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Le imprese italiane alla prova della successione (non solo Esselunga)
Pubblichiamo un post di Simone Strocchi, presidente Aispac e founder di Made in Italy 1 e Ipo Challenger –
Siamo un Paese che vanta generazioni di imprenditori del Dopoguerra audaci e dinamici, che hanno creato aziende diventate eccellenze che supereranno le vite terrene dei loro fondatori. Un risultato encomiabile di una classe di capitani d’industria, che oggi ha tra i 75 e i 90 anni, che il mondo ci invidia e a cui noi italiani dobbiamo sicuramente gratitudine.
Tuttavia, il cambio generazionale spesso non è preparato o è realizzato con soluzioni che consolidano la proprietà fino a rendere la ‘creatura’ dei padri indisponibile agli eredi. Un passaggio vissuto come traumatico che finisce sovente per esporre imprese eccellenti ad un futuro imbalsamato, in balia di predatori internazionali. L’impresa di famiglia è spesso considerata dai padri fondatori come un vero e proprio figlio, aspetto che talvolta genera (nel tempo) frizioni, incomprensioni e contrasti tra generazioni. L’eccesso di affetto dei fondatori, così come l’eccesso di disaffezione degli eredi possono, quindi, determinare situazioni di potenziale contrasto e criticità che finiscono con minare l’italianità e il futuro delle nostre eccellenze imprenditoriali.
Spesso i capitani di industria sono anche patriarchi e hanno stuoli di eredi che non sempre reputano adatti a gestire l’azienda nel futuro. C’è chi ricerca con i trust sistemi di blindatura per evitare frazionamento e dispersione del controllo alla successione, affidandosi a trustee che agiranno poi nel tempo come notai in esecuzione delle disposizioni ricevute: tuttavia, via via che il tempo passa, rischiano di essere imprinting datati, che non sempre saranno adeguati ai tempi che verranno. Oppure ci sono situazioni in cui si cerca in extremis e con urgenza un compratore per trasformare l’impresa di una vita in denaro contante da lasciare agli eredi, scambiando eccellenza e capacità di generare reddito in Italia con denaro che oggi rende davvero poco.
In questo scenario, la migliore difesa della propria creatura imprenditoriale sta nel “laurearla” sui mercati, diffondendo il desiderio e l’interesse concreto a renderla prospera ed efficiente e, allo stesso tempo, beneficiare dell’allineamento degli interessi di attori estranei alla famiglia con quelli dell’impresa e della famiglia proprietaria. Pur non biasimando chi considera soluzioni atte al consolidamento del controllo in un Trust o in una Sas o in una Sapa, è pur vero che la mera blindatura della maggioranza o della governance, in assenza di diffusione di interesse verso un unico vettore, è rischiosa perché può portare alla demanagerializzazione o, peggio, all’ingessamento operativo della struttura societaria con perdita di slancio e discendente dispersione del valore.
Ecco allora che la quotazione in Borsa delle imprese italiane rappresenta una soluzione efficiente ed importante per promuoverne la durata e la capacità di prosperare e crescere oltre i fondatori, ma anche per consegnare agli eredi un patrimonio fatto di strumenti scambiabili e che si possono apprezzare sul mercato come le azioni della società quotata. Da questo punto di vista, meglio poi se il flottante (parte del capitale) viene comunque condiviso con investitori di mercato che avranno interesse reale a preservare e sviluppare il valore del loro investimento e, quindi, dell’impresa stessa.
La società quotata consente di conservare e attrarre manager di elevato livello, orienta l’interesse a perseguire obiettivi e risultati, rende liquidabili in qualsiasi momento le posizioni prive di vincoli. Anche e soprattutto per questo, le Spac (Special Purpose Acquisition Company) e le più moderne evoluzioni in Prebooking Company sono un’ottima occasione per proiettare le nostre eccellenze nel futuro e con loro rendere in qualche modo immortale la genialità e la forza dei padri fondatori, perché consentono uno sbarco sul mercato borsistico organizzato e accompagnato, in un contesto tailor made, da professionisti e capitali, il cui interesse è allineato con quello degli imprenditori.
Dispiace vedere pezzi di economia reale italiana, gioielli del nostro genio imprenditoriale, diventare prede di investitori stranieri o ostaggio di complicati sistemi di cristallizzazione di governance che, alla lunga, spesso diventano ragione e oggetto di infinite liti tra eredi. Lo dico da imprenditore di finanza, da pioniere delle spac italiane e, soprattutto, da appassionato italiano che riconosce l’innegabile capacità dei nostri predecessori, ma teme l’impoverimento del Paese in un contesto in cui, su dieci transazioni che riguardano imprese italiane, otto sono operazioni che vedono le stesse oggetto di cessione a predatori stranieri.
Temo tutto ciò a maggior ragione nel nostro sistema, che spinge i nostri Enti, Casse e Fondazioni ad investire solo in banche, Cct e in large cap (aziende con elevata capitalizzazione, ndr) tipicamente nord europee. Temo gli eccessivi vincoli regolamentali che portano i gestori dei fondi che amministrano i risparmi italiani a prediligere investimenti sostenuti con criteri di analisi quantitativa, di breve termine, che finiscono per rendere indisponibile la liquidità alle imprese e, quindi, all’economia reale italiana.
Anche per fugare questi timori, abbiamo sviluppato le Pre-Booking company di cui siamo stati e restiamo promotori, dimostrando che capitali italiani possano muoversi ed organizzarsi in modo sempre più semplice per dare vita a dei sodalizi fair e, perché no, anche ad un movimento di riscossa che consenta alle nostre imprese eccellenti di crescere e di restare a condividere i propri risultati e la propria performance tra Italiani, che, ne sono sicuro, saranno capaci di difenderle e farle crescere meglio di qualsiasi trustee o investitore straniero.