Il gioco della torre del Codice della Strada: salute o sicurezza?

scritto da il 10 Febbraio 2025

Post di Sara Di Battista, Senior Associate Ontier Italia, esperta in litigation –

Al centro del dibattito e delle discussioni degli ultimi mesi c’è la riforma del Codice della strada, entrata in vigore il 14 dicembre 2024.

Il Nuovo Codice della strada, come noto, prevede ulteriori strette riguardanti l’uso dei cellulari alla guida, la guida in stato di ebrezza o dopo aver assunto stupefacenti.

Particolare oggetto di discussione è la riforma apportata all’art. 187 del Codice della Strada, che disciplina il caso di guida dopo l’assunzione di sostanze psicotrope.

La vecchia formulazione dell’articolo prevedeva, infatti, la punizione di “Chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope …”.

Il reato consisteva, dunque, nel porsi alla guida della vettura in stato di alterazione psico-fisica, causato dall’assunzione di sostanze psicotrope e, per la sua configurazione, era essenziale l’accertamento del nesso causale tra il consumo della sostanza e l’alterazione sull’organismo, come accertato di recente, in più di una occasione, dalla Cassazione penale (sentenze n. 5890/2023 e n. 22682/2923).

Lo stato di alterazione non è necessario, basta la semplice assunzione

La nuova formulazione dell’articolo 187 del Codice della Strada prevede ora, invece, semplicemente la punizione di “Chiunque guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope …”.

Quindi, non è più necessario verificare se il conducente si trovi in stato di alterazione psico-fisica a causa dell’assunzione di tali sostanze.

Le sanzioni, penali e amministrative, scattano automaticamente per il conducente che risulti positivo all’uso di qualsiasi sostanza psicotropa.

L’indicazione della legge contraddice l’esperienza clinica 

Ora, questa indicazione della legge risulta essere tutt’altro che chiara e coerente rispetto al contesto scientifico e sociale cui si connette e, anzi, favorisce l’insorgere di sensibili contraddizioni e criticità, legate proprio all’assunzione di sostanze psicotrope, trascurandone gli effetti ad ampio spettro. Emblematico, ad esempio, è il ricorso all’utilizzo della cannabis a fini terapeutici, che negli ultimi anni ha introdotto nuove prospettive nel campo della medicina.

Come accennato, infatti, negli ultimi anni l’uso della cannabis a scopo terapeutico ha aperto un nuovo fronte nel campo della cura di alcune patologie, offrendo sollievo ai malati di disturbi cronici.

Gli studi attuali e l’esperienza clinica maturata nel tempo hanno dimostrato che la cannabis a dosaggi terapeutici non incide negativamente sulle capacità cognitive; al contrario, grazie al sollievo da sintomi come il dolore, spasmi muscolari e disturbi del sonno, molti pazienti hanno riportato un miglioramento nella capacità di concentrazione.

Sebbene i benefici terapeutici siano stati ampiamente documentati e riconosciuti, l’uso della cannabis a scopo terapeutico è privo di una compiuta disciplina normativa che puntualmente indichi cosa è lecito o non è lecito fare per chi è sottoposto a questo tipo di terapia.

Il rapporto tra le terapie con cannabis e la guida dei veicoli, ad esempio, solleva ancora molte questioni, sia per quanto attiene il rilascio e il rinnovo della patente di guida, sia per quanto attiene la circolazione su strada.

“È evidente la necessità di modificare nuovamente il Codice della strada per evitare sanzioni ingiuste” (Designed by Freepik)

Sostanze psicotrope rintracciabili per settimane

Ad esempio, il THC (tecnicamente denominato “delta-9-tetraidrocannabinolo”), uno dei maggiori e più noti principi attivi della cannabis, rientra nella definizione di sostanza psicotropa – e quindi nel divieto del nuovo Codice della strada – e risulta presente fino a tre settimane nel sangue; nelle urine, anche un mese dopo l’ultima assunzione; nel capello, fino a tre mesi).

