categoria: Distruzione creativa
La marea fintech e la trasformazione (faticosa) delle banche
Il settore bancario, così come lo conosciamo, è nel pieno di un percorso di ricostruzione. In particolare, propulsori di questa trasformazione sono stati due importanti cambiamenti: la nostra progressiva disposizione ad interagire con il denaro digitale e un’ondata tecnologica che ha cambiato i concetti di facilità e convenienza, visti dall’ottica del consumatore. E nei prossimi 10 anni possiamo aspettarci di vedere le banche (e gli altri istituti finanziari) operare in maniera sempre più simile a grandi startup.
Grazie ai numerosi vincoli normativi e alla necessità di infrastrutture fisiche come sportelli automatici e filiali, per molto tempo le banche sono state al riparo dalle rivoluzioni tecnologiche che hanno rimodellato le altre industrie. Senza gravi minacce all’orizzonte, pertanto, la maggior parte delle banche si sono concentrate sul consolidamento e sulla riduzione dei costi, non considerando i bisogni del consumatore.
Ora, però, dal momento che le nostre interazioni con i soldi sono essenzialmente diventate invisibili, per i consumatori la convenienza non è più avere tutto in one stop shop, bensì avere accesso diretto alle proprie finanze in qualsiasi momento, abbattendo le distanze fisiche e le complicazioni della burocrazia.
Raffaele Mauro, managing director di Endeavor Italy, sostiene che “la tecnologia sta rivoluzionando i servizi finanziari tramite le cosiddette 3D: Digitalizzazione, Disintermediazione smart e Decentralizzazione. Società come Stripe e Number 26 stanno rendendo sempre più semplici pagamenti e operazioni bancarie. Imprese come Euklid* o Moneyfarm permettono di moltiplicare il valore per gli utenti attraverso algoritmi intelligenti. La grande D è quella della decentralizzazione, portata avanti ad esempio dalle tecnologie blockchain, che potrebbe portare a modificare in modo radicale i servizi finanziari così come li conosciamo oggi in termini di business model e impalcatura istituzionale”.
Oggi le banche tradizionali si trovano quindi a dover fare i conti con una nuova realtà, data la crescente domanda di prodotti fintech. Si apre un ventaglio di possibilità che spaziano dai sistemi di prestito peer-to-peer alla consulenza finanziaria automatizzata, dal crowdfunding alle valute alternative.
Ogni giorno sembra portare con sé notizie di un’altra ondata di tecnologia innovativa applicata alla finanza,di cui si fanno portatrici innumerevoli startup. Ecco allora che le banche, avvertita la nuova minaccia, hanno dovuto frettolosamente rimboccarsi le maniche.
E infatti la partita si gioca proprio su questo punto. La domanda da porsi non è se le startup fintech ce la possano fare a resistere nel mercato. La questione cruciale è esattamente l’opposto: ce la faranno le banche a resistere e competere con il fintech?
Le grandi istituzioni della finanza hanno cercato di riprendere il controllo della situazione, in parte adottando iniziative autonome, cercando di dar vita a piattaforme innovative, completamente digitali, in parte tentando collaborazioni di compromesso con le startup fintech più consolidate o quantomeno con maggiori prospettive di crescita. La strategia in realtà è sempre stata solo una: se non puoi battere il nemico, alleati con lui.
C’è un problema, però: questo modus operandi non sta funzionando. I giocatori esistenti sono troppo grandi, gravati da costi troppo alti e abituati ad operare esclusivamente in un mercato iper regolamentato. È quindi improbabile che le grandi banche tradizionali siano in grado di mettersi nelle condizioni di vincere o di individuare le startup vincenti.
Funding Circle e Zopa sono tra i migliori istituti di credito peer-to-peer che consentono di mettere in contatto i potenziali creditori con i futuri debitori e offrono la possibilità di investire in nuove imprese. Secondo un rapporto di Innovate Finance, il Regno Unito è stato il secondo al mondo per il finanziamento fintech lo scorso anno, con un importo pari a 675 milioni di sterline su 8,9 miliardi raccolti a livello globale.
Non è difficile capire perché così tanti imprenditori e venture capitalist si stiano precipitando nel settore in questione. Dai servizi bancari di base, al credito, alla consulenza finanziaria e all’intermediazione, gli istituti di credito hanno da sempre praticato prezzi alti per servizi generalmente standard. Ecco allora che tutto ciò ha reso possibile l’esplosione del fintech offrendo ai consumatori celerità, interazione diretta e abbattimento dei costi.
Le grandi banche, inevitabilmente, hanno deciso di reagire. L’ultimo anno ha visto un gran numero di investimenti nel settore. JP Morgan ha collaborato con On Deck, una piattaforma di prestiti online. Goldman Sachs ha acquistato Honest Dollar, un servizio di consulenza finanziaria online su misura per il cliente.
In Europa, BNP ha collaborato con Smart Angels, una piattaforma di crowdfunding. Altri istituti stanno collaborando con startup per fornire insieme i propri servizi.
Non c’è niente di sbagliato in tutto ciò. Quando un settore viene messo sottosopra occorre cercare di investire nel futuro. Eppure tutto questo non è cosa da poco per le banche. Non è una sfida semplice. Anzi ci sono più probabilità che il fintech riesca a progredire da solo senza la collaborazione delle banche, muovendosi nella direzione dei fondi di venture capital.
Ciò che più osta a una reale collaborazione tra le banche e il fintech risiede in quelle che continuano ancora ad oggi ad essere le grandi carenze delle banche tradizionali.
In primis le banche sono appesantite dagli enormi costi accumulati nel corso degli anni: hanno decine di migliaia di dipendenti e vantano sfortunatamente fondi pensione ancora più grandi, presentano modalità di gestione già attuate e collaudate da diversi anni che sono ancora vincolate a lunghe questioni burocratiche. Le nuove startup sono al contrario prive di tutti quei costi fissi che caratterizzano le banche e sono in grado di offrire maggiore celerità nell’esecuzione dei servizi offerti.
In secondo luogo, il settore bancario è da tempo dominato da un’eccessiva regolamentazione che si è trasformata in una sorta di oligopolio. Tutto ciò ha sicuramente distrutto la possibilità di una sana e leale concorrenza che potesse consentire lo sviluppo di metodi migliori e scelte alternative per il consumatore. Tutte le banche, infatti, ad oggi offrono i medesimi servizi a prezzi che per lo più si equivalgono. I clienti sono ormai quelli fidelizzati da diversi anni.
Da ultimo anche la storia stessa offre risposte che non danno grosse possibilità di vittoria alle banche. In effetti quasi mai le prove migliori di innovazione industriale vengono offerte da imprese consolidate. I veri distruttori sono sempre società di nuova formazione con un background pulito e in corso di costruzione. Insomma una pagina bianca da scrivere, un nuovo scenario con protagonisti ancora tutti da delineare.
Twitter @simeoneantonio1
*L’autore del post e Raffaele Mauro sono rispettivamente co-founder e advisor di Euklid