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Due nuovi scenari per la Brexit
scritto da Diego Valiante il 16 Novembre 2016
Il 3 novembre scorso l’Alta Corte britannica si è finalmente espressa sulla Brexit e, in linea con i principi della costituzione ‘non scritta’, ha deliberato che il governo dovrà richiedere l’approvazione del Parlamento per attivare la procedura ufficiale di uscita dall’Ue, prevista dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea. La sentenza complica i piani di Theresa May, che aveva previsto una possibile attivazione della procedura (irreversibile, nell’interpretazione della corte) entro il 31 marzo 2017. Se la May non riuscirà a trovare un accordo con il Parlamento su un piano dettagliato per le negoziazioni, si potrebbe andare ad elezioni anticipate anche il prossimo anno. Le modalità della Brexit, o la Brexit per sé, potrebbero essere rimessi di nuovo alla decisione popolare, mentre il Regno Unito continua a perdere credibilità sul piano internazionale.
La decisione dell’Alta Corte
I giudici dell’Alta Corte, esposti ingiustamente al pubblico ludibrio dai tabloid pro-Brexit per aver ‘interferito’ con una decisione popolare, hanno scritto invece una sentenza scontata per gli esperti del diritto costituzionale britannico, ma con un messaggio molto importante che va oltre i confini nazionali. Il Regno Unito è una monarchia parlamentare e la sentenza ci riporta alle basi fondamentali del diritto costituzionale inglese, che pone il Parlamento come contrappeso al potere del monarca, che governa tramite l’esecutivo. Non esiste un singolo statuto, ma la costituzione è un insieme di regole scritte (in vari statuti) e altre tramandate nei secoli dalle varie istituzioni.
La Corte si è espressa sull’aspetto procedurale della Brexit e non sul merito della scelta fatta nel referendum consultivo. In particolare, la corte chiarisce i limiti di azione del governo senza autorizzazione del Parlamento (il cosiddetto ‘prerogative power’). Sulla base di una sentenza del 1610 e del Bill of rights (1688), dopo la “gloriosa” rivoluzione per rafforzare il ruolo del Parlamento, il governo (espressione della monarchia) non può modificare nessuna legge o statuto approvato dal Parlamento senza il suo consenso. A livello istituzionale, il Parlamento è l’espressione del popolo (e questo vale anche in Italia).
Una volta chiarito il perimetro di azione in cui si può muovere il governo, anche sulla spinta di referendum consultivi, la corte ha poi stabilito che la Brexit (la notifica secondo l’articolo 50 TEU) avrebbe due effetti:
1. La modifica o cancellazione dell’atto legislativo che ha subordinato le leggi nazionali a quelle europee (1972 European Communities Act), in aggiunta alle modifiche e cancellazioni di centinaia di leggi nazionali approvate in applicazione delle norme europee;
2. L’uscita dall’Unione Europea, poi, modificherebbe direttamente e indirettamente lo status dei diritti e doveri dei cittadini britannici, come la libera circolazione.
In tutti e due i casi, la corte chiarisce che il governo non può agire senza il mandato del Parlamento. In particolare, l’ipotesi di base, condivisa sia dall’accusa che dalla difesa, è che la procedura di uscita dall’UE secondo l’articolo 50 sia irreversibile. Pertanto, una volta inviata la notifica, il governo costringerebbe il Parlamento ad accettare delle modifiche di legge e dei diritti/doveri dei cittadini su cui non si è mai espresso.
L’irreversibilità della procedura è un’interpretazione delle parti che non è chiarita in alcun modo nel testo dell’articolo o dalla giurisprudenza della Corte europea, ma ha un ruolo fondamentale nella decisione presa a Londra. Infatti, se la procedura fosse reversibile, il governo potrebbe far partire la notifica ed iniziare le negoziazioni nei due anni successivi. Alla fine del processo, prima della scadenza dei due anni (se il Consiglio Europeo non rinvia all’unanimità), il governo dovrebbe far passare l’accordo in Parlamento, il quale potrebbe anche rigettare il piano e pertanto la Brexit se non in linea con l’interesse nazionale.
Infatti, la sentenza potrebbe anticipare l’interpretazione di referendum consultivi anche in altri stati europei. Il Parlamento è l’istituzione che rappresenta il popolo e che può e deve decidere in ultima istanza su modifiche allo status dei diritti e doveri dei cittadini (che si applicheranno anche alle generazioni future). Nel rispetto della volontà popolare, il Parlamento dovrà pertanto decidere modalità della Brexit che rispecchino l’interesse nazionale.
I nuovi potenziali scenari
In un mio blog post pubblicato nei giorni successivi al referendum, avevo provocatoriamente affermato che alla fine la Brexit non si farà perché gli inglesi si accorgeranno dei costi reali di una decisione presa in fretta e con grande disinformazione da parte dei media. In ogni caso, la Brexit potrebbe non essere quella che i Brexiteers più radicali volevano (l’abbandono incondizionato dell’Unione Europea). Prima Cameron, poi Johnson e Farage, hanno abbandonato i rispettivi ruoli forse nel momento più importante, ovvero nel momento in cui si sarebbe dovuta consegnare la Brexit agli inglesi. Theresa May si è presa la responsabilità di farlo, ma gli eventi degli ultimi mesi mostrano quanto il suo governo fosse impreparato agli scenari post-Brexit. Prima ha promesso accesso al mercato interno con restrizioni alla libertà di movimento dei lavoratori, poi ha annunciato che si batterà per una ‘hard Brexit’ (senza mercato interno).
L’insicurezza e la fretta (per paura di perdere investimenti stranieri) con cui ha affrontato questioni come gli investimenti pubblici sul nucleare a Hinkley Point o gli accordi segreti sulle concessioni alla Nissan per non abbandonare gli stabilimenti mostrano lo stato di confusione in cui il governo opera, nella prospettiva di lasciare il più grande mercato interno al mondo. Per questa ragione, prima dell’Alta Corte, anche prominenti figure che hanno votato per la Brexit si sono espresse per far partecipare il Parlamento nazionale nella definizione degli obiettivi di una negoziazione con il resto d’Europa.
Ad oggi, uno scenario plausibile è che l’appello del governo alla Corte Suprema determini il rinvio alla Corte di Giustizia Europea (CGE) per l’interpretazione sulla reversibilità della notifica ex articolo 50 TUE. Se la CGE confermasse l’irreversibilità, la May dovrebbe informare il Parlamento del piano di negoziazione con l’Europa, che al momento nessuno conosce. In quel caso, si prospetterebbe una lunga battaglia parlamentare sui dettagli di un complesso processo di fuoriuscita dall’Unione, con una risicata maggioranza dei Tories.
In alternativa, il governo potrebbe riconoscere le difficoltà politiche di portare avanti la notifica e quindi si adopererebbe per la sfiducia ed elezioni anticipate. Per alcuni sarebbe la scelta migliore, considerando il vantaggio dei Tories con la May in tutti i sondaggi. Qualunque sia lo scenario, la strada per la Brexit è ancora lunga e, con o senza Brexit, il Regno Unito rimarrà a lungo nell’incertezza politica ed economica, con sempre meno credibilità e peso politico nelle relazioni internazionali. Un danno per sé stesso e per il resto d’Europa, in un mondo post-Trump che cerca nuova leadership.
Twitter @diegovaliante