categoria: Res Publica
Risparmiare nella sanità pubblica non fa male alla salute
Pubblichiamo un post di Lorenzo Cappellari, professore ordinario di economia politica presso il Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università Cattolica, dove insegna economia del lavoro ed econometria, e Gilberto Turati, professore associato in Scienza delle Finanze presso l’Università di Torino, autore di diverse pubblicazioni nazionali e internazionali su tematiche legate principalmente alle industrie dei servizi di welfare, in particolare alla sanità. È stato membro del Board della European Public Choice Society per il term 2012-2015 –
GLI INCENTIVI DI PREZZO? FUNZIONANO ANCHE NELLA SANITÀ PUBBLICA
di Lorenzo Cappellari e Gilberto Turati
Durante gli anni Novanta il Servizio Sanitario Nazionale è stato oggetto di un processo di riforma che ne ha riorganizzato il funzionamento in modo radicale. L’obiettivo era quello di rendere più efficiente il settore, contenendo la spesa senza peggiorare la salute, attraverso l’introduzione dei ‘quasi-mercati’. La riorganizzazione richiedeva la separazione dell’attività amministrativa delle ASL rispetto all’attività clinica, da concentrarsi nelle Aziende Ospedaliere, e l’introduzione di un po’ di concorrenza fra questi neonati produttori pubblici e i produttori privati accreditati attraverso un meccanismo di incentivi basato sulle tariffe per le prestazioni ospedaliere (DRG). Un nostro recente articolo scritto insieme ad Anna De Paoli e in uscita sul Journal of the Royal Statistical Society, mostra che le regioni che hanno definito e adottato un proprio tariffario per il rimborso delle prestazioni ospedaliere, diverso da quello nazionale, sono quelle che hanno registrato un contenimento più importante della spesa senza effetti sulla salute della popolazione.
L’esigenza di contenere la spesa pubblica nasce dai requisiti imposti dal Trattato di Maastricht alla finanza pubblica e si traduce anche in un complesso processo di riforma del sistema sanitario. Nello specifico ci si è concentrati sull’impatto dell’introduzione di un sistema di incentivi (basati sul prezzo delle prestazioni) sulla salute e sull’accesso ai servizi, distinguendo due gruppi di regioni: quelle che hanno adottato un proprio tariffario e quelle che hanno invece utilizzato il tariffario ministeriale.
Nel 1997 è infatti diventato obbligatorio l’utilizzo delle tariffe DRG per il rimborso delle prestazioni e la Lombardia, la Toscana, l’Emilia-Romagna e l’Umbria, subito seguite dal Veneto, hanno deciso di adottarne una propria versione; nel 2002 si sono aggiunte alla lista la Sicilia ed il Piemonte, nel 2005 il Lazio. L’adozione di tariffe specifiche regionali riflette l’esigenza di introdurre un meccanismo di incentivo di prezzo per “controllare” le strutture ospedaliere. L’articolo mostra per la prima volta che le regioni più propense ad adattare una struttura dei prezzi adeguata rispetto ai propri obiettivi di politica sanitaria sono quelle che hanno saputo contenere maggiormente la spesa, senza intaccare la salute dei cittadini, migliorando quindi l’efficienza del settore.
L’analisi si basa su una indagine campionaria ISTAT che coinvolge circa 600 mila individui ed esamina l’andamento dello stato di salute e l’accesso ai principali servizi ospedalieri dal 1993 al 2007. Come si nota nella figura 1, nelle regioni che hanno adottato un proprio tariffario (le regioni “trattate”) non vi è alcun peggioramento nella salute percepita dagli individui nonostante si osservi una riduzione significativa dell’accesso al pronto soccorso (-25%), più marcata rispetto al gruppo di controllo. Riduzioni più contenute si osservano anche per i ricoveri ordinari (-9%) e per i ricoveri in Day Hospital (-10%).
Questi effetti diversificati tra i due gruppi si osservano soprattutto nei primi anni successivi alla riforma e si attenuano a partire dal 2000, quando c’è stata una parziale inversione di rotta nelle intenzioni del governo centrale, con una riduzione del supporto politico per meccanismi di tipo competitivo nella sanità. Questo cambio di rotta non ha tuttavia cancellato i meccanismi di rimborso prospettico; anzi, il Patto per la Salute 2014-2016 firmato tra le Regioni ed il governo Renzi mette all’ordine del giorno l’aggiornamento e la manutenzione del tariffario nazionale.
Nell’articolo mostriamo che non solo la salute percepita dagli individui non si è modificata, ma nemmeno la salute misurata in termini più oggettivi. In particolare si sono esaminati l’andamento dell’aspettativa di vita alla nascita e della mortalità infantile, che sono misure oggettive dello stato di salute della popolazione, per evidenziare che nemmeno in questo caso i meccanismi competitivi hanno prodotto danni. Non si sono riscontrate differenze significative suddividendo la popolazione per genere e titolo di studio, mentre è emerso che gli individui che hanno contribuito maggiormente al contenimento della spesa sono stati quelli più giovani.
Anche da questo punto di vista si riconferma quindi il risultato di miglioramento dell’efficienza, poiché gli individui che diminuiscono l’accesso ai servizi sono quelli per i quali questi servizi erano probabilmente inappropriati. Infine, non sembra che la riforma abbia spinto gli individui a sostituire la spesa pubblica con quella privata: la sottoscrizione di assicurazioni sulla salute non è aumentata di più nelle regioni che hanno adottato un proprio tariffario.
Le misure volte a migliorare l’efficienza del settore sanitario che aumentano la concorrenza tra chi offre i servizi possono avere esiti diversi e complessi a seconda di come è disegnato il processo di riforma. È importante quindi di volta in volta monitorare quali siano gli effetti reali sulla salute e sulla spesa. Nel caso italiano, l’introduzione di tariffe DRG ha consentito di diminuire alcune importanti voci di spesa senza danneggiare la salute dei cittadini.