L’era Trump e la necessità di una svolta europea sulla difesa

scritto da il 03 Febbraio 2025

Scritto da Bruno Salerno, co-founder di “Pillole di Politica”, laureato in Politiche Europee ed Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Consulente; e Filippo Lera, laureato in Politiche Europee ed Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Export Manager –

“Bitter medicine”[1]. Così alcuni giornalisti hanno definito la rielezione di Donald Trump su Politico. Se da un lato la vittoria del tycoon genera grandi incertezze sulle questioni di politica internazionale, come la gestione dei conflitti in Medio Oriente e Ucraina o i rapporti con l’Alleanza atlantica, l’insediamento di Donald Trump, potrebbe rappresentare una vera e propria sveglia per l’Unione Europea. Secondo alcuni analisti l’elezione di Trump  rappresenterebbe un’occasione europea per “diventare adulti”: la politica dell’America First e un maggiore disimpegno dalle responsabilità globali potrebbero indurre l’Europa ad avere maggiore controllo dei propri interessi e della propria sicurezza.

In un contesto in cui Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti e le guerre sono ritornate alle porte del Vecchio Continente, la mancanza di una strategia condivisa e operativa nel settore della difesa espone l’Europa a una grande incertezza strategica. Partire dunque dai fattori che non consentono, ad oggi, di avere un progetto comune ben strutturato ed efficace in questo campo, è essenziale per comprendere le componenti su cui, anche a fronte dell’elezione di Donald Trump, è necessario lavorare. A tale fine risulta oggi più che mai impellente un cambio di passo sul piano politico, industriale e culturale.

Gli Stati e i timori di ingerenze su questioni nazionali

La maggior parte degli stati dell’Unione Europea sono storicamente restii nel favorire l’integrazione e la cooperazione nel settore della difesa. Il timore per è che una gestione tutta europea in un campo come questo possa provocare delle ingerenze su questioni che vengono considerate prettamente nazionali. È un tema che assume una connotazione ancora più significativa se guardiamo alla crescita dei partiti nazionalisti in Europa da un lato e l’indebolimento dell’asse franco-tedesco dall’altro.

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Ciò che si auspica è che l’Unione Europea, come affermato da Mario Draghi durante la cerimonia del Premio ISPI 2024, inizi ad assumere un maggior ruolo di guida su ambiti come quello della difesa. Risulta fondamentale in quanto, in un mondo così fragile e interconnesso dove ogni evento locale può avere conseguenze immediate nell’altra parte del globo, solo grandi potenze come Stati Uniti, Russia, Cina riescono a esercitare un’influenza significativa. Per tale ragione, i singoli SM, agendo da soli su questioni globali,  faticano a competere singolarmente con attori di tale portata. Emerge dunque con urgenza la necessità di un profondo ripensamento della struttura degli organi europei in quanto solo attraverso una maggiore coesione istituzionale e un rafforzamento della collaborazione tra i Paesi membri, l’Europa potrà competere con le grandi potenze internazionali.

Per una difesa comune europea servono obiettivi comuni

L’elezione di Donald Trump potrebbe quindi accelerare un progetto di questo tipo consentendo all’UE di rimodellare il proprio impianto di difesa. Per farlo è necessario innanzitutto capire quale significato vuole dare l’UE al concetto di “difesa comune”. Difesa comune europea, infatti, non vuol dire soltanto allocare più risorse per questo settore  bensì capire innanzitutto quali sono gli obiettivi da perseguire, comprendere quali sono le minacce che influiscono sulla nostra sicurezza, identificare quali sono i fronti maggiormente vulnerabili. E sulla base di questi fattori creare una strategia militare adeguata.

Prima ancora di dire “difesa comune europea”, occorre quindi intercettare le necessità difensive di cui ha bisogno l’UE e sulla base di queste allocare correttamente le risorse economiche per rafforzare le capacità difensive europee. Tenendo sempre in considerazione i tanti malumori che nel corso degli anni si sono registrati in sede NATO dove le preoccupazioni di avere un progetto parallelo all’Alleanza atlantica sono state sempre alte.

