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I nuovi mutui “solo interessi” per giovani e il precedente danese
Un gentile lettore mi segnala un link dove una nota banca italiana promuove i mutui a disposizione della clientela. D’altronde il momento è propizio per chi voglia farne uno, visto che i tassi sono a un livello molto basso. I dati di Bankitalia, peraltro, certificano che i mutui alle famiglie per le abitazioni sono l’unico settore che tira nel sofferente mondo del credito, e quindi è del tutto naturale che le banche, incoraggiate anche dall’aumento delle compravendite registrato negli ultimi mesi, facciano del loro meglio per spuntare qualche affare.
Scorro l’elenco delle offerte fino a quando non mi cade l’occhio sulla sezione under 35, che credo sia interessante osservare per capire che tipo di offerta il sistema bancario faccia ai più giovani. Ebbene: per gli under 35 la nostra banca ha pensato alcune opzioni: “Possibilità di scegliere rate leggere di soli interessi per un periodo a tua scelta fino a 10 anni, finanziamento fino al 100% del valore dell’immobile, durata fino a 40 anni. Mutuo richiedibile anche da chi lavora con contratti atipici e con contratti a tutele crescenti”. In particolare, la possibilità di scegliere rate leggere di soli interessi per dieci anni risulta, almeno per quanto ne so io, una novità nel panorama nazionale dei mutui, mentre al contrario è assai diffusa in Nord Europa. E infatti la prima cosa che mi viene in mente è la Danimarca.
Ma prima di parlarne, vale la pena spendere ancora due parole su questi mutui. Il succo è semplice: per un certo numero di anni, fino a dieci nell’offerta dell nostra banca, il sottoscrittore del mutuo paga solo gli interessi sul capitale, ossia il cosiddetto pre-ammortamento. Quindi la sua rata è ragionevolmente bassa. Poi da un certo momento in poi alla quota interessi della rata si aggiunge anche la quota capitale, ossia l’ammortamento vero e proprio del mutuo, il che può condurre a un aumento sostanzioso dell’impegno per il sottoscrittore. La logica sottesa è che i giovani miglioreranno nel tempo la loro situazione economica e potranno pagare il mutuo. Giusta in teoria, ma ballerina in pratica. E non tanto perché solo un giovane molto ottimista, nel nostro paese, scommetterebbe sui miglioramenti della sua condizione reddituale nel medio periodo. Ma anche perché pure in paesi dove il mercato del lavoro funziona assai meglio del nostro, e l’andamento del reddito di conseguenza, questi mutui hanno contribuito a generare gravi problemi di stabilità finanziaria oltre che far crescere notevolmente l’indebitamento delle famiglie.
E qui torniamo alla Danimarca. Ai primi di ottobre il governatore della banca centrale danese ha tenuto un discorso al meeting annuale dell’associazione della banche danesi di mutuo, senza neanche provare a minimizzare la gravità del rischio a cui è sottoposto l’immobiliare. Ha esordito ricordando che “gli sviluppi nel mercato immobiliare a Copenhagen, con i prezzi annuali che crescono del 10%, non sono sostenibili nel lungo termine”, sottolineando l’importanza di una tassazione immobiliare che “prevenga le fluttuazioni anziché incoraggiarle”. Il secondo punto è che le banche che commerciano mutui (mortgage bank) si vedono richiedere dai propri investitori rendimenti intorno al 10%, il che le costringe a politiche commerciali aggressive che finiscono con l’esasperare i rischi. Infine, ha continuato il governatore, “dovrebbe essere possibile far fallire una singola istituzione creditizia senza coinvolgere le altre o i soldi dei cittadini”. Un invito che suona alquanto sinistro. Anche perché l’ultima crisi immobiliare la Danimarca l’ha vissuta solo pochi anni fa e ne è uscita solo grazie al governo che ha messo sul piatto garanzie pari a due volte e mezzo il Pil. “Per fortuna le cose sono andate bene – dice il nostro banchiere – se fossero andate male sarebbero andate molto male”. Già, perché ciò con cui il sistema deve fare i conti è una popolazione che, proprio grazie al largo uso di mutui interest only, è fra le più indebitate al mondo.
Nel giugno scorso il Fmi, in occasione del suo staff report sulla Danimarca, non ha mancato di sottolineare il problema. Il caso di Copenhagen è icastico. L’indice dei prezzi immobiliari nella città danese, base 100 al 1992, era arrivato a 400 nel 2007, per poi dimezzarsi nei due-tre anni successivi. Dal 2011 in poi ha ricominciato a salire e ora si trova intorno a 350, mentre il price to income ratio è tornato ai livelli che precedettero il grande boom immobiliare durato dal 2004 al 2008. Il Fmi ricordò che “dato l’alto livello di debito delle famiglie (vedi grafico) e alcune caratteristiche specifiche dei mutui danesi, e in particolare l’alta quota di mutui a tassi variabili e interest only, le preoccupazioni per la stabilità finanziaria possono rapidamente riemergere se i prezzi saliranno ancora”.
Queste poche note bastano a comprendere perché è sicuramente saggio osservare con attenzione l’ingresso nel nostro paese di queste pratiche creditizie. Per un under 35 sprovvisto di capitale è già uno sforzo notevole impegnarsi per un mutuo che potrebbe durare fino a 40 anni. Figuratevi poi scoprire, magari dopo un decennio, che non può più permettersi di pagarlo.
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