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Fondo Atlante: ruolo e rischi di un azionista di ultima istanza
Pubblichiamo un post di Silvia Merler, dal 2013 affiliate fellow del think tank Bruegel, specializzato in politica economica Europea –
Il fondo Atlante, annunciato in vista delle operazioni di aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dovrebbe avere una dotazione tra i 4 e i 6 miliardi di euro e agire da back-stop per ravvivare la fiducia nel settore bancario Italiano.
In pratica, la sua missione sarà quella di assicurare il successo degli aumenti di capitale agendo come un sottoscrittore di ultima istanza, e di comprare tranche junior delle cartolarizzazioni di crediti in sofferenza. Restano tuttavia diversi interrogativi, che è bene mettere in luce.
Primo, l’operazione ha implicazioni notevoli in termini di rischio sistemico. Dopo gli episodi di risoluzione del 2015 è chiaro che in un paese in cui un terzo dei bond bancari è detenuto da famiglie, anche un minimo bail-in può avere conseguenze dolorose. Atlante nasce dal timore che il fallimento dei prossimi aumenti di capitale produrrebbe un contagio sistemico.
Ma la struttura del fondo in realtà aumenta il rischio sistemico nel lungo periodo. Atlante sarà finanziato principalmente da banche Italiane, con contributi di 1 miliardo a testa per Unicredit e Intesa e 500 milioni da parte di altri istituti bancari. 500 milioni sono poi attesi dalle fondazioni, 500 milioni dalla Cassa Depositi e Prestiti, e il resto da assicurazioni.
Agendo da azionista di ultima istanza, Atlante evita che le due banche venete siano messe in risoluzione (con rischio bail-in). Ma l’operazione sposta il rischio sul bilancio del fondo aumentando l’esposizione delle banche relativamente più solide verso quelle deboli, in un sistema in cui le interconnessioni sono già strette. È difficile vedere come questa struttura riduca il pericolo di contagio in futuro. L’effetto fiducia poi è dubbio. Un back-stop dovrebbe essere abbastanza rassicurante da non dover mai essere usato. Vista l’urgenza dell’operazione Atlante, è improbabile che sia così: Reuters ha riportato che le azioni invendute del Banco di Vicenza potrebbero arrivare a un 1 miliardo. Atlante coprirà il buco, ma un aumento di capitale riuscito solo grazie all’impegno incondizionato di un azionista di ultima istanza non è un successo, ed è ragionevole aspettarsi che non risolva i problemi di fiducia nel sistema bancario italiano.
Un secondo punto riguarda la difesa dell’”italianità”, che per alcuni pare essere un implicito obiettivo di Atlante. Il ministro Padoan, parlando a Washington la settimana scorsa ha liquidato queste ipotesi come “gossip”, controbattendo che l’obiettivo è quello di evitare che gli attivi delle banche italiane vengano liquidati a prezzi troppo bassi.
La domanda rilevante è quale sia il vero valore di mercato di questi attivi. Atlante non ha l’obiettivo esplicito di limitare il capitale estero, ma se il prezzo a cui gli investitori stranieri sono disposti a investire riflette l’effettivo valore di mercato, allora comprando a prezzi più elevati il fondo di fatto evita l’ingresso di capitale estero e sussidia le banche su cui agisce.
L’argomento a favore di questa soluzione è che serve a prendere tempo: se la garanzia pubblica sulle sofferenze avrà successo e la crescita ripartirà, il valore degli attivi comprati dal fondo salirà rendendo l’operazione profittevole. L’ovvia risposta è che le banche italiane hanno già sprecato anni in attesa di questo scenario, e il risultato è l’odierna urgenza di costituire Atlante per evitare la risoluzione di quelle banche che avrebbero dovuto riprendersi.
Un terzo problema è la presenza della Cassa Depositi e Prestiti in un’iniziativa che si vuole presentare come pienamente privata. Il ruolo della CDP dovrebbe essere chiaramente definito e i motivi per assicurare trasparenza vanno ben oltre le ovvie considerazioni sugli aiuti di stato. Il fondo comprerà azioni emesse da banche a cui l’autorità di supervisione ha richiesto un aumento di capitale: il coinvolgimento di un’istituzione a controllo pubblico in questa operazione potrebbe creare dubbi riguardo l’efficacia dell’azione di supervisione.
Poniamo il caso della Banca Popolare di Vicenza, a cui la BCE ha chiesto un aumento di capitale. Normalmente, se l’aumento di capitale dovesse fallire, la banca sarebbe messa in risoluzione: prospettiva poco allettante e incentivo a tenere i conti in ordine. Nel caso italiano, invece, subentrerà il fondo (in cui la CDP partecipa) assicurando che la banca in ogni caso non sia risolta. In uno scenario come questo, la forza dell’azione di supervisione è messa in discussione e si impedisce anche il cambiamento nella struttura di governance che l’autorità di risoluzione può esigere da una banca.
In conclusione, il fondo Atlante è una soluzione affrettata per un problema noto da tempo e aumenta il rischio sistemico nel lungo periodo. Ciò che davvero conterà per il futuro del sistema bancario italiano sarà come questo intervento cambierà (o eviterà di cambiare) la governance bancaria. Le opinioni possono divergere riguardo all’opportunità di tenere le banche più deboli in vita ad ogni costo, ma l’idea di un azionista di ultima istanza non giova alla stabilità del sistema italiano né al progresso verso un’Unione Bancaria Europea.
Twitter @SMerler
La versione integrale del post in inglese è stata pubblicata sul blog del Bruegel