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Sport e doping tecnologico: tra innovazione, diritto e concorrenza


Post di Anna Maria Stein, Eversheds Sutherland Italy, e Giovanna Del Bene, Thinx Srl –
Negli ultimi anni, il fenomeno del cosiddetto “doping tecnologico” ha assunto un ruolo sempre più centrale nel dibattito sportivo e giuridico, ponendo interrogativi complessi sul confine tra innovazione lecita e frode e ponendo problemi sotto diversi profili giuridici ed etici.
Un caso emblematico è emerso di recente nel salto con gli sci, disciplina in cui l’uso di tute irregolari da parte della squadra norvegese ha sollevato numerose polemiche. La vicenda, ha evidenziato come la ricerca esasperata della performance possa sfociare nell’adozione di soluzioni che alterano l’equità della competizione.
Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio che coinvolge diversi sport invernali, caratterizzati da un uso intensivo di attrezzature altamente tecnologiche, il cui regolamento diventa sempre più difficile da normare e controllare. Con l’avvicinarsi dei prossimi Giochi Olimpici Invernali di Milano Cortina 2026, l’attenzione su queste tematiche è destinata a crescere, sollevando la necessità di un approfondimento normativo capace di bilanciare progresso tecnico e rispetto delle regole sportive.
Il celebre caso dei costumoni gommati nel nuoto
Il primo caso di doping tecnologico è stato quello relativo ai “costumoni gommati” realizzati con l’introduzione di inserti di poliuretano su gambe, petto e fianchi in una struttura di nylon. In un primo momento la Federazione Internazionale di Nuoto non sollevò alcuna obiezione. Tuttavia, si registrò tra il 2008 e il 2009 un anomalo boom di record mondiali, che portò la Federazione a vietare l’utilizzo di questa tipologia di costumi, classificandoli come doping tecnologico a causa del notevole supporto “tecnologico” apportato ai nuotatori nel galleggiamento.
La tecnologia è da sempre al servizio dello sport, per migliorare la sicurezza degli atleti e supportarne le prestazioni. La regolamentazione dei materiali e delle attrezzature in ambito sportivo è un aspetto fondamentale per garantire l’equità delle competizioni e il rispetto delle norme tecniche.
Il doping tecnologico è anche innovazione, ma crea disparità
Le federazioni sportive internazionali, come il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e le varie federazioni di sport specifici, emanano i regolamenti riguardanti i materiali e le attrezzature utilizzate nelle competizioni. Tali regolamenti possono riguardare le dimensioni, i materiali, le prestazioni e la sicurezza delle attrezzature. Oltre alle normative internazionali, ogni paese può avere le proprie regolamentazioni riguardanti i materiali e le attrezzature, spesso in linea con quelle internazionali ma adattate alle eventuali specificità locali.
In tempi relativamente recenti si è posto il problema del cosiddetto doping tecnologico. Con tale definizione ci si riferisce all’uso di tecnologie avanzate o attrezzature non conformi per migliorare le prestazioni sportive in modo non conforme ai regolamenti e alle normative sportive.
Il fenomeno del doping tecnologico pone importanti questioni giuridiche, non solo di diritto sportivo ma anche sotto il profilo del diritto della proprietà intellettuale e del diritto della concorrenza.
Da un lato, l’innovazione tecnologica è protetta attraverso strumenti legali che incentivano la ricerca e garantiscono un ritorno economico agli sviluppatori. Dall’altro, l’uso esclusivo di tecnologie avanzate da parte di alcuni atleti o squadre crea una disparità competitiva, potenzialmente in contrasto con i principi della concorrenza.

La ricerca esasperata della performance può sfociare nell’adozione di soluzioni che alterano l’equità della competizione (Designed by Freepik)
La correlazione tra doping tecnologico e proprietà intellettuale
Esiste infatti una correlazione tra doping tecnologico e proprietà intellettuale altrettanto complessa, perché le innovazioni tecnologiche che potrebbero essere utilizzate per migliorare le prestazioni sportive sono spesso protette da diritti di proprietà intellettuale, soprattutto da brevetti e segreti industriali. Vi è poi un ulteriore tema rappresentato dai dati relativi alle prestazioni degli atleti che sono generati o anche solo raccolti attraverso questi dispositivi tecnologici. Questi dati rappresentano un asset intangibile di estremo valore per ottimizzare le prestazioni degli atleti.
Sotto un profilo concorrenziale, il rischio è che la protezione attraverso diritti di proprietà intellettuale possa trasformarsi in uno strumento di esclusione. A ciò si deve aggiungere anche il tema dell’accessibilità a tali tecnologie anche sotto il profilo economico.
Questo problema potrebbe essere affrontato con soluzioni normative come, sulla base di esperienze passate, in settori diversi quali, ad esempio, quello della tecnologia relativa alle comunicazioni. Si potrebbero così ipotizzare delle licenze obbligatorie per talune tecnologie essenziali, sempre che non comportino doping, consentendo così un uso equo da parte di tutti gli atleti e alle federazioni sportive.
Un’ulteriore possibilità potrebbe essere l’applicazione della dottrina delle “essential facilities”, principio del diritto antitrust, secondo cui una impresa in posizione dominante, che controlla una risorsa essenziale per la concorrenza e il mercato, può essere obbligata a concedere l’accesso a tale risorsa a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie.
Il tema delle concessioni in licenza e delle partnership
Tale teoria, originariamente sviluppata nel contesto delle infrastrutture (come porti, reti ferroviarie o sistemi di telecomunicazione) è stata estesa anche alla proprietà intellettuale, sebbene con maggiore cautela. Così, ad esempio, una azienda che detiene una tecnologia sportiva chiave potrebbe essere obbligata a concederla in licenza a condizioni eque, evitando discriminazioni tra atleti e federazioni.
Infine, andrebbero incentivate partnership tra federazioni e aziende, per garantire la disponibilità delle tecnologie a tutti gli atleti qualificati. Attraverso accordi di collaborazione, le federazioni potrebbero negoziare licenze agevolate o l’adozione di modelli di licenza FRAND (Fair, Reasonable, and Non-Discriminatory) per consentire a tutti gli atleti qualificati di usufruire delle tecnologie più avanzate, indipendentemente dalla loro disponibilità economica o dal supporto di sponsor privati.
Tali accordi potrebbero anche incentivare lo sviluppo di nuove soluzioni, con le aziende che beneficiano del know-how tecnico derivante dall’esperienza diretta degli atleti e delle federazioni. Inoltre, potrebbero essere previsti fondi o programmi di supporto per atleti emergenti, evitando che il gap tecnologico diventi un fattore discriminante nelle competizioni. Un simile approccio favorirebbe non solo l’innovazione, ma anche la diffusione equilibrata delle tecnologie sportive, contribuendo a rendere il contesto competitivo più equo e meritocratico.
Il doping tecnologico e l’urgenza di regole chiare
Il diritto della concorrenza potrebbe intervenire in caso di abuso di posizione dominante da parte di aziende che detengono monopoli su tecnologie sportive essenziali, ad esempio valutando eventuali pratiche escludenti, come prezzi eccessivi o restrizioni all’accesso alla tecnologia.
In conclusione, il doping tecnologico solleva un dilemma tra innovazione, equità sportiva e concorrenza. Il diritto sportivo deve stabilire regole chiare per evitare che la tecnologia diventi un fattore discriminante, mentre il diritto della proprietà intellettuale e della concorrenza devono prevenire monopoli ingiustificati, garantendo un accesso equo alle innovazioni. Solo un bilanciamento tra questi interessi potrà assicurare il rispetto della competizione leale senza soffocare il progresso tecnologico nello sport.