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Il Regolamento UE sui rating ESG non farà la differenza
Post di Silvia Merler, head of ESG & policy research di Algebris Investments –
Negli ultimi anni il mercato degli investimenti sostenibili è esploso, e con esso anche il mercato dei dati e dei rating ESG. Secondo alcune stime, la spesa media per costi connessi all’ottenimento di un rating si attesta tra i 200mila e i 450mila euro all’anno per le società quotate, mentre gli investitori istituzionali arriverebbero a spendere quasi 1 milione di euro per raccolta, analisi e rendicontazione di metriche ESG.
L’Europa rappresenta il 60% della spesa globale per metriche ESG, e questi dati sono diventati centrali al processo di investimento. Un recente sondaggio condotto dall’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ha indicato che i rating ESG e/o i dati ESG sono utilizzati come input per 3,8 trilioni di euro di investimenti. Gli investitori sono diventati sempre più dipendenti dai rating ESG come strumento per “misurare” la sostenibilità delle aziende, ma la validità dei rating come indicatori di sostenibilità è molto dubbia.
Valutazioni ESG incoerenti. E penalizzano le Pmi
Le valutazioni ESG di una azienda da parte di diverse agenzie di rating sono spesso incoerenti tra di loro. I rating inoltre non sono un buon indicatore del vero impatto ambientale e sociale del prodotto e delle attività di un’azienda. Recentemente ha suscitato scalpore il fatto che Philip Morris abbia ricevuto un rating ESG più elevato di Tesla – ma si tratta di un caso non isolato.
La maggior parte delle agenzie che producono rating ESG non incorpora nella metodologia un approccio di doppia materialità e si limita ad assegnare un punteggio in base all’impatto finanziario che fattori fattori ambientali o sociali possono avere sull’azienda (“outside in”) senza guardare all’impatto che l’azienda può avere su fattori ambientali e sociali (“inside out”). Per come sono costruiti, infine, questi rating tendono a penalizzare sistematicamente le aziende più piccole – un tema importante in Paesi in cui la base industriale è costituita perlopiù da Pmi, come l’Italia.
Il Regolamento annunciato dall’Ue? Un’occasione sprecata
L’UE ha recentemente annunciato un Regolamento sulle attività di rating ESG che introduce alcune importanti garanzie. I produttori di rating ESG dovranno ottenere un’autorizzazione da parte dell’ESMA o una valutazione di equivalenza, la disciplina dei potenziali conflitti di interesse sarà rafforzata, e così i requisiti di trasparenza sia per chi produce sia per chi usa questi rating.
Il Regolamento, tuttavia, non prescrive i requisiti minimi che i rating ESG dovrebbero soddisfare per poter essere distribuiti in UE e si limita ad affermare che i fornitori “dovrebbero essere incoraggiati” a usare un approccio di doppia materialità e rendere pubblica la loro scelta. Si tratta di un’occasione sprecata, perché la trasparenza è solo una parte del problema: la maggior parte dei fornitori di dati ESG infatti già dichiara di non adottare un approccio di doppia materialità.
Rating, metodologie, requisiti minimi, greenwashing
È certamente importante proteggere la proprietà intellettuale di chi produce i rating ESG, ma le metodologie proprietarie potrebbero essere tutelate anche all’interno di un perimetro di requisiti minimi. Uno di questi requisiti dovrebbe essere l’utilizzo della doppia materialità per tutti i rating ESG distribuiti in UE – che assicurerebbe l’allineamento di queste valutazioni con l’approccio introdotto dalla Commissione in materia di reportistica di sostenibilità. I dati provenienti dalle informative CSRD dovrebbero essere utilizzati come input primari per i rating ESG, e questi dovrebbero anche tenere conto dei cosiddetti Indicatori Principali di Impatto Avverso (PAI) introdotti nel Regolamento SFDR.
Nel complesso, l’utilizzo di una metodologia più trasparente e standardizzata consentirebbe di raggiungere un consenso su un quadro realistico della sostenibilità aziendale e aggiungerebbe valore rispetto allo status quo. Al tempo stesso, l’introduzione di requisiti minimi è fondamentale se l’obiettivo è quello di aumentare la fiducia degli investitori nei prodotti sostenibili e ridurre il rischio di greenwashing.