Ambiente, dazi, isolazionismo. L’America di Trump è ancora un alleato?

scritto da il 12 Novembre 2024

Post di Luca Battaglia, laureato in Economia e Finanza Aziendale, appassionato di tematiche politiche e geopolitiche e co-fondatore del blog Pillole di Politica – 

Donald Trump è stato consacrato come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. La notizia è stgata confermata ben prima delle attese dalle proiezioni definitive pubblicate dal The Associated Press: con 312 grandi elettori e 74,5 milioni di voti, Trump ha battuto Kamala Harris, che ha invece ottenuto 226 grandi elettori e poco meno di 71 milioni di voti.

Le chiavi del successo: lavoro, sicurezza, costo della vita contro diritti civili

Una delle chiavi del successo di Trump risiede nell’efficace connessione creatasi con l’elettorato, che ha accolto le sue promesse come risposte dirette a problemi quotidiani. Un numero crescente di elettori latinos (+13% rispetto al 2020), cattolici (+9% rispetto al 2020) e giovani under 30 (+6% rispetto al 2020) si è, di fatto, unito alla causa repubblicana, spinti dal richiamo a valori conservatori e dalla percezione di concretezza e determinazione nella figura di Trump. Questo contrasto tra il neopresidente e la campagna portata avanti dai Democratici è stato netto: mentre la Harris ha concentrato la propria ‘strategia acchiappaconsensi’ su aspetti quali cambiamento climatico, aborto e diritti civili, Trump ha empatizzato con gli americani su problemi più sentiti e tangibili, quali lavoro, sicurezza e costo della vita.

Per gli elettori di Trump il sogno di una nuova Età dell’Oro

Sul palco di West Palm Beach, Trump ha celebrato la vittoria annunciando l’inizio di una nuova “età dell’oro” per gli Stati Uniti, proiettata verso la prosperità economica, l’indipendenza energetica e la crescita industriale. La promessa di Trump fa eco allo slogan “Make America Great Again” tanto rimarcato nel corso della campagna elettorale, e da un discorso carico di obiettivi concreti: aumento dei dazi sulle importazioni, incentivi per il ritorno delle aziende in patria, e una rinnovata politica di rigida regolamentazione sui flussi migratori. Un programma, il suo, che raccoglie un consenso compatto tra i sostenitori, ma che al contempo suscita non poche perplessità tra i critici, che vedono il rischio di un’eccessiva polarizzazione.

Nello specifico, la politica energetica annunciata da Trump favorisce un maggiore sfruttamento delle risorse nazionali, come petrolio e gas, e riduce la regolamentazione ambientale. Secondo i sostenitori, questa strategia creerà occupazione e renderà gli Stati Uniti energeticamente indipendenti, ma gli ambientalisti avvertono che l’approccio potrebbe ritardare la transizione verso le energie rinnovabili e
compromettere gli impegni internazionali degli USA in tema di sostenibilità.

Con Trump il ritorno dell’isolazionismo americano?

Una politica che si sposa perfettamente con la promessa di una linea isolazionista che privilegia gli interessi nazionali e riduce il coinvolgimento negli interventi internazionali. Questo approccio, che durante il suo primo mandato ha sollevato non poche tensioni con gli alleati storici, i quali si sono visti aumentare i dazi senza una chiara giustificazione, consoliderà la politica del “America First”, lasciando tuttavia maggiore spazio di manovra ad altre potente competitors quali Cina e Russia.

Trump ha inoltre dichiarato l’intenzione di intensificare il cosiddetto Reshoring, favorendo il rientro delle aziende statunitensi e rilanciando l’occupazione interna.

trump

Un ragazzo tiene in mano una bandiera del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump durante la parata annuale del Veterans Day, lunedì 11 novembre 2024 a New York. (Foto AP/Adam Gray)

L’obiettivo è quello di creare nuovi posti di lavoro nell’industria nazionale e sostenere la classe media. Tuttavia, diversi economisti mettono in guardia contro i potenziali effetti collaterali di un simile approccio, che potrebbe portare a tensioni commerciali e, conseguentemente, ad una maggiore volatilità del mercato, rendendo gli Stati Uniti più isolati dalle dinamiche globali.

In ambito migratorio, invece, Trump ha fin da subito promesso di portare a termine il muro al confine con il Messico, simbolo delle sue politiche in materia di sicurezza e, per molti sostenitori, risposta tangibile alle preoccupazioni per il controllo dei confini.

Kamala Harris non ha dato risposte sulle problematiche quotidiane

La sconfitta di Harris sembra riflettere, come già citato, un generale disallineamento tra l’agenda democratica e le preoccupazioni immediate degli elettori. Nella propria campagna elettorale Harris ha faticato a trasmettere un messaggio che affrontasse i problemi reali della popolazione. Un concorso di colpe con l’intero staff del partito, incapace nel comprendere fin da subito l’incapacità di Joe Biden nel sostenere una nuova campagna elettorale e, soprattutto, altri quattro anni di presidenza.

L’orientamento “progressista” dei Democratici, sebbene significativo per molti elettori, è sembrato dunque non aver fatto breccia su coloro che cercavano risposte a problematiche quotidiane, rafforzando la preferenza per un ritorno alla stabilità percepita sotto l’amministrazione Trump, anni in cui l’economia andava bene (ma c’era meno inflazione rispetto a oggi) e non vi erano guerre nel mondo. Due aspetti che, magari anche psicologicamente, possono aver influenzato il ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Il primo anno sarà decisivo

La promessa di una “Golden Age” per gli Stati Uniti è sostenuta dalla visione di Trump di un’America forte, indipendente e ricca di risorse. Le sfide che attendono Trump già nel primo anno di presidenza saranno una prova decisiva per la tenuta della sua politica e la capacità di mantenere unito un paese diviso tra il desiderio di ritorno al benessere di una volta e la necessità di affrontare le sfide del futuro, garantendo un futuro prospero alle nuove generazioni.