categoria: Draghi e gnomi
Gli investimenti pubblici sono un ricordo, mentre i soldi dell’Eurozona vanno altrove
Un dato, solitamente poco osservato, ci racconta assai bene l’evoluzione recente del sistema economico dell’eurozona. Accade che la crescita dei risparmi superi quella degli investimenti di famiglie e imprese non finanziarie, che infatti rimangono deboli per diversi motivi. E tuttavia questi risparmi devono trovare un impiego. Sicché, non trovandolo laddove si originano, finiscono all’estero. La crescita dei prestiti netti esteri dell’eurozona, infatti, continua imperterrita da diversi anni, e ormai è in pieno boom.
Per osservare questa curiosa evoluzione, è molto utile l’analisi dei saldi settoriali, che la Bce di recente ha rilasciato. Qui sotto si può vedere un grafico che racconta tutta la storia. L’evidenza più lampante, che la stessa Bce rileva, è la sostanziale scomparsa degli investimenti pubblici netti nell’area, che anzi sono diventati negativi. Ciò comporta che i circa 500 miliardi di risparmi netti dell’eurozona (dati riferiti al terzo quarto 2015) si distribuiscano per meno della metà in investimenti del settore privato non finanziario. Il resto contribuisce ad alimentare la posizione di prestatrice dell’EZ. Per la precisione, a fronte di risparmi per 487 miliardi ci sono stati 217 miliardi di investimenti netti. È interessante osservare che il risparmio netto dell’area è in crescita sin dal 2012, quando quotava 349 miliardi.
L’evoluzione è chiaramente osservabile a partire dal 2012, quando gli investimenti pubblici netti per quanto già residuali, esprimevano ancora una valutazione positiva. In particolare, negli anni più duri della crisi, quindi fra il 2008 e il 2010, gli investimenti pubblici erano ancora una componente visibile nell’aggregato, mentre si riducevano drasticamente quelli esteri. Tale tendenza si è invertita fra il 2010 e il 2012, quando alla crescita degli investimenti esteri ha corrisposto la graduale scomparsa di quelli pubblici che si sono azzerati già nel 2013. Dal 2014, in valore netto, sono diventati negativi.
I risparmi europei, in sostanza, hanno smesso di contribuire alla formazione di investimenti pubblici. Questo risparmio ha trovato altrove i suoi utilizzi. Una controprova di quanto affermano gli osservatori, ossia che la voglia di investire nell’area da parte dei residenti sia debole, anche se emergono alcuni segnali di miglioramento. In particolare la Bce osserva che nel trimestre considerato gli investimenti netti sono cresciuti del 2,4% rispetto allo stesso trimestre del 2014.
A tal proposito è utile leggere ciò che scrive la Bundesbank nel suo ultimo bollettino mensile. La Banca centrale tedesca osserva che la ripresa degli investimenti nell’area sta procedendo solo gradualmente. Si evidenzia ancora un pesante gap rispetto al livello pre crisi, che raggiunge il 70% in Grecia e Cipro, mentre si attesta intorno al 30% in Italia, Spagna e Portogallo e al 10% circa il Francia. Solo tre paesi, fra i quali la Germania, hanno raggiunto il livello pre crisi.
Gli economisti della Buba osservano che il rimbalzo europeo è iniziato dal 2013, pur dovendo fare i conti con il pesante indebitamento privato che ha finito col deprimere gli investimenti, visto che le risorse potenziali sono state utilizzate per far diminuire il livello di debiti che famiglie e imprese avevano raggiunto. I dati Bce confermano parzialmente questa dinamica. Nel quarto trimestre 2015, in particolare, i debiti delle imprese erano arrivati al 132,6% del Pil dell’area, in leggero aumento rispetto allo stesso trimestre del 2014, quando erano al 130,9%, mentre quelli delle famiglie sono leggermente diminuiti, dal 61,8% al 61 per cento.
La Buba osserva che il grosso del crollo degli investimenti si è registrata nel settore delle costruzioni, in particolare le abitazioni, che fra il 2007 e il 2014 ha registrato un calo del 90% in Grecia, del 70% in Irlanda e del 50% in Spagna. Tale trend sembra ancora lontano dall’invertirsi. E conclude ricordando che gli investimenti sono “una chiave determinante per l’output potenziale aggregato”.
E tuttavia, se il deficit di investimenti è guidato, oltre che dalle aspettative fredde dei privati, dalla scomparsa del contributo della componente pubblica, sembra difficile che i governi possano cambiare politica, per la semplice circostanza che hanno poco spazio fiscale. Peraltro, il gap più profondo di investimenti si registra proprio nei paesi dove i governi hanno meno capienza finanziaria, perché già gravati da un alto deficit o da un alto debito pubblico.
Se torniamo ad osservare l’analisi dei settori, notiamo che il settore del governo è ancora prenditore netto del sistema per 221 miliardi, quindi esprime un deficit a livello aggregato, in calo però rispetto ai 360 miliardi del 2012. La differenza corrisponde a un minor utilizzo di risorse pubbliche, nel periodo considerato, di quasi 140 miliardi, ed è ragionevole ipotizzare spieghi parte del calo di investimenti pubblici. L’effetto è visibile nel contributo ormai residuale, quando non direttamente negativo, della spesa del governo alla formazione del capitale fisso.
Una situazione che è improbabile si modifichi in futuro, stante anche la lentezza con la quale procede il piano di investimenti pubblici promosso dalla Commissione europea nel 2014. Se ne deduce che il livello di investimenti aggregato continuerà a crescere solo debolmente. A meno che, certo, la Bce, che continua a invocare in buona compagnia le solite riforme strutturali, non faccia il miracolo.
È interessante anche chiedersi a chi l’eurozona presti i soldi, specie in un momento di cui i timori per l’andamento delle economie emergenti sembra sconsigliare avventure all’estero. Una prima risposta ce la fornisce Eurostat. Qui trovo il dato aggregato aggiornato alla fine del 2014 del totale, che risulta in crescita del 7,6% rispetto a fine 2013, arrivando ormai a quotare 5.749 miliardi di euro, a fronte di investimenti diretti del mondo in Ue per 4.583 miliardi, in crescita anch’essi del 9,6%. Più di un terzo degli investimenti diretti Ue sono allocati negli Usa (1.985 mld pari al 35%), segue la Svizzera, con l’11% a quota 632 miliardi, e poi il Brasile, con 344 miliardi, al 6%. La Cina pesa circa il 3%, cui si aggiunge un altro 2% se si considera anche Hong Kong: in totale circa 250 miliardi. Meno della metà di quanto è stato investito in Svizzera.
Questa rilevazione, pur ricordando che non tiene conto degli investimenti di portafoglio e che è riferita all’intera Unione europea, ci suggerisce due conclusioni. La prima è che l’Europa avrebbe le risorse per fare quello che vuole, se solo lo volesse fare. Se l’economia va lentamente non è perché manchino i soldi. E poi un’altra: gli europei sanno benissimo dove conviene investire il loro denaro e sembra amino più i rendimenti certi che le avventure.
Sarà per questo che hanno smesso di investire in casa.
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