categoria: Distruzione creativa
Identità, coerenza e altre cose difficili
Dopo qualche tempo torno su queste pagine per riordinare alcuni pensieri. Alcuni stimoli, alcune riflessioni che emergono, scompaiono e riaffiorano dopo qualche tempo più forti e più chiare come in uno strano fenomeno carsico.
Sento lentamente cambiare il clima intorno alle imprese. Se in questi anni una strana schizofrenia ci ha fatto passare dalla disperazione delle imprese tradizionali all’euforia drogata dagli incentivi delle startup, oggi da più parti percepisco una gran voglia di rimboccarsi le maniche e, silenziosamente, tornare a lavorare a testa bassa. Tutti verso un comune obiettivo, dimenticando facili ed effimere rivoluzioni, focalizzati su un più ragionevole (ma non meno difficile) rinnovamento.
La potenza di un titolo
Mi ha colpito molto il titolo di un recente editoriale del direttore Roberto Napoletano a commento della prima relazione di Vincenzo Boccia, all’assemblea annuale di Confindustria: “Fare le cose difficili”. La potenza di un titolo. Dopo anni passati tra storytelling e facili promesse elettorali un appello forte a rimboccarci le maniche e a tornare a fare, a pianificare, a concentrarci sulle cose difficili, sugli obiettivi ambiziosi non facilmente raggiungibili. Questo Paese ha un disperato bisogno di tornare a fare, di lavorare sui fondamentali, sulle infrastrutture, ecc.
Startup: quel bisogno latente di fare più ricerca e meno eventi
Da tempo ormai alcuni amici che lavorano nel mondo delle startup invocano una maggiore concentrazione sulla ricerca e sull’innovazione e meno su eventi e feste che da troppo tempo caratterizzano quel mondo. Un bisogno latente di far pulizia, di non farsi distrarre e tornare a focalizzarsi sul fare e fare bene.
Identità: prima di tutto una sfida culturale
Mi imbatto su una recente riflessione di Corrado d’Elia, attore e regista teatrale, e mi sorprendo per quanto possa applicarsi non solo al suo percorso professionale ma anche alle nostre imprese, ai nostri studi professionali, a noi stessi come persone.
“In un mondo che cambia sempre più velocemente, che spesso fatica a comprendere dove sta andando, cosa sta facendo, cos’è diventato, nella dimensione liquida nella quale siamo immersi, di facili approcci e difficili approfondimenti, di rapide scoperte e di 1000 tweet in un secondo, porre la questione dell’identità ci sembra un buon modo per continuare ad indagare da una parte il nostro tempo e dall’altra comprendere lo stato del nostro progetto. La mancanza di ‘confini’ che ci suggerisce il mondo che stiamo vivendo, ci porta, oltre che a sentirci più liberi e più veloci, anche e soprattutto a sentirci sempre più smarriti e perduti dentro i suoi ‘non confini’.
A ben pensarci, le declinazioni del concetto di identità sono le vere domande del nostro tempo: identità nazionale, identità culturale, identità sessuale, identità biologica, identità di genere. Oggi l’uomo vive un disperato bisogno di capire chi è e di trovare qualcosa in cui credere, di capire, di essere protagonista, di identificarsi e di appassionarsi.
La parola identità è quindi il vero specchio del nostro tempo, la chiave di volta: è l’affermazione e la domanda insieme, la madre e la figlia, è l’iperbole poliedrica che ci contraddistingue e i mille volti che ci appartengono, una parola allo specchio in cerca di identità, buona da intendersi e da declinarsi sia al plurale che al singolare.
È una parola che si può declinare, una parola dinamica, che racchiude in sé il concetto stesso dell’essere. È una parola social, #identità, una parola che racconta un percorso e insieme un continuo divenire. È straordinariamente concettuale. E sopratutto è contemporanea. Oggi continuamente ci chiediamo chi sono? Cosa so fare? Sappiamo fare tante cose e proprio per questo facciamo fatica a definire la nostra identità”.
La grande sfida
La grande sfida forse è tutta qui, riscoprire e ridefinire la nostra identità, l’identità delle nostre imprese, delle nostre città, della nostra scuola. Tornare a focalizzarci su quello che sappiamo fare o che vorremmo diventare, senza distrazioni, con meno feste, con il coraggio di tornare a fare le cose difficili.
Qualche anno fa un caro amico imprenditore mi sottolineava l’importanza della coerenza per chi fa impresa “Per essere coerenti occorre una strategia, ma se non la si ha non si va da nessuna parte. A volte la coerenza sembra frustrante, dà risultati sul medio periodo, è una strada impervia e difficile. Ma pensate all’impressione che vi fanno, a volte, i piccoli segnali di incoerenza da parte di clienti o fornitori. Non si accende una lucina? E perché non deve valere per voi? Allora scegliere una strada e percorrerla, cercando di capire se è quella giusta. Certo spesso andranno fatte delle variazioni, piccole deviazioni e cambiamenti ma la strategia di fondo va seguita con coerenza. Cercate di capire e sfruttare i punti di forza di abilità, attitudine e morali vostri e dei vostri collaboratori, su quelli andrà costruita la vostra strategia. Più la mission è coerente con la mission che avete dentro di voi minore sarà lo sforzo per essere coerenti.”
Più recentemente un suo collega, a capo di una di quelle straordinarie multinazionali tascabili che sono la forza del nostro Paese, raccontandomi del padre, si soffermava sullo sguardo di quell’uomo di poche parole (tipico di chi ha saputo costruire una impresa con la sola forza del proprio lavoro), uno sguardo capace di dare fiducia e far crescere il figlio, l’impresa ed il territorio in un tutt’uno.
E in questi racconti di chi fa impresa tornano magicamente l’importanza dell’identità, della coerenza e di quel fare in silenzio, quel fare le cose difficili.
Ce la faremo, mi domandano e mi domando spesso? Io credo di sì, in fondo basta ritrovare quello sguardo.
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