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La musica nell’era del consumo rapido: più narrativa che trend
Post di Anna Paterlini, co-fondatrice e direttrice clienti di NEWU –
Con l’ingresso delle piattaforme di streaming nel panorama musicale, si è assistito a un aumento notevole degli investimenti nel marketing da parte di questi nuovi attori. Quando Spotify ha iniziato a collaborare direttamente con le etichette discografiche, proponendo investimenti per la promozione di artisti che avrebbero potuto performare bene sulle piattaforme digitali, l’obiettivo era più che altro far conoscere questo nuovo strumento, ma ha comunque portato a un cambiamento radicale nelle strategie di comunicazione, spostando l’attenzione verso approcci più innovativi e in particolare orientati alla creazione di community.
I fan club tradizionali si sono evoluti in vere e proprie community digitali, che non solo ascoltano musica in streaming, ma la integrano nella loro autobiografia digitale attraverso piattaforme come TikTok. Questo ha alimentato una continua richiesta di nuovi contenuti, consumati a velocità vertiginosa.
Le community digitali si sono poi trasformate in ambassador, o superfan, capaci di amplificare il messaggio dell’artista e attrarre nuovi utenti. Le piattaforme di streaming hanno promosso attivamente questa evoluzione, introducendo strategie che, pur basandosi su strumenti digitali, hanno riscoperto il valore dell’esperienza fisica. Questa dinamica ha reso il panorama musicale estremamente competitivo: un’arena in cui tutto si consuma in pochi giorni.
Per gli artisti, mantenere alta l’attenzione del pubblico significa soddisfare una domanda incessante di contenuti, spesso a discapito della creatività e delle energie. Non sorprende che un numero crescente di artisti scelga di prendersi pause prolungate dalle scene.
Come si spiega il fenomeno Måneskin
Questo contesto è stato però anche il terreno fertile per artisti come i Måneskin, che sono riusciti a ottenere riconoscimento internazionale grazie anche alla community dei fan “digitali” che li hanno sostenuti anche in IRL a Sanremo, poi all’Eurovision e oltre. Un risultato impensabile fino a pochi anni fa per artisti provenienti da un mercato come quello italiano che resta periferico, sia per una questione di lingua, sia per una questione di stile musicale.
Le community dunque sono diventate sempre più al centro dell’industria, non solo musicale come di molti altri settori, dalla moda al gaming, con aziende che guardano agli artisti soprattutto come ad influencer e trend setter,con contaminazioni che, se non gestite correttamente, rischiano di spostare il focus dall’identità artistica al trend del momento.
L’insidia del trend, l’importanza della narrativa
E proprio il trend è la vera insidia, strumento di visibilità molto potente ma anche fenomeno effimero che può durare il tempo di una stagione o addirittura di pochi giorni. Basti pensare al fenomeno “Brat” della scorsa estate.
Nato come un riferimento al titolo, il trend ha avuto un’esplosione mediatica fulminea, ma ha perso valore quando i fan più attivi, percependolo come svuotato di significato, se ne sono distaccati.
Per questo oggi è sempre più necessario parlare di lore più che di trend. Una lore solida – narrativa duratura che definisce l’identità culturale dell’artista – è fondamentale per creare un legame profondo con la propria community e garantire una carriera sostenibile nel tempo.
Artisti come Taylor Swift incarnano perfettamente questo approccio e non è un caso che sia riuscita a mantenere una crescita di popolarità solida e costante lungo tutto un decennio, pur adattandosi ai trend ma senza perdere mai la propria essenza.
Un percorso che ha conquistato i più giovani, gli inafferrabili Gen Z e Gen Alpha, nati nel digitale e impossibili da fidelizzare per qualunque brand, che non investa ingenti risorse non solo materiali per per generare la cosiddetta intimacy at scale, cioè riuscire a offrire esperienze dirette e personalizzate pur su larga scala, stimolando la percezione di un senso di intimità e autenticità che il digitale da solo non può fornire.
La musica, il marketing e le tecnologie di frontiera
L’industria musicale sembra aver compreso molto bene questo passaggio e sono sempre di più gli artisti che preferiscono orientarsi sulla proposta di esperienze esclusive, in un mix di fisico e digitale dove il marketing e le tecnologie di frontiera sono la nuova terra di conquista.
L’industria musicale italiana ha già iniziato a muoversi in questa direzione. Un esempio è stato il lancio dell’album “Storm and Drugs” che Dardust ha organizzato insieme a Spotify. Dardust, producer di punta del mercato musicale italiano e anche artista solista, utilizzando tecnologie wearable, ha permesso a persone non udenti di “sentire” la musica attraverso vibrazioni tattili.
Marco Mengoni e Amazon Music, che hanno invece scelto una installazione interattiva in Stazione Centrale a Milano per offrire un’esperienza multisensoriale attraverso la quale i fan diretti al concerto a San Siro potevano addirittura percepire attraverso il tatto il battito del cuore del loro artista preferito.
In questi casi, l’obiettivo non era cavalcare un trend, ma travalicare il momento e creare legami profondi con le community di fan, trovando il giusto equilibrio tra innovazione tecnologica e autenticità artistica, per rafforzare la lore. Solo grandi player come Amazon Music e Spotify sono attualmente in grado di sostenere su scala globale questo mix di effort creativo ed economico, ma il risultato è chiaro: la lore, non il trend, è la chiave per una carriera sostenibile e duratura.