categoria: Res Publica
Violenza di genere, osservazioni e correttivi al piano Valditara
A seguito dei fatti delle ultime settimane, l’opinione pubblica è tornata a occuparsi del tema della violenza di genere con molta attenzione. E, come dopo gli episodi di Palermo e Caivano della scorsa estate, la politica è tornata a proporre soluzioni emergenziali che rispondono alle richieste di azione dell’opinione pubblica. Educare alle relazioni è il piano proposto, per la seconda volta dopo la prima a settembre, dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, e presentato ufficialmente con la direttiva ministeriale n. 83 del 24 novembre 2023.
La direttiva prevede lo stanziamento di 15 milioni di euro per finanziare progetti scolastici di educazione alle relazioni e al contrasto alla violenza di genere. Questi progetti devono avvenire a livello di classe e prevedono un docente moderatore-animatore formato da Indire. Il Forum nazionale delle associazioni dei genitori a scuola ha il compito di “raccordare” l’attuazione dei progetti, non è chiaro se con diritto di veto.
Pro e contro della direttiva
Il principale pregio del programma è la previsione di una spesa per la formazione dei docenti. Al contrario, per molte norme adottate nel corso degli anni (dal Codice rosso al ddl Bongiorno, alla riforma del procedimento civile) questa previsione mancava, come già denunciato da ActionAid.
Tuttavia, si tratta di una spesa una tantum su un orizzonte di quattro anni. A questo si unisce il fatto che la partecipazione sia volontaria sia a livello di scuola che individuale. Ciò di fatto seleziona su due livelli la platea a cui questi fondi saranno destinati: scuole con sufficienti risorse umane da poter preparare e presentare un progetto in tempi brevi, con dirigenti scolastici interessati al tema della violenza di genere; e studenti e studentesse disposti a restare a scuola in orario extra-curricolare. Questo rende la misura inefficace proprio dove ce ne sarebbe più bisogno, tra studenti e studentesse che potenzialmente non hanno avuto modo di sviluppare sensibilità al tema.
Bene i focus group, meno avere dimenticato le scuole medie
Il secondo punto riguarda le caratteristiche pedagogiche dei progetti che possono essere finanziati. Coinvolgere esclusivamente le scuole superiori diminuisce l’efficacia della formazione, che è maggiore quando studenti e studentesse sono più giovani, come mostrato dalla letteratura economica e raccomandato dalla Convenzione di Istanbul (articolo 14). Ricerche in sociologia mostrano che l’inizio della pubertà innesca una maggiore consapevolezza del concetto di genere in relazione alle norme sociali, suggerendo che concentrarsi in primo luogo sulle scuole medie, in particolare nel primo anno, potrebbe rendere gli interventi più proficui. È tuttavia positivo che la proposta didattica non sia di educazione frontale, come raccomandato da UN Women: la direttiva parla di “focus group” tra studenti e studentesse, coordinati da un insegnante.
Meglio gli insegnanti o le esperte dei centri anti-violenza?
Il terzo punto riguarda il ruolo degli insegnanti, che sono i principali responsabili, con la loro disponibilità a formarsi, della buona riuscita dei progetti. Coinvolgere – dietro remunerazione – esperte ed esperti dai centri antiviolenza sarebbe più utile su due fronti: conoscono meglio il problema e, uscendo dalla dinamica di potere insegnante-studente, potrebbero avviare una discussione davvero orizzontale con gli studenti e le studentesse. La rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.RE ha dichiarato di non essere stata coinvolta nella scrittura del decreto ministeriale. Un elemento positivo, tuttavia, è il coinvolgimento dell’Ordine degli psicologi sia nella stesura della proposta sia come possibