Dalla Bce un aiutino da due miliardi per le banche italiane

scritto da il 13 Maggio 2015

Qualche giorno fa mi è capitato sotto gli occhi un articolo di Fabio Pavesi sul Sole 24 Ore che, citando uno studio di Prometeia, stimava in 3,8 miliardi i profitti aggregati del sistema bancario italiano, notando come così si inverta un quadriennio di risultati negativi per il settore, gravato da ingenti rettifiche sui crediti deteriorati. Nel seguito veniva inoltre riportata la stima del Cer, Centro europa ricerche, che vede gli utili aggregati fermarsi a due miliardi.

Differenze di vedute a parte, l’articolo sottolineava  come tale risultato dipenda più dal calo del peso specifico dei crediti deteriorati piuttosto che dall’aumento dei ricavi, delineando però anche alcune prospettive positive.

Sempre secondo Prometeia, infatti, il Roe, ossia il ritorno sul capitale, passerà dal segno negativo al +3,7% nel triennio 2015-2017. Ancora poco, ma sempre meglio di nulla. Specie se il governo avvierà come ormai sembra imminente l’operazione bad bank per pulire definitivamente i bilanci delle banche.

La buona notizia mi ha fatto venire voglia di approfondire. Sicché mi sono andato a rileggere l’approfondimento che Bankitalia ha dedicato al sistema bancario italiano nel suo ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria. Contiene alcune informazioni che permettono di apprezzare cosa sia successo negli ultimi anni alle nostre banche e, soprattutto, cosa riservi il futuro.

In particolare trovo una tabella che ci racconta l’evoluzione dei conti economici delle banche italiane nell’ultimo ventennio, dalla quale estraggo alcune informazioni di sistema.

La prima è che il totale delle attività è passato dai 1.291 miliardi del periodo 1994-1997, ai 3.219 del periodo 2013-2014. Degna di nota anche la circostanza che l’utile prima delle imposte (Roa, return on asset) era lo 0,37% del totale dell’attivo negli anni ’90, mentre è sceso a -0,23 nel biennio 2013-14.

Nel bel mezzo si erge il periodo d’oro del banking italiano, quello fra il 2004 e il 2007, quando gli attivi erano a quota 2.704 miliardi e l’utile prima delle imposte al +0,91%.

Su questi conti pesano alcune importante scelte gestionali.

I costi operativi, intanto. Negli anni ’90 pesavano il 2,37% del totale degli attivi, a metà 2000 l’1,70%, negli ultimi due anni l’1,35%. Di questi costi, l’incidenza delle spese per il personale erano pari all’1,51% negli anni ’90, ossia il 63% del totale dei costi operativi, lo 0,92% a metà 2000, quindi il 54% dei costi operativi, e lo 0,69, pari al 51% dei costi operativi, nel biennio 2013-14.

Nel ventennio considerato, quindi, le banche hanno tagliato di dodici punti il peso dei costi del personale su quelli operativi, e ciò spiega perché i dipendenti siano passati dai 333 mila degli anni ’90, col picco di 338 a metà 2000, ai 298 mila di fine 2014, a fronte però di un aumento degli sportelli, passato da 24.600 dei Novanta ai 31.600 dell’ultimo biennio.

Altra voce pesante è stata quella delle rettifiche. Nei Novanta pesavano lo 0,75 degli attivi, crollano allo 0,29 nel periodo d’oro, e aumentano quasi del quadruplo nell’ultimo biennio, all’1,09. Se considerate l’evoluzione degli attivi, noterete che i valori assoluti sono parecchio importanti.

E ciò spiega perché l’indicatore di redditività del capitale proprio (Roe) sia crollato.

In particolare, nel 2013 era negativo per lo 0,9 ed è arrivato a -0,2 nel 2014, dove si segnala un Roe negativo per -1,8% dei primi cinque gruppi bancari a fronte di un ROE positivo per l’1,7% delle altre.

Per dirla con le parole di Bankitalia, “alla riduzione (del Roe, ndr) hanno contribuito in misura pressoché analoga la diminuzione dei ricavi, dovuta soprattutto al forte calo del margine di interesse, e l’aumento delle rettifiche su crediti. Le banche hanno fatto fronte alla diminuzione dei ricavi in larga parte attraverso riduzioni dei costi operativi, soprattutto quelli per il personale (-10 per cento, -23 punti base in rapporto all’attivo). Il riassetto organizzativo è stato di ampie dimensioni: dal 2008 il numero di sportelli è diminuito dell’8 per cento e quello dei dipendenti del 12%”.

Le previsioni di Bankitalia, tuttavia, sono meno ottimistiche di quelle di Prometeia: “Se l’aggiustamento dei costi si dimostrasse strutturale e la ripresa economica consentisse di recuperare il calo dei ricavi e dimezzare le rettifiche”, con l’avvertenza che anche dimezzandosi nell’arco del prossimo quinquennio rimarrebbero su livelli quasi doppi rispetto al periodo pre-crisi, allora “il Roa potrebbe risalire a un livello sostanzialmente analogo a quello del quadrienni 2004-2007. Si tratta di un obiettivo ambizioso ma possibile nell’arco di un quinquennio”.

Il futuro ci dirà se ha ragione Prometeia oppure Bankitalia.

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Nel mentre un altro approfondimento, contenuto nel Rapporto sulla stabilità finanziaria, ci consente di apprezzare un altro aspetto sovente sottaciuto nelle cronache: l’impatto del QE di Francoforte sui bilancio delle banche italiane.

Ipotizzando che il Quantitative easing provochi una flessione dei tassi a medio e a lungo termine di circa 85 punti base e un deprezzamento del tasso di cambio nei confronti del dollaro pari all’11,4 per cento, la simulazione prevede che il programma Bce aumenterebbe i profitti bancari, al lordo delle imposte, di circa 300 milioni nel 2015 e 1,4 miliardi nel 2016, mentre gli altri ricavi aumenterebbero di 400 milioni nel biennio “per effetto soprattutto dei risultati positivi dell’attività di negoziazione in titoli”.

Insomma: un paio di miliardi di più di utili lordi in due anni. Un aiutino niente male, visto il livello dei profitti attesi dai ricercatori.

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