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L’altra verità della robusta crescita inglese: i giovani tornano da mammà
Se vi domandate chi stia pagando il costo della crisi, e soprattutto della cosiddetta ripresa, dovreste leggere una interessante release dell’ONS, l’istituto di statistica britannico, che mostra come i giovani tornino sempre più in massa a vivere con i loro genitori. Notizia meritevole di essere approfondita, poiché succede in quel Regno Unito dove si dice la crescita sia robusta ed effettiva. E sarà sicuramente vero, ma è solo una parte della verità.
All’ombra delle statistiche sul Pil (+2,2% nel 2015 sull’anno precedente) fioriscono, infatti, mutazioni sociali rilevanti, che riguardano il mercato del lavoro, quello immobiliare e, infine, quelle che sono le costituenti autentiche del benessere, ossia la possibilità di avere una casa, da mangiare, da vestirsi, e magari spingere questi lussi fino a farsi una famiglia.
In questo contesto, la constatazione che (vedi grafico) prima della crisi un giovane 20-34enne su cinque viveva con i genitori, mentre adesso succede a uno su quattro non è di quelle che passano inosservate. E se sarà sicuramente vero che una parte di questo cambiamento si spiega con l’evoluzione demografica in corso, per cui ci si sposa e si fanno figli più tardi, certo è curioso osservare come questa evoluzione sia avvenuta, con un evidente cambio di passo, subito dopo il 2009.
La cruda statistica la racconta così: il numero dei giovani che vive con i genitori non è mai stato così alto, almeno da quando sono iniziate queste rilevazioni, ossia dal 1996, quando erano 2,7 milioni a fronte dei 3,3 del 2015, quindi 618 mila in più. Se si segmenta la coorte nei suoi sottoinsiemi, scopriamo che circa la metà dei 20-24enni vive con i genitori, a fronte di un quinto dei 25-29enni e di un decimo dei 30-34enni. Ma ciò che fa comprendere come questa evoluzione sia motivata dal mercato più che dalle tendenze demografiche è l’analisi di un’altra variabile contenuta nello studio.
La percentuale di giovani fra i 25 e i 29 anni che posseggono una casa, infatti, è diminuita dal 55% al 30% fra il 1996 e il 2015, mentre per i 30-34enni dal 68% al 46%. Il tutto ovviamente a vantaggio del mercato degli affitti che ha subito “un notevole incremento sin dagli anni 2000”. In soldoni, molti hanno scoperto di non potersi più permettere una casa di proprietà. E il fatto che tutto ciò accada in un’economia frizzante come quella inglese dovrebbe suscitare più d’un pensierino a ognuno di noi. Ovviamente il ricorso all’affitto è stato ancora più ampio per i 20-24enni, che per il 90% abitano così, a conferma del fatto che la questione è direttamente correlata al livello del reddito. Nel 1996, per dire, i proprietari di casa di questa classe di età erano il 30% della coorte. Ora sono appena il 10.
Ovviamente la questione del reddito è direttamente collegata con quella dei prezzi, che in UK sono cresciuti notevolmente e non smettono ancora. Fra il 1971 e il 1999 la somma necessaria per comprare per la prima volta una casa con un mutuo oscillava fra le due-tre volte il reddito annuale. Dopo il 2000, sottolinea l’ONS, si è raggiunto nel 2004 il picco di 4,5 e da lì non ci sono stati più cambiamenti, visto che il calo dei prezzi dopo il 2008 è stato ampiamente recuperato.
Ovviamente questo è un dato medio. Se lo guardiamo relativamente alle coorti, scopriamo che per un 22-29enne il prezzo mediano di una abitazione pesa 11 volte il suo reddito annuale, che diventano nove per un primo compratore. Tutto ciò con l’aggravante che “mentre i prezzi delle case aumentavano, non c’è stata una crescita equivalente dei redditi”. Nel 2013, infatti, i redditi reali, quindi aggiustati per l’inflazione, per i ventenni erano il 12% più bassi di quelli del 2009. E per giunta proprio a quest’età si osserva il più alto tasso di disoccupazione.
Non stupisce perciò che ci sia stato un crollo dei mutui erogati per il primo acquisto di casa, che erano in media 486 mila l’anno fra il 1980 e il 2002 e sono arrivati a meno di 200 mila nel 2009. Malgrado un pacchetto di aiuti stanziato alla bisogna, siamo ancora intorno ai 300 mila.
Se aveste dubbi su chi si sia scaricato il costo della crisi, e anche della ripresa, è sufficiente sapere questo.
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