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Nucleare: il ritorno dell’energia proibita sdoganato dai big data?
Post di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer, UBS WM Italy, UBS Europe SE, Succursale Italia –
Nel giro di poche settimane, Google ha firmato un contratto con Kairos Power per realizzare un reattore nucleare, Microsoft ha presentato un accordo con Constellation per riaprire una vecchia centrale nucleare, Amazon ha firmato contratti con diverse società per predisporre piccoli reattori e mantenere in funzione centrali già esistenti.
Forse questo legame tra big data, intelligenza artificiale e nucleare non sembra evidente, ma le nuove tecnologie sono ad alto consumo energetico e si prevede un aumento della richiesta di elettricità a livelli mai visti. Per esempio, la International Energy Agency (IEA) stima che una singola ricerca su Chat GPT consumi 10 volte di più rispetto a una ricerca su Google. I data center sono per loro natura energivori, richiedono costantemente energia elettrica e raffreddamento.
Questa tendenza è particolarmente visibile negli Stati Uniti, che sono un paio d’anni avanti rispetto all’Europa per quanto riguarda i data center. In Europa non abbiamo ancora la percezione di un forte aumento della domanda di elettricità che, del resto, è diminuita nell’ultimo decennio per effetto dell’efficienza energetica e del trasferimento di attività produttive in altre aree.
Il nesso tra nucleare e mobilità elettrica
Anche la mobilità elettrica in Europa farà aumentare la domanda di elettricità. Se è vero che le vendite di auto elettriche sono diminuite di recente, anno dopo anno aumenta il numero dei veicoli elettrici in circolazione. Nonostante numerose richieste di rinvio, l’Unione europea ha ribadito la scadenza del 2035 per lo stop all’immatricolazione di veicoli con motore endotermico.
Per questi motivi, il dibattito sul nucleare sta riprendendo vigore in Europa. Attualmente la domanda elettrica cresce dell’1% ma si prevede un’accelerazione.
Da un punto di vista ambientale, l’energia nucleare è un’alternativa a basse emissioni di anidride carbonica rispetto ai combustibili fossili. Se ben gestita, i rischi vengono descritti dagli esperti come contenuti. Tuttavia, in seguito al disastro di Cernobyl del 1986 e alla catastrofe del 2011 a Fukushima, l’energia nucleare è diventata un tema controverso in molti Paesi.
La Cina ha già preso la rincorsa
Dati della IEA suggeriscono che circa il 10% della produzione di elettricità a livello mondiale derivi dal nucleare, in crescita del 2% annuo. Il Paese che sta accelerando maggiormente sulle nuove centrali è la Cina che costruisce due nuovi reattori l’anno, con tempi di costruzione di sei anni, meno della metà di quelli europei.
L’Europa produce il 20% di elettricità grazie al nucleare, ma in un contesto molto eterogeneo: per la Francia, rappresenta il 70% del totale, mentre Italia, Germania e Spagna hanno deciso di abbandonarlo. Delle quasi 100 centrali in Europa occidentale, oltre la metà sono in Francia, una decina nel Regno Unito e quattro in Svizzera.
In Italia opinione pubblica divisa
In Italia, il referendum del 1987 ha vietato la produzione di energia nucleare e ripartire richiederebbe un cambiamento legislativo complesso. L’opinione pubblica appare divisa: secondo un sondaggio realizzato da SWG, i favorevoli all’utilizzo in Italia delle nuove tecnologie nucleari variano tra il 49 e il 55%, ma solo un terzo dei partecipanti si è dichiarato sufficientemente informato sul tema.
Oltre a rimodernare le centrali nucleari in essere, l’innovazione si muove su diverse direttrici, quali i mini reattori nucleari, i cosiddetti Small Modular Reactor (SMR), le centrali di quarta generazione e la ricerca sulla fusione nucleare.
La fusione nucleare è ancora in fase di ricerca e sviluppo. Sono stati compiuti progressi significativi, ma una possibile commercializzazione è lontana. Progetti come ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) in Francia stanno testando la fattibilità della fusione come fonte di energia pulita ma restano importanti incognite.
Anche i reattori nucleari di quarta generazione sono almeno a un decennio dall’effettiva realizzazione e la ricerca si articola in diverse direzioni. Il vantaggio dei reattori di nuova generazione è che potrebbero minimizzare i rifiuti nucleari, migliorare la sicurezza e avere un vantaggio in termini di costi.
L’opzione dei mini reattori
I mini reattori modulari nucleari (SMR) sono invece una tecnologia emergente che si distingue per le dimensioni ridotte e la flessibilità. Volendo semplificare, si potrebbe dire che sono una variazione dei reattori utilizzati nei sottomarini nucleari, che utilizzano un motore elettrico alimentato da un reattore nucleare.
Un SMR, con una capacità inferiore a 300 megawatt, può essere prodotto in fabbrica e assemblato in loco, riducendo i costi e i tempi di costruzione rispetto alle grandi centrali nucleari tradizionali. Anche se gli SMR sono più piccoli dei reattori nucleari convenzionali, possono comunque produrre l’energia necessaria per alimentare migliaia di case o le infrastrutture tecnologiche.
Lo sviluppo degli SMR è quindi visto come un potenziale punto di svolta, offrendo una produzione efficiente e con rischi più contenuti. Tuttavia, la commercializzazione su larga scala non è prevista prima del 2030. I maggiori consumi per l’utilizzo di big data e veicoli elettrici e gli obiettivi per la transizione energetica potrebbero quindi favorire un ritorno al nucleare per i Paesi che l’hanno abbandonato, ma anche questa forma di energia presenta dei punti deboli. Il principale è la percezione di pericolo che deriva dagli incidenti discussi in precedenza.
Nucleare, i rischi geopolitici e i costi
I costi di costruzione di una centrale nucleare sono elevati e spesso non preventivabili in modo preciso. Per esempio, in Finlandia (Olkiluoto 3), Francia (Flamanvile Unit 3) e nel Regno Unito (Hinkley Point C) ci sono stati notevoli ritardi e costi nettamente superiori alle attese.
Occorre anche tenere presente che l’energia nucleare non è immune da rischi geopolitici, con le risorse di uranio concentrate in pochi Paesi. Kazakistan, Canada e Namibia rappresentano il 70% della produzione di uranio seguiti da Australia, Uzbekistan, Russia, Niger e Cina. Uno dei maggiori produttori di uranio, Cameco, ha indicato che negli ultimi mesi si sono verificate numerose difficoltà tra licenze non rinnovate in Niger e Australia, sanzioni nei confronti della Russia e maggior imposizione fiscale in Kazakistan.
Una questione seria e irrisolta: le scorie
Inoltre, il problema delle scorie nucleari non è completamente risolto. Le barre di uranio, sebbene di volume contenuto, restano radioattive per secoli e devono essere stoccate in contenitori speciali a circa mezzo chilometro sotto terra in zone non sismiche, il che esclude gran parte dell’Italia. Francia e Germania stanno costruendo nuove strutture di immagazzinamento.
Il riciclo delle scorie rimane invece un tema marginale per via dei costi elevati. Per il momento avviene solo in Russia e in Francia mentre l’India che sta valutando la possibilità di aprire uno stabilimento.
Il dibattito sull’energia nucleare rimarrà vivo in Europa mentre a livello globale gli investimenti stanno già aumentando notevolmente, a partire da Stati Uniti e Cina. Il settore delle utility dovrebbe essere ben posizionato per beneficiare dell’aumento di domanda di elettricità e del crescente interesse per l’energia nucleare che, dal punto di vista di queste società, offre stabilità e costi di produzione prevedibili.