Il CBD (tecnicamente denominato cannabidiolo) è rilevabile fino a 80 ore dopo l’uso e, addirittura, in caso di uso di farmaci antinfiammatori, si possono verificare casi di falsi positivi (il CBD non è più presente nell’organismo, ma il test ha comunque esito positivo), mentre, per la guida in stato di ebrezza, le sanzioni sono applicabili solo se viene superata una determinata soglia – e, quindi, non per il solo fatto di aver assunto alcol, ma per averlo assunto in dosi superiori al consentito – e, comunque, sono graduate in base al tasso alcolemico presente al momento dell’accertamento.

Incorrere nel reato in assenza di alterazione ora è possibile

Per tutte le sostanze psicotrope, invece, basterà la semplice positività al test – positività che, peraltro, di per sé, non implica l’essere un pericolo alla guida, come confermato anche dalla giurisprudenza della Cassazione penale (sentenza n. 40543/2021).

In sintesi, non essendo più necessario lo stato di alterazione psico-fisica secondo le nuove regole in vigore dal 14 dicembre scorso, il conducente può essere chiamato a rispondere del reato di cui all’articolo 187 del Codice della Strada dopo l’assunzione di un farmaco psicoattivo, pur in assenza di alterazione delle proprie capacità cognitive.

Il contesto internazionale e il nuovo Codice della Strada

L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato che il cannabidiolo non presenta potenziale di abuso o dipendenza e possiede un profilo di sicurezza elevato.

Nel dicembre 2020, pertanto, la Commissione droghe delle Nazioni Unite ha votato per cancellare definitivamente la cannabis dalla tabella IV delle sostanze sotto controllo internazionale più pericolose, riconoscendone il potere terapeutico.

Nello stesso giorno, la Commissione Europea ha chiarito che i prodotti contenenti cannabidiolo possono essere inseriti nella lista dei novel food dell’Unione Europea, dando il via libera per il loro finanziamento con i fondi della politica agricola comune.

D’altronde, già nel 2018, la Corte di Giustizia Europea aveva stabilito che uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro se non sussistono evidenze scientifiche concrete di rischi per la salute pubblica (sentenza Kanavape C-663/2018). Con la conseguenza che il divieto di commercializzazione di CBD potrebbe essere visto come violazione del diritto comunitario.

In Australia, Israele, Georgia, Macedonia, Messico e Sudafrica avanzano le riforme, mentre in America Latina molti governi hanno adottato leggi per consentire la produzione di cannabis a fini terapeutici.

Anche in Europa si registrano avanzamenti in questa direzione: Malta e Lussemburgo hanno legalizzato la cannabis anche a scopo ricreativo nel 2023; in Germania, da aprile 2024, è consentito coltivare fino a tre piante di cannabis per uso personale; nei Paesi Bassi sono in corso sperimentazioni per regolarizzare la filiera che rifornisce i coffee shop con l’obiettivo di legalizzare la coltivazione e garantire un prodotto sicuro; in Portogallo, dal 2001, il consumo personale di cannabis è stato depenalizzato con limitazioni circa la quantità.

Prima del nuovo Codice della strada: il decreto Lorenzin

In Italia, l’uso personale di cannabis rimane illegale.

Solo il possesso di piccole quantità di cannabis per uso personale è stato depenalizzato, con la conseguenza che, in questo caso, non sono applicabili le sanzioni penali, ma solo le sanzioni amministrative, quali la sospensione della patente di guida e la segnalazione alle autorità competenti. Inoltre, solo con il Decreto del 9 novembre 2015 (c.d. “Decreto Lorenzin”), l’Italia ha legalizzato l’uso della cannabis per finalità mediche, nel trattamento del dolore cronico e di quello associato alla chemioterapia, alla radioterapia, alle terapie per l’anoressia, il glaucoma, la sindrome di Gilles de la Tourette, la sclerosi multipla e nel trattamento delle lesioni del midollo spinale.

