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I salari dell’eurozona riportano la memoria ai tempi del gold standard
La crescita dei salari nell’area dell’euro procede al rallentatore, spiega la Bce nel suo ultimo bollettino economico. E non si capisce se sia un bene, un male o entrambe le cose, visto che nello stesso bollettino si osserva che quel poco di ripresa nell’eurozona si deve in gran parte all’aumento della domanda interna – alla quale di certo contribuisce il potere d’acquisto dei lavoratori – e appena un poco agli investimenti, che iniziano a rialzare la testa.
Non solo. “La crescita dei salari nell’area dell’euro è rimasta piuttosto contenuta,
nonostante il miglioramento dei mercati del lavoro”, scrive la Bce. A dimostrazione del fatto, immagino, che il movimento di fondo dei salari abbia trovato un suo equilibrio che di fatto somiglia a un congelamento. Tale effetto si osserva con chiarezza guardando il grafico che riepiloga andamenti salariali e occupazionali dal 2005 in poi. La linea blu, che monitora l’andamento delle retribuzioni per occupato, è più o meno piatta dal 2014, quando è diminuita di circa un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Al contempo si vede la linea verde, che delinea l’andamento della disoccupazione, tornare verso il basso.
In dettaglio, “nel quarto trimestre 2015 la crescita delle retribuzioni per occupato rispetto al periodo corrispondente dell’anno precedente si collocava all’1,3 per cento, uno dei tassi più bassi registrati dall’avvio dell’unione monetaria. Quella dei salari negoziati è stata più sostenuta nel 2015, ma comunque bassa rispetto ai parametri storici”.
È interessante sottolineare che “la crescita dei salari non è soltanto risultata bassa, ma anche costantemente inferiore alle previsioni”. Stessa cosa è accaduta per le previsioni sull’andamento della disoccupazione: “La crescita dell’occupazione è stata infatti più vigorosa del previsto negli ultimi trimestri e il tasso di disoccupazione è calato a ritmi superiori alle attese”. Tutto ciò non tanto per rilevare come gli esperti non ci azzecchino mai con le previsioni – che è cosa scontata – quanto perché questi andamenti fanno sospettare che nel mercato del lavoro dell’eurozona siano all’opera tendenze assai più profonde di quelle che la modellistica economica riesce ad intercettare.
La Bce ipotizza che tale tendenze siano state originate dalle riforme strutturali, che alcuni paesi hanno messo in campo “per aumentare la flessibilità e ridurre le rigidità dei salari”. Che detto in parole povere vuol dire che un po’ più di precarietà migliora l’occupazione.
C’è altro: “L’ampia disponibilità di lavoro inutilizzato che ancora sussiste rappresenta un importante fattore che mantiene bassa l’inflazione salariale”. I disoccupati numerosi, quindi, mantengono i salari moderati. La qualcosa, combinandosi con le tendenze di fondo, significa una cosa molto semplice: i salari devono essere elastici. In tempi di crisi devono scendere e quando riparte l’espansione aumentare. “I salari dovrebbero crescere del 2,1% entro il 2018, in linea con la ripresa dell’economia”, conclude la Bce.
Sembra di esser tornati ai tempi del gold standard.
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