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Impresa al femminile: valore non da sostenere ma da riconoscere


Negli ultimi anni si parla con crescente frequenza di impresa declinata al femminile. Ma spesso se ne parla come di un settore “da sostenere”, più per motivi di equità che per reale comprensione del suo valore strategico. È una narrazione che rischia di ridurre una questione strutturale a tema accessorio o, peggio, a bandiera simbolica. La verità è che l’imprenditoria femminile non è solo una leva di inclusione: è già oggi uno dei motori più interessanti di trasformazione economica, culturale e sociale.
Osservare da vicino cosa stanno facendo oggi molte imprenditrici – nonostante ostacoli strutturali evidenti – aiuta a superare le letture semplificate. Le donne che scelgono la via dell’impresa in Italia (e altrove) non chiedono visibilità per diritto acquisito: stanno già costruendo modelli orientati all’innovazione, alla sostenibilità e all’impatto sociale. Spesso lo fanno ripensando radicalmente l’idea stessa di impresa, introducendo visioni diverse, pratiche organizzative nuove e modi alternativi di creare valore.
“Il punto non è solo aumentare il numero delle imprese femminili, ma riconoscere la qualità trasformativa del contributo che portano”, afferma Alessandra Micozzi, professoressa dell’Universitas Mercatorum. “Qui il concetto di imprenditività – la capacità di trasformare idee in azione con iniziativa, visione e adattabilità – diventa essenziale. È un mindset, non un’etichetta. E dentro questa prospettiva, le donne non sono affatto marginali: agiscono in contesti spesso sfavorevoli, con meno accesso a risorse, formazione e reti, ma continuano a innovare e adattarsi. Questo vale più di molti interventi di facciata”.
Il problema è che il contesto italiano continua a non essere favorevole. A livello culturale, il modello dominante di impresa è ancora maschile: competitivo, gerarchico, orientato alla performance più che alla sostenibilità. Questo si riflette nelle politiche pubbliche, ancora sbilanciate su strumenti generici, senza un’adeguata attenzione alle barriere specifiche che molte donne affrontano. “I dati del Global Entrepreneurship Monitor 2023 – sottolinea Alessandra Micozzi – confermano un divario di genere ancora profondo, dovuto a una combinazione di fattori economici e culturali: stereotipi persistenti, carenza di servizi di conciliazione, assenza di mentoring strutturato, scarsa rappresentanza nei settori ad alto potenziale”.
Eppure, dentro questo scenario complicato, le imprenditrici stanno portando un contributo che merita di essere letto con più attenzione. Molte delle esperienze più dinamiche e originali che emergono in Italia si basano su un diverso concetto di innovazione: meno centrata sulla tecnologia fine a sé stessa, più orientata all’impatto sistemico. Crescita economica e sostenibilità sociale non sono più elementi in conflitto, ma parte di un’unica visione integrata. In questo senso, l’impresa al femminile è spesso anche un’impresa più consapevole.
Non si tratta di idealizzare. Si tratta di riconoscere che un certo modo di fare impresa – inclusivo, collaborativo, attento al territorio e all’ambiente – trova oggi espressione concreta soprattutto in molte esperienze femminili. Alcuni casi lo dimostrano chiaramente: piattaforme che puntano sul talento giovanile, imprese che mettono al centro il riuso e l’economia circolare, modelli organizzativi orizzontali che superano la logica della leadership individuale in favore della co-creazione.
Questo non significa che tutte le donne facciano impresa in modo “diverso” dagli uomini, né che esista un unico modello virtuoso da replicare. Ma vuol dire che esistono segnali forti e coerenti che ci costringono a ripensare la categoria stessa di imprenditorialità. La capacità di adattarsi, innovare e tenere insieme visione e impatto sarà sempre più la chiave per navigare il cambiamento globale. E in questo scenario, le donne non stanno solo recuperando terreno: in molti casi stanno aprendo nuove strade.
Il dibattito pubblico dovrebbe allora fare un salto di qualità. Non basta denunciare le disuguaglianze: serve costruire soluzioni. Bisogna investire su reti di mentorship femminili, potenziare la formazione imprenditoriale nelle scuole e nelle università, incentivare la presenza femminile nei settori strategici, favorire l’accesso al credito con strumenti dedicati. Ma soprattutto, bisogna cambiare narrazione: non si tratta di aiutare le donne a fare impresa, ma di riconoscere che il loro contributo è già oggi essenziale per costruire un’economia più intelligente, inclusiva e sostenibile.

Crescita economica e sostenibilità sociale non sono più elementi in conflitto, ma parte di un’unica visione integrata. In questo senso, l’impresa al femminile è spesso anche un’impresa più consapevole (Designed by Freepik)
Molte delle riflessioni qui affrontate sono al centro del volume L’impresa al femminile. Dall’imprenditività all’empowerment per l’innovazione, pubblicato da Franco Angeli. Il libro – scritto da Claudia Covucci, Giusy Sica e Alessandra Micozzi – nasce da un progetto di ricerca del Dipartimento di Economia, Statistica e Impresa dell’Universitas Mercatorum guidato da Alessandra Micozzi, professoressa di Economia Applicata e coordinatrice dell’unità italiana del Global Entrepreneurship Monitor.
Il volume non si limita all’analisi teorica e al quadro normativo: offre una lettura concreta dell’ecosistema italiano, arricchita da casi studio reali di imprenditrici che stanno costruendo nuove traiettorie di sviluppo sostenibile. Tra questi, realtà come Re-Generation Y(outh), che valorizza il capitale umano giovanile per innovare il mondo dell’impresa, o BIOerg Srl, che integra tecnologia e sostenibilità ambientale in una filiera responsabile. Esempi che dimostrano come l’impresa al femminile non sia un segmento da sostenere, ma una frontiera da osservare con attenzione.