Come leggere i dati sul boom dell’occupazione

scritto da il 08 Ottobre 2024

Post di Emma Benini, avvocato DLA Piper –  

A fine agosto 2024, l’ISTAT ha pubblicato i nuovi dati sul mercato del lavoro, aggiornati al mese di luglio 2024, che sono stati accolti con grande entusiasmo da parte della stampa generalista e dell’opinione pubblica: con l’ultimo aggiornamento si è potuto leggere, infatti, di una crescita dell’occupazione e di una conseguente diminuzione della disoccupazione.

In particolare, c’è stato un gran parlare dei dati sull’occupazione record (24 milioni e 9 mila gli italiani occupati, con un aumento del 2,1% rispetto a luglio 2023).

Anche i dati aggiornati ad agosto 2024 – pubblicati il 2 ottobre 2024 – sono positivi per quanto attiene all’occupazione: il numero di occupati risulta ancora in crescita rispetto al mese precedente (+45 mila unità). Sono quindi 24 milioni e 80 mila gli italiani occupati, con un aumento che ha coinvolto questa volta anche i lavoratori dipendenti.

Ma non solo:

  • – l’occupazione è aumentata (+0,2%, pari a un aumento di 45 mila unità),
  • – il tasso di occupazione è salito (ed è pari al 62,3%),
  • – il numero di soggetti disoccupati è diminuito (il tasso di disoccupazione registrato a agosto 2024 è pari al 6,2%, registrando il valore più basso da marzo 2008, con un decremento di 0,2% rispetto al mese precedente, in cui si era già registrato un dato positivo).

Per poter meglio interpretare i numeri è, però, necessario premettere brevemente quali sono le informazioni che l’Istituto nazionale di statistica ricerca tramite le interviste e successivamente analizza.

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Come si leggono i dati Istat sull’occupazione

Nel riportare i dati sul mercato del lavoro, l’ISTAT classifica la popolazione facendo riferimento a tre macrocategorie:

  • – i lavoratori occupati, ossia le persone tra 15 e 89 anni che, nella settimana di riferimento, hanno svolto almeno un’ora di lavoro a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti oppure le persone che sono temporaneamente assenti dal lavoro perché in ferie, con orario flessibile, in malattia, in maternità/paternità obbligatoria, in congedo parentale, in formazione professionale retribuita dal datore di lavoro, lavoratori stagionali ma occupati a svolgere mansioni e compiti necessari al proseguimento dell’attività o comunque coloro che sono temporaneamente assenti dal lavoro per altri motivi, qualora la durata prevista dell’assenza sia pari o inferiore a tre mesi.

In tale categoria rientrano non soltanto i lavoratori dipendenti, ossia il “lavoratore” per antonomasia, quello con contratto di lavoro a tempo indeterminato, full-time, 40 ore settimanali, ferie, malattia e contribuzione garantite ma anche i lavoratori “indipendenti”: coloro che svolgono la propria attività lavorativa senza vincoli formali di subordinazione. Tra questi sono ricompresi imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi, coadiuvanti nell’azienda di un familiare che prestano lavoro nell’impresa senza il riconoscimento di un corrispettivo di una retribuzione contrattuale come dipendenti e poi soci di cooperativa, collaboratori e prestatori d’opera occasionali;

Distinguere fra disoccupati e inattivi

  • – i disoccupati (o le persone “in cerca di occupazione”), ossia le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che: hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento per l’intervista e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive; oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.

Insieme gli occupati e i disoccupati costituiscono la “forza di lavoro”, cui si contrappongono:

  • – gli inattivi (o “non forze di lavoro“); in questa categoria sono comprese le persone che non classificate né come occupate o né come disoccupate, in sostanza chi non lavora e chi non è alla ricerca di un’occupazione.

