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Pmi, più formazione per la twin transition. Ecco la formula vincente
Post di Sara Lombini, ricercatrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano –
La twin transition, ossia la simultanea transizione verso modelli economici e di business più digitali e più orientati alla sostenibilità ambientale, rappresenta un’importante direttrice di cambiamento per la società e l’economia a livello globale. Un recente report del World Economic Forum[1] inserisce proprio l’evoluzione tecnologica e la transizione green tra le tendenze che più influiranno sulla trasformazione delle aziende nei prossimi cinque anni.
In un contesto di cambiamenti rapidi, incertezza economica e frammentazione geopolitica, per molte piccole e medie imprese la twin transition rappresenta una sfida cruciale per rimanere competitive sui mercati. Spinte da necessità contingenti (come il mantenimento dell’operatività nel periodo pandemico o il contenimento dei costi durante la crisi energetica), dagli avanzamenti tecnologici e dall’evoluzione normativa, le PMI italiane hanno iniziato ad affacciarsi a questo nuovo paradigma, ma il tempo della maturità non è ancora giunto.
La mancanza di competenze adeguate
Per le piccole e medie imprese, uno dei principali ostacoli alla trasformazione è la mancanza di competenze adeguate: secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, oltre un terzo delle PMI italiane considera tale carenza la principale barriera alla digitalizzazione della propria impresa e una percentuale analoga spiega così la mancata attenzione della propria azienda nei confronti di obiettivi di sostenibilità ambientale.
Si tratta di un problema che si inserisce in un tema più ampio. La twin transition porta con sé la necessità di competenze nuove, di natura sia tecnica sia trasversale, e una crescente domanda per profili in grado di integrare queste due tipologie di competenze. Questa evoluzione ha generato una forte discrepanza tra l’offerta di competenze presenti sul mercato del lavoro e la domanda da parte delle aziende. Ad amplificare questo fenomeno, si aggiunge la difficoltà delle piccole e medie imprese di attrarre nuove risorse – in particolare, i giovani – e di mantenere quelle presenti, in particolar modo, i giovani.
Ecco, quindi, che trovare e assumere personale con competenze in linea con le proprie necessità di business diventa particolarmente complesso per le PMI. Secondo i dati dell’Eurobarometro[2], nel 2023 risultava in questa situazione l’80% delle piccole imprese italiane e il 59% delle medie (a fronte di valori medi europei del 77% per le piccole imprese e del 68% per le medie). Alle imprese è chiara la rilevanza di tale situazione: oltre la metà delle PMI (58% in Italia, 54% in Unione Europea) identifica proprio queste difficoltà come il principale problema da affrontare.
La necessità di investire in programmi di formazione continua
Alla luce di una difficoltà diffusa a identificare e reclutare personale con competenze adeguate alle proprie necessità, le imprese – e le PMI in particolar modo – possono investire in programmi di formazione continua. Ricorrendo a percorsi di upskilling e reskilling, le aziende possono sviluppare le competenze necessarie per affrontare la twin transition, tenendo il passo delle evoluzioni tecnologiche e coltivando le soft skills.
Queste ultime, come la capacità di risolvere problemi imprevisti, di comunicare e collaborare in modo efficace, di cercare e valutare informazioni, sono fondamentali per essere in grado di adattarsi a futuri shock esterni e alle trasformazioni del mercato. Non va dimenticato, inoltre, che la formazione può essere un importante strumento per rendere le imprese maggiormente attrattive nei confronti del personale attuale e di nuove figure.
Tuttavia, come evidenziato dalla ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, il 30% delle PMI italiane non svolge attività di formazione formale, ossia attività formative strutturate e con contenuti definiti. La mancanza di una struttura organizzativa adeguata (come l’assenza di un responsabile per la formazione) e la percezione che non vi sia tempo da dedicare alla formazione durante l’orario di lavoro sono i principali fattori che determinano questa carenza.
Il 16% delle piccole e medie imprese italiane non svolge alcuna attività formativa ad eccezione di quelle obbligatorie per legge (come corsi sulla salute e sicurezza sul lavoro), mentre il 14% si limita ad attività formative di tipo informale. Per queste ultime, la formazione si realizza esclusivamente mediante la condivisione di esperienze, l’affiancamento da parte di colleghi più esperti e l’apprendimento attraverso il fare.
