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Sentenza Google e guerra ai monopoli: perché il finale non è scritto
Post di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm –
Ad agosto un giudice statunitense ha decretato che “Google è un monopolio* e ha agito per mantenere il proprio status”, una conclusione che prepara il terreno per una serie di ulteriori provvedimenti, tra i quali, potenzialmente, lo scioglimento forzato di Alphabet, società madre di Google. La sentenza arriva in un momento storico ben preciso: negli Stati Uniti c’è, infatti, un consensus politico abbastanza ampio sullo strapotere esercitato dalle Big Tech, anche se sia i repubblicani sia i democratici tendono a pensare che i giganti della tecnologia favoriscano lo schieramento politico avversario.
Del resto, negli ultimi decenni, le questioni antitrust sono state ampiamente trascurate negli Stati Uniti, permettendo alle grandi aziende di crescere indisturbate, una tendenza invertitasi solo recentemente, con la decisione dell’amministrazione Biden di perseguire in modo più severo le società che abusano del proprio potere di mercato, limitando la libertà di scelta dei consumatori.
Contro Google una delle 5 azioni antitrust
Il cammino è ancora lungo, ma la sentenza Google di agosto è una delle cinque azioni antitrust attualmente in corso nei confronti di Big Tech come Google, Amazon, Apple e Meta. Microsoft al momento non è inclusa nell’elenco, nonostante già negli anni ’90 i giudici ne avessero chiesto lo smembramento per abuso di posizione di mercato (sentenza contro cui il colosso di Redmond fece ricorso con successo) e oggi abbia raggiunto dimensioni da record.
La recente vittoria del Dipartimento di Giustizia nel caso Google dovrebbe infondere nuova fiducia nella causa. Dal punto di vista degli investitori, occorre anzitutto precisare che le Big Tech rappresentano alcune delle principali compagnie al mondo per capitalizzazione di mercato e che hanno guidato buona parte dei rendimenti di mercato negli ultimi anni. In secondo luogo, vale la pena porre l’accento sul costante incremento dei margini di profitto Usa, in buona parte riconducibile alla forte crescita degli utili delle società tech.
Spesso gli investitori non ricercano la competitività, ma prediligono monopoli sostenibili e la nuova regolamentazione antitrust Usa, più stringente, potrebbe impattare sui portafogli, riducendo la quota di profitti delle Big Tech. Tuttavia, se il governo assumerà probabilmente una posizione più intransigente nei confronti delle aziende con quote di mercato molto elevate, le Big Tech potrebbero mettere in campo una serie di azioni di lobby e di concessioni per proteggere le proprie posizioni.
Il Governo Usa potrebbe anche uscire sconfitto
Inoltre, il governo potrebbe uscire sconfitto da queste battaglie legali: da un sondaggio condotto all’inizio dell’anno tra i professori di antitrust statunitensi è emerso che in pochi sono convinti che Washington uscirà vittorioso da tutte (o almeno dalla maggior parte) le cinque cause in corso contro i giganti del Tech. Quello contro Google come monopolista nel search e nel digital advertising è stato considerato il caso più forte, il che è interessante se si considerano i potenziali rischi derivanti dall’IA generativa. Nonostante la regolamentazione Usa sia destinata a diventare più stringente, riteniamo sia troppo presto per temere un crollo dei profitti delle grandi aziende tecnologiche. Il cammino è ancora lungo ed esistono molte contromisure che queste società potrebbero prendere per rassicurare gli investitori.