L’occupazione cresce grazie al lavoro autonomo

Approfondendo, quindi, nella lettura dei dati pubblicati dall’ISTAT relativi al mese di luglio 2024 si può notare come i risultati positivi sull’occupazione non dipendano da un aumento del lavoro dipendente – in calo sia per quanto riguarda i lavoratori a tempo indeterminato (-0,1%) sia per i lavoratori a termine (-0,2%) – quanto piuttosto da un aumento del lavoro autonomo (+1,5%) (cfr. figura n. 1):

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Sul punto non si può dimenticare che il lavoro autonomo è una fattispecie meno regolamentata rispetto al lavoro dipendente, ad esempio, per quanto riguarda le previsioni salariali, le coperture previdenziali e assistenziali, il riconoscimento di periodi di congedo per maternità / paternità, la gestione dell’orario di lavoro, l’applicazione di misure di tutela in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, il riconoscimento nell’ambito degli appalti di servizio dell’applicazione del contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Il problema dei falsi contratti di lavoro indipendente

Tale tipologia contrattuale, come emerge purtroppo dalle indagini dell’Ispettorato del Lavoro e della Guardia di Finanza, fa spesso gola a molte realtà imprenditoriali, che ricorrono alla sottoscrizione di falsi contratti di lavoro indipendente, ad esempio, con titolari di “false” partite IVA, sottoscrivendo fittizi rapporti di collaborazione coordinata continuativa che possono durare anche decenni, al solo fine di evitare l’applicazione delle tutele proprie del lavoro subordinato, mascherando sotto il cappello del lavoro autonomo situazioni, di fatto, di sfruttamento.

Spie rosse: disoccupazione giovanile e tasso di inattività (tra le donne)

Uno spiraglio di fiducia è, invece, fornito dai dati recentemente pubblicati e relativi al mese di agosto, che sono caratterizzati da un aumento di occupazione anche tra i lavoratori dipendenti. Ovviamente, il dato di un solo mese non rappresenta ancora un trend, ma si può sperare nella conferma da parte dell’ISTAT anche nelle prossime pubblicazioni.

In ogni caso, nonostante gli aumenti dell’occupazione si deve osservare come:

    • – il numero di occupati sia calato nella fascia 25 – 34 anni;
    • – la percentuale di disoccupazione giovanile sia il triplo (18,3%) rispetto al valore medio (6,2%);
    • – sia cresciuto il numero di soggetti inattivi (+0,6%, pari a un aumento di 73 mila unità a luglio 2024, ulteriormente aumentato a +0,4%, pari a +44 mila unità ad agosto 2024) (figura n. 2) in particolare tra le donne nella fascia tra i 25 e i 49 anni;
    • – il tasso di inattività è ulteriormente salito al 33,4%.

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Tali dati, da leggere anche congiuntamente, non sono affatto positivi, in quanto fotografano una certa sfiducia da parte dei giovani (ai quali, anche a seguito di un lungo periodo di studio e formazione, vengono proposti soltanto contratti di stage e non contratti più stabili) e, in particolare, delle donne, ad accedere al mercato del lavoro.

Queste ultime devono, infatti, ancora oggi fare sacrifici per poter conciliare le esigenze della famiglia con le ambizioni connesse all’avanzamento di carriera, ricorrendo spesso a contratti part-time, se non addirittura a lunghe interruzioni dall’attività lavorativa e dalla ricerca di un’occupazione per prendersi cura dei figli.

Occupazione, non ci si deve accontentare di un dato assoluto

In conclusione, un buon dato sull’occupazione non può essere letto in maniera decontestualizzata rispetto alla realtà sociale: non ci si deve accontentare di un dato assoluto, ma si deve continuare a ricercare – anche tramite il supporto di politiche attive del lavoro e in generale interventi sociali, come un aumento della spesa pubblica a favore delle famiglie e dei servizi per bambini in età prescolare, prolungamento del congedo di paternità – un dato che sia anche qualitativamente positivo (un lavoro conforme ai principi costituzionali) e che veda coinvolti anche la parte attualmente più svantaggiata della forza lavoro.