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Bitcoin e fisco, non è un Paese per criptoattività
Post di Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, autore di “La tassazione delle attività digitali” –
Non è un Paese per cripto.
Tassiamo le criptoattività al 42%, con l’aliquota massima.
Il viceministro Leo, buon ultimo, ha mirato dritto alle criptoattività, discriminandole per l’ennesima volta.
Visto che ci siamo, a quando gli elenchi di coloro che hanno acquistato criptoattività?
Quando i corsi di recupero, le strutture dei servizi per le tossicodipendenze per recuperare i devianti che fanno uso di criptoattività?
Perché non introdurre dazi doganali e chiudere le frontiere alle cripto?
Spegniamo internet, vietiamo la criptografia, le chiavi asimmetriche e tutto, già che ci siamo.
La sconsolante verità di chiunque si avvicini al mondo delle criptoattività è che l’Italia ha posto in essere qualunque attività finalizzata a debellare il radicamento delle stesse attraverso azioni giudiziarie, attività amministrative e legislazione, con l’aggiunta della parte di stampa sensazionalistica che pare nulla sapere di questo mondo.
Si dovrebbe imparare da propri errori, ricordando la criminalizzazione di internet negli anni 2000, per poi essere conquistati da imprese estere, cresciute e prosperate in ecosistemi accoglienti.
No, non si impara.
Si insiste pervicacemente nel criminalizzare e utilizzare la leva fiscale, comunicativa e amministrativa al fine di deprimerne l’utilizzo.
È pur vero che ogni innovazione determina una rivoluzione negli assetti economici e politici derivanti dal cambiamento sociale e del modo in cui le persone si relazionano, con la conseguenza di subire il cambiamento qualora non gestita l’innovazione.
È sufficiente verificare come il web 3.0 ipotizzato da Andreessen Horowitz, tra i più grandi fondi di venture capital della Silicon Valley, si realizzi attraverso il sistema delle criptoattività (read, write, own) e come i dati diffusi dell’Organismo AM indichino che oltre un milione di italiani sotto i 40 anni detengono un wallet presso un Exchanger al 31.03.2024.
Non peraltro, i candidati alla presidenza USA stanno prendendo posizioni molto favorevoli ed aperte nei confronti delle criptoattività, dall’idea di Trump di avere riserve in bitcoin alle posizioni di Harris nei confronti della Silicon Valley.
Nonostante questi segnali che indicano come tale rivoluzione stia arrivando, in Italia le criptoattività vengono respinte. La soluzione, stante il rifiuto di qualsivoglia cambiamento e la tecnofobia imperante, è quella di sanzionare, tassare, penalizzare, terrorizzare e confondere il cittadino/elettore/consumatore: qualunque sistema è il benvenuto.
Tale attività di depistaggio conduce gli utenti ad essere incapaci di distinguere le attività lecite da quelle truffaldine, permettendo ad uno stuolo sempre crescente di “fuffaguru” e di imbonitori di insinuarsi nel mercato, con le autorità di contrasto impreparate, senza mezzi e senza una strategia/regia comune.
Chiunque provi ad azzardarsi ad intraprendere in questo mondo viene colpito da verifiche e accertamenti e pubblico ludibrio. Così le criptoattività vengono equiparate a valute estere o a prodotti finanziari affinché tutti figurino come evasori, abusivi sollecitatori di pubblico risparmio e, al limite, ludopati.
Nulla importa se l’Unione Europea, i vari enti regolatori sovrannazionali, il Parlamento Europeo, abbiano dato indicazioni o nozioni. In effetti, alcuni paesi notoriamente “paradisi fiscali”, quali Francia e Germania, stanno cercando di attirare (e riescono a farlo) i principali attori sia quali exchanger ed emittenti di e-money token. Altri paesi più “canaglia” (Germania, Portogallo e Slovenia) detassano, addirittura.
L’Italia, fortunatamente, sta rimanendo indenne da tale criptofollia, con tutti gli enti e i loro rappresentanti impegnati nella crociata contro le criptovalute.
Le dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, di Consob, dell’Organismo AM e dei vari funzionari pubblici, di volta in volta interpellati, risponde a tale logica.
I comportamenti punitivi amministrativi nei confronti del settore sono molteplici e plurimi, ricordando il contributo abnorme per l’iscrizione all’OAM di 8.300 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche (cambiavalute che possiedono sino a cinque sportelli. euro 230 ed oltre, euro 3.700), il cui registro sparirà a fine anno con l’entrata del regolamento MiCA.
In campo tributario, poi, abbondano:
- 1. Il costo in caso di determinazione di capital gain deve essere giustificato con elementi “certi e precisi”, non presente in alcuna altra parte dei redditi diversi.
- 2. Le minusvalenze del 2022 avvenute in cripto NON possono essere riportate nei confronti di plusvalenze avvenute nel 2023.
- 3. Il tributo 1715 relativo all’imposta sostitutiva sulle plusvalenze NON è rateizzabile, per risoluzione ministeriale, senza alcuna logica, contrariamente a tutte le altre imposte sostitutive previste dall’art. 67
- 4. Non ammessa la dichiarazione sostitutiva in caso di risparmio amministrato.
- 5. Sono soggette al monitoraggio tributario le criptoattività detenute per il tramite di soggetti residenti.
- 6. Le criptoattività sono tassate per la sola detenzione (imposta sulle criptoattività per i possedimenti personali).
La proposta di tassazione al 42%, a mio avviso in contrasto con i principi di uguaglianza, costituisce una pietra tombale.
Il risveglio sarà brusco.