Il grande boomerang: USA fuori dalla NATO

E’ utile inoltre evidenziare che seppur Donald Trump ha più volte minacciato la fuoriuscita degli USA dalla NATO, è improbabile che ciò accada per due motivi:

1) come affermato dai Professori Andrea Gilli e Lorenzo Castellani in un Policy Paper per il Policy Observatory della School of Government della Luiss, “Donald Trump non farà uscire gli Stati Uniti dalla NATO. Non solo perché non può, ma soprattutto perché non ne ha alcun interesse. L’Europa rappresenta infatti il principale partner economico e commerciale degli Stati Uniti – tralasciando i legami storici, culturali, politici e ideologici”[2]. Un disimpegno totale dalla NATO sarebbe dunque un vero e proprio boomerang che si ritorcerebbe contro gli Stati Uniti e i rapporti transatlantici;

2) ci sono delle complicazioni oggettive legate a una simile decisione. Con un emendamento al National Defense Authorization Act presentato dai Senatori Tim Kaine e Marco Rubio e approvato con 65 voti a favore (inclusi i voti di alcuni Repubblicani), il Presidente degli Stati Uniti che vorrà ritirarsi dalla NATO dovrà avere l’approvazione dei due terzi del Senato o essere autorizzato da un atto del Congresso, il che rende ancora più difficile una decisione di questo tipo. Quello che potrebbe invece verificarsi è un maggiore disinteresse nei confronti dell’Alleanza Atlantica da parte degli Stati Uniti, con un Trump che prediligerà maggiormente i rapporti bilaterali (ad esempio con l’Italia, è ormai noto ai più il rapporto  tra Trump e Meloni).

Gli ostacoli per l’industria bellica europea

Sul piano industriale, invece, l’industria bellica europea si scontra ad oggi con la necessità di una maggiore spesa da parte dei governi ed un migliore utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione.

Storicamente gli Stati Uniti, sia con amministrazioni democratiche che con amministrazioni repubblicane, hanno preteso un maggiore impegno finanziario da parte dei membri dell’Alleanza Atlantica per raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL nel settore della difesa (impegno che ad oggi non tutti i Paesi hanno rispettato – Fig n 1).

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Fig.1: Spesa militare Paesi NATO[3]

In principio fu la richiesta di Obama

Sebbene Donald Trump sia stato spesso percepito come un leader “disruptive” nei confronti dell’ordine internazionale, la richiesta di un maggiore contributo europeo alla difesa non è nata con lui. Barack Obama, ad esempio, pur mantenendo toni più concilianti, fu altrettanto insistente su questo punto.

Ad oggi, se tutti gli SM europei appartenenti alla NATO rispettassero l’impegno del 2% del PIL, la spesa europea per la difesa, così come riportato all’interno del Rapporto Draghi, aumenterebbe di circa 60 miliardi di euro. Una cifra che, se sommata agli attuali 313 miliardi spesi dall’UE, consentirebbe a quest’ultima di posizionarsi al secondo posto dopo gli USA , che investono 916 miliardi, e prima della Cina, con 296 miliardi.

Maggiori risorse alla Nato? Il rischio di spendere di più e male

Quello che sembra ormai certo è che le diverse inadempienze (burden sharing) che ad oggi si registrano a scapito di chi rispetta questi obiettivi, primi fra tutti gli USA, porteranno Trump a pretendere una maggiore spesa da tutti i membri della NATO: non più il 2% bensì il il 5% del PIL come già ribadito dallo stesso tycoon. È necessario sottolineare che gli obiettivi di 2% prima e del 5% oggi, sono in realtà parametri inconcludenti se ad una maggiore spesa non si affianca una migliore allocazione delle risorse.

Per fare un esempio, gran parte della spesa europea per la difesa viene impiegata per il personale e troppo poco per la ricerca e sviluppo. Sarebbe auspicabile altresì una migliore spesa sul piano del coordinamento produttivo di armamenti per l’apparato militare.

La difesa europea oggi: quadro produttivo troppo frammentato

Ogni Paese, in Europa, produce “da sé” e questo provoca diverse conseguenze negative sulla produzione, come ad esempio: 1) una grande frammentarietà che non consente di sfruttare le economie di scala. Una scarsa produzione non permette infatti di abbattere i costi unitari dell’output che viene prodotto; 2) dal punto di vista qualitativo, se ogni Paese produce armamenti senza un reale coordinamento europeo, si corre il rischio di duplicare la produzione di armamenti,  generando così delle rilevanti inefficienze; 3) la minore velocità di produzione e commercializzazione da parte degli SM spinge diversi Paesi a preferire armamenti made in USA in quanto off the shelf.

