categoria: Vicolo corto
Etica del consumo: scegliere (bene) fa davvero la differenza?
È possibile fare scelte economiche, di consumo o di investimento finanziario, basandosi su regole etiche? Non sono in grado di rispondere a questa domanda, ma capita, a volte, che le nostre scelte producano effetti opposti a quelli che avremmo desiderato, e per cui abbiamo proprio fatto quelle scelte e non altre. In altre parole, può succedere che una scelta economica “etica”, cioè fatta non sulla base del proprio tornaconto monetario ma seguendo principi etici generali, porti risultati non etici? Disinvestire le azioni in un’impresa “cattiva” potrebbe, ad esempio rendere più attraente per potenziali compratori quell’impresa, dal punto di vista del prezzo o del profitto.
La via etica del kiwi o dei musei
Uno dei principi di etica economica, abbastanza condiviso, è che chi lavora deve essere trattato dignitosamente sia nelle condizioni di lavoro sia nel salario. Un principio che è largamente disatteso nel caso di migranti che raccolgono la frutta e la verdura che arriva sulle nostre tavole. È spiacevole pensare che i kiwi o i pomodori che mangiamo sono stati raccolti da persone che lavorano fino a 12 ore al giorno senza pause, senza ferie, senza garanzie per la salute, con salari in alcuni casi drammaticamente al di sotto del minimo legale, fino al 3-4 euro all’ora (fonte: Francesca Cicculli e Stefania Prandi, Agro Punjab: lo sfruttamento dei sikh nelle campagne di Latina, Nottetempo, 2024). Sulle condizioni di lavoro nelle campagne italiane una fonte utile è qui.
Questa consapevolezza può rovinare Il gusto dei kiwi e dei pomodori? Lo stesso potrebbe valere per il teatro e i musei, dove vi sono casi analoghi di sotto retribuzione dei lavoratori delle cooperative (fonte: Avvenire, giovedì 9 gennaio 2025).
Ammesso, e non concesso, che il consumatore sappia se un kiwi o una rappresentazione teatrale o una mostra di quadri, o una bottiglia di barolo è o non è “macchiata” dallo sfruttamento dei lavoratori, ebbene, che dovrebbe fare? Non comprare i kiwi? Non andare a teatro? Non visitare la mostra? Non bere barolo?
Comprare o non comporare? Questo è il dilemma
Non lo so, ma ho provato a fare un ragionamento per assurdo, sul mercato dei kiwi, che espongo qui di seguito.
Supponiamo che tutti siano perfettamente informati sulla origine dei kiwi e sul trattamento dei lavoratori immigrati Sikh che li raccolgono. I consumatori potrebbero allora decidere di boicottare i kiwi che provengono da una filiera macchiata dal trattamento ingiusto dei lavoratori. Questa scelta produrrebbe un crollo delle vendite di quel produttori diciamo cattivi, e un conseguente crollo dei loro incassi, che potrebbe portare al licenziamento di centinaia di lavoratori immigrati. Questi ultimi non potrebbero più fare fronte ai debiti che hanno contratto per venire in Italia, la loro condizione sarebbe sicuramente peggiore di quella, già precaria, precedente.
Proseguiamo nel nostro ipotetico ragionamento: in un secondo scenario i consumatori acquistano in massa i kiwi raccolti dai Sikh, con l’intenzione di finanziare quella filiera e favorire un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro. Potrebbe accadere che l’afflusso di entrate straordinarie favorisca oltre ai profitti degli imprenditori anche la forza lavoro?
Fra un male certo e un beneficio incerto
È un’ipotesi ardua, indubbiamente, ma aperta. Perché si realizzi dovrebbero convergere le politiche sindacali, il sentimento dell’opinione pubblica, i controlli dei regolatori, la volontà dei produttori, tutte condizioni di non facile realizzazione. Il primo scenario, però, ha un esito negativo certo, il secondo è incerto. E fra un male certo e un beneficio incerto la scelta dovrebbe cadere sulla seconda opzione.
Ma in questa incertezza, nel frattempo, forse non resta che continuare a comprare, perplessi, i soliti kiwi.