Il Decreto Lorenzin, tuttavia, ha introdotto specifiche restrizioni alla guida di veicoli per i pazienti sottoposti a questo tipo di terapie, consigliando di astenersi dalla guida e da altre attività che richiedono allerta mentale e coordinazione fisica, per almeno 24 ore dopo l’ultima somministrazione (v. par. 4.6 dell’allegato tecnico al Decreto Lorenzin). Trattasi quindi di una mera prescrizione, un invito, e non di un divieto, che lascia al paziente l’onere di decidere se sia pronto o meno a mettersi alla guida.

Il consiglio offerto dal Decreto Lorenzin, pur aprendo ad amplissimi margini di discrezionalità, era coerente con gli altrettanti amplissimi margini di discrezionalità lasciati alle autorità dal Codice della strada nella sua precedente formulazione.

Criticità della normativa in vigore e prospettive di miglioramento

È evidente la necessità di modificare nuovamente il Codice della strada per evitare che sanzioni ingiuste siano applicate a chi utilizza legalmente la cannabis a fini terapeutici e non si trovi in uno stato di accertata alterazione psico-fisica.

L’auspicio non è riprendere la precedente formulazione dell’art. 187 del Codice della strada che, in ogni caso, lasciava spazio ad incertezza e valutazioni soggettive da parte delle autorità che, in ogni caso, senza le competenze necessarie, erano tenuti a valutare lo stato psicofisico del conducente. Difatti, la mancanza di chiarezza del vecchio precetto e le possibili divergenze interpretative che ne sono scaturite non giovavano certo alla libertà e all’autonomia dei pazienti, con ricadute negative e ingiuste sotto tali profili.

Oltre alle patologie che li affliggono, i pazienti vivono, lavorano e guidano la propria vettura con il terrore di vedersi sospendere la patente o di incorrere in sanzioni ancora più gravi, pur non essendo un pericolo per la sicurezza pubblica.

Codice della strada: perché non tenere conto della prescrizione medi

La soluzione, ad avviso di chi scrive, potrebbe essere piuttosto rinvenuta nella previsione di soglie di rilevanza e nella graduazione della pena, in base ai livelli di THC e CBD presenti nell’organismo al momento dell’accertamento, così come previsto per l’alcolemia.

La guida, quindi, andrebbe in ogni caso consentita solo a chi legalmente ha assunto cannabis – e, quindi, sia in possesso della relativa prescrizione medica (con l’auspicio che il certificato medico possa essere privo dell’indicazione della patologia trattata, garantendo così la privacy e la dignità del paziente) – e, comunque, si sia messo alla guida in condizioni psicofisiche adeguate alla circolazione su strada in condizioni di sicurezza per sé e per gli altri.

L’introduzione di criteri oggettivi per l’individuazione dello stato di alterazione psico-fisica dopo l’assunzione di sostanze psicotrope consentirebbe di garantire la sicurezza stradale, oltre che la certezza del diritto e l’uguaglianza dei cittadini, prevenendo gli abusi.

E il rinnovo della patente? Cittadini in balia delle contraddizioni

Vi è poi una ulteriore incertezza che caratterizza la nuova disciplina e che si riscontra in sede di rilascio e di rinnovo delle patenti di guida: i pazienti sono tenuti a dichiarare di essere sottoposti a tali cure? La Commissione locale competente a decidere può rifiutare il rilasciare o rinnovare l’abilitazione alla guida? Tenuto conto che la decisione della Commissione rientra nell’ambito della discrezionalità tecnica amministrativa, la decisione è impugnabile dinanzi al TAR il quale, tuttavia, non può entrare nel merito della questione.

Alla luce di quanto sin rappresentato, in mancanza di una riforma legislativa più accorta e ponderata, che si dimostri maggiormente coerente ed efficace nel quadro composito appena delineato, il rischio è quello di vanificare gli obiettivi pur apprezzabili della normativa in commento, lasciando i cittadini interessati dal problema in balia degli eventi, delle incertezze e delle contraddizioni.

Occorre, dunque, individuare la giusta misura e proporzione per ripensare talune previsioni e agevolarne l’attuazione, senza porre la società di fronte a un rischioso, improprio e non necessario “gioco della torre”, in cui essere chiamati a scegliere tra sicurezza e salute.