Sebbene queste siano ottimali per trasmettere la conoscenza tacita – come abilità manuali e artigianali, conoscenza di processi non documentati, capacità relazionali e conoscenza della cultura aziendale – risultano poco efficaci nell’introdurre nuove competenze e conoscenze necessarie per affrontare le sfide della twin transition. La transizione digitale e green richiede, infatti, che in azienda si crei un bagaglio di conoscenze e competenze comuni e trasversali, a cui la totalità dei dipendenti – e non solo pochi – possa attingere.
Il 70% delle PMI italiane, invece, svolge attività formative sia formali sia informali, anche se la maggior parte di esse approccia il tema ancora in maniera prevalentemente estemporanea, senza una vera e propria pianificazione né una valutazione dell’efficacia delle iniziative.
Le attività svolte dalle imprese negli ultimi due anni hanno riguardato prevalentemente la formazione generica per lo sviluppo di competenze hard (normative, lingue straniere, utilizzo di tecnologie digitali software, …) e soft (capacità relazionali, lavoro in gruppo, comunicazione, leadership, …).Oltre la metà delle PMI che svolge attività formative formali si è concentrata su tematiche relative alla digitalizzazione, come l’utilizzo di come l’utilizzo di software specifici per le funzioni aziendali, delle tecnologie abilitanti 4.0 e di strumenti di produttività individuale. La diffusione di percorsi formativi legati alla transizione green è attualmente minore (39%), ma si attende un incremento trainato soprattutto dalla necessità di utilizzare tecnologie per l’efficientamento energetico e di tenere il passo delle evoluzioni normative.
Il coinvolgimento delle figure apicali nelle attività di formazione
Uno degli aspetti critici che la ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano riguarda il coinvolgimento delle figure professionali nei diversi livelli aziendali.
Particolarmente rilevante è la percentuale di imprese che include il vertice aziendale nelle attività formative: se il 69% delle imprese rivolge attività formative a impiegati e operai, meno della metà dichiara di formare i propri dirigenti (45%) o i propri quadri (47%).
In un contesto sempre più caratterizzato da mutamenti rapidi e profondi, come le evoluzioni tecnologiche, i cambiamenti normativi o l’impatto di crisi esterne, le imprese si trovano spesso a dover reinventare il proprio modello di business. La twin transition pone le aziende proprio in questa situazione e, per potervi rispondere in modo efficace, diventa fondamentale che le imprese sviluppino capacità di adattamento. È cruciale che le figure dirigenziali, che si occupano di definire i piani strategici aziendali, abbiano, in primis, accesso a una formazione continua.
In questo modo, è possibile passare da un’ottica di breve periodo, che vede la formazione come risposta alle esigenze della quotidianità a una prospettiva di medio-lungo periodo, attraverso una programmazione che permetta la crescita delle competenze aziendali in modo funzionale alla strategia. Al tempo stesso, è necessario garantire la formazione per i quadri, che svolgono l’importante ruolo di “cerniera” tra leadership strategica e gestione operativa: essi possono contribuire alla diffusione di conoscenza e alla promozione della cultura dell’apprendimento continuo, essenziale per vincere le resistenze interne al cambiamento.
La ricerca di sinergie
La sfida per le piccole e medie imprese è diventare protagoniste delle trasformazioni in atto e la formazione continua può fornire una chiave per affrontarle con successo, a partire dalla twin transition. Affinché ciò si verifichi, le PMI devono acquisire maggiore consapevolezza del ruolo strategico della formazione, riconoscendola come un investimento e non come un costo.
Dalla collaborazione continua tra imprese, soggetti pubblici e privati si possono innescare meccanismi virtuosi che vadano in tale direzione. Sta alle università e agli istituti superiori definire curricula che permettano di colmare il gap tra ciò che il mercato del lavoro offre e necessita; spetta agli enti formatori, ai fondi interprofessionali e alle società di consulenza, invece, supportare le imprese per rendere la formazione un’attività strutturale; è, infine, compito di fornitori tecnologici e di servizi prevedere nella propria offerta il trasferimento di conoscenze e competenze funzionali alla strategia del cliente.
È auspicabile che anche il legislatore possa fare la sua parte, ad esempio prevedendo incentivi che promuovano l’apprendimento continuo e la fruizione della formazione al di fuori dell’orario di lavoro per superare gli ostacoli della quotidianità delle imprese.
NOTE
[1] World Economic Forum, Future of Jobs Report 2025
[2] Commissione Europea, Flash Eurobarometer 537 “SMEs and skills shortages”, 2023