Se la produzione di armamenti richiede tanti anni prima di averli pronti all’uso questo potrebbe generare situazioni in cui tali armamenti potrebbero risultare obsoleti. È quindi prioritario incentivare collaborazioni, sinergie, partnership tra le aziende che operano nella base industriale europea della difesa al fine di mettere a fattor comune know-how ed ottenere una produzione massiccia che garantisca rapidità e disponibilità produttiva. La Joint Venture tra Leonardo e Rheinmetall va proprio in questa direzione.

Infine, c’è anche un fattore culturale su cui è necessaria una riflessione da parte degli europei. Il “Vecchio Continente” garantisce pace e sicurezza ai propri abitanti da circa 70 anni. La storia ci dimostra però che questi due principi, con l’invasione della Russa in Ucraina da un lato e la guerra in Medio Oriente dall’altro, non si ottengono gratuitamente ma che al contrario vanno difesi anche sostenendo dei costi veri e propri. Sostenere investimenti in questo settore significa anche difendere le libertà su cui l’Europa ha fondato la propria esistenza.

Le due ipotesi per la difesa europea: debito comune e patto di stabilità

Due sono le proposte che stanno particolarmente prendendo piede a Bruxelles: debito comune europeo della difesa e l’eliminazione degli investimenti per la difesa dal Patto di Stabilità. 

Il Next Generation EU, il programma SURE e gli aiuti all’Ucraina sono dei chiari esempi su come l’UE, seppur con alcune difficoltà derivanti da alcune frizioni interne come quelle dei Paesi frugali, possa riuscire a dare una risposta alle grandi sfide attuali. Uno dei campi su cui la nuova CE sarà chiamata a svolgere uno sforzo di questo tipo, tramite l’emissione di titoli di debito comune da parte di tutti gli SM è proprio la difesa. Una prima luce si intravede, lo abbiamo visto lo scorso novembre in occasione del Vertice di Varsavia dove i Ministri degli Esteri della Polonia, Italia, Germania e Francia si sono pronunciati ufficialmente a favore di obbligazioni europee per finanziare gli investimenti in difesa [4].

Una proposta sensata che eviterebbe ad ogni Stato Membro di avere diversi interessi sul debito e agevolando gli stessi nel rafforzamento della base industriale europea tramite garanzie europee e non nazionali. Il raggiungimento di questa intesa assume una connotazione ancora più importante per via della presenza della Germania al Vertice di Varsavia, storicamente molto prudente sul tema del debito comune. La seconda proposta, più complessa, portata avanti dall’attuale Ministro della Difesa Crosetto, è quella di togliere dal Patto di Stabilità gli investimenti per la difesa.

Una maggiore libertà di spesa in sede di legge di bilancio

Tale proposta consentirebbe di escludere dal calcolo dei parametri di bilancio che i Paesi dell’UE devono rispettare le spese destinate alla difesa e alla sicurezza. In questo modo i Governi riuscirebbero ad avere maggiore flessibilità nei conti pubblici e maggiore libertà di spesa in sede di legge di bilancio, consentendo ad alcuni di questi di raggiungere gli obiettivi concordati in sede NATO.

La “medicina amara” di Trump potrebbe rivelarsi un’opportunità di trasformazione per l’Europa che potrà decidere di affrontare i prossimi anni per rafforzare la propria struttura politica ed economica. L’Europa dovrà rispondere a questo invito al cambiamento per garantire la propria sicurezza e raggiungere una vera e propria autonomia strategica. Ma anche e soprattutto per ridefinire il proprio ruolo nel mondo.

NOTE

[1] Moens B., Vinocur N., Lau S., Barigazzi J., Bitter medicine: Why some EU officials quietly yearn for Trump”, Politico.eu, October 30, 2024.

[2] A.Gilli, L. Castellani, Non solo rischi, ma anche opportunità. Le prospettive della relazione tra Italia e Stati Uniti d’America con la seconda presidenza Trump, Luiss Policy Observatory, pg. 2, Novembre 2024.

[3] Geopolitical Future, A Closer Look at NATO Spending, March 15, 2024.

[4] Ansa, Al Summit di Varsavia intesa sugli eurobond per la Difesa, Novembre 2024