso (+0,8%) – sono in molti a sorprendersi del fatto che ben il 41% delle famiglie (contro il 35,1% del 2015) esprimano un’alta soddisfazione per il complesso della loro vita.
La condizione occupazionale influisce sul giudizio. La popolazione attiva nel mercato del lavoro o impegnata in un’attività formativa (occupati e studenti) è la più soddisfatta ed esprime più frequentemente punteggi alti, raggiungendo un voto medio rispettivamente di 7,2 e 7,4. (le risposte variano da 0, insoddisfatto, a 10, pienamente soddisfatto).
La soddisfazione per la propria vita diminuisce all’aumentare dell’età. Risultano altamente soddisfatti (voto superiore a 8) il 54,1% dei giovani tra i 14 e i 19 anni, probabilmente perché ancora acquattati in famiglia – “sdraiati” secondo la provocante espressione di Michele Serra – con tutti gli agi di questo mondo e non ancora delusi per le difficoltà di accesso al mercato del lavoro, povero di opportunità.
Non è casuale che il 40% della classe 65-74 anni dichiari un alto livello di soddisfazione. Su questi ultimi impatta in positivo il “maledetto” (per i meno giovani che lo finanziano) sistema retributivo che rende gli over 65 la classe agiata italiana.
Non si sbaglia l’autorevole storico Piero Craveri quando nel suo ultimo “L’arte del non governo” (Marsilio, 2016) critica pesantemente la classe politica, incapace di governare i cambiamenti intervenuti dopo la caduta del Muro di Berlino. Ma se andiamo indietro nel tempo, una delle decisioni più tragiche per l’equilibrio del sistema previdenziale italiano è stato l’abbandono del sistema contributivo negli anni Sessanta, proprio quando iniziò a invertire il tasso di natalità.
Chi sostiene che studiare non serve – vedi il calo delle immatricolazioni in università – viene smentito clamorosamente dall’Istat: il livello di soddisfazione generale cresce con il titolo di studio. La quota dei molto soddisfatti passa dal 32,9% di chi ha solo la licenza elementare al 47,7% dei laureati; la distanza è evidente anche nel punteggio medio: rispettivamente 6,6 e 7,3.
Secondo il sociologo Domenico De Masi il miglioramento della soddisfazione deve attribuirsi all’assuefazione al peggioramento, “ci si abitua al crescere dell’insicurezza” o si vivono stati di “alienazione, dove si sta oggettivamente peggio ma non lo si avverte”. L’opinione di De Masi va combinata con quella di Enrico Finzi, uno più noti ricercatori sociali italiani. Nel 2012 con il suo “Felici malgrado” (Ecomunicare), Finzi segnalò il diffondersi della cultura del Quanto Basta (QB): “Per i più, in particolare nella large middle class in via di regresso, gioca la vera novità di questi anni: siamo entrati nell’era delle aspettative decrescenti (vedasi Paul Krugman, “The age of diminishing expectations”, ndr), basata su previsioni negative e sulla conseguente certezza (o almeno paura) che in futuro quasi tutti – a partire dai giovani – avremo di meno rispetto a oggi. In tale ampia fascia di popolazione la filosofia del QB è figlia non della sazietà propria dei ceti ‘up’ ma dell’arretramento coatto”.
Da sempre gli italiani, se disincantati dalla situazione economica, si rifugiano in famiglia. Le relazioni familiari si confermano la dimensione a cui corrisponde la percentuale più alta di persone soddisfatte, il 90,1% nel 2016. In mancanza di altro, l’appagamento esistenziale si concentra nel privato. La quota di molto soddisfatti è particolarmente elevata tra i giovani di 14-17 anni e i 25-34enni, mentre a livello territoriale decresce passando dal Nord (38,4%), al Centro (31,9%), al Mezzogiorno (27,1%). A livello geografico, va sottolineato come il differenziale Nord-Sud è evidentissimo. Infatti la regione con la quota maggiore di residenti che si definiscono molto soddisfatti è il Trentino-Alto Adige (35,1%), seguita dalla Valle d’Aosta (31,7%); la quota più bassa si rileva, invece, in Campania (15,9%). Elevata anche la quota di individui molto o abbastanza soddisfatti per le relazioni amicali (82,8%) e il proprio stato di salute (81,2%).
Un messaggio finale mi sento di darlo, condividendo il pensiero di Enrico Finzi: “Occorre testimoniare con tanti piccoli atti che un diverso Paese è possibile: un Paese con meno benessere e più gioia di vivere; più serio ma non più noioso; più giusto ma non più appiattito; più orgoglioso delle proprie eccellenze e desideroso di non dilapidarle; più solidale e – se non più felice – almeno meno rattristante”.
La ricerca della soddisfazione non deve passare solo dagli altri, ma soprattutto da se stessi, dal nostro modo di agire, di riflettere, di apprendere. Deve prevalere quella combinazione di pensiero e azione che è propria di grandi italiani come Luigi Einaudi (Conoscere per deliberare, cit.), Donato Menichella (Sta in noi, cit.) e Paolo Baffi (Occorre agire senza indugi e senza mezze misure, cit.).
Twitter @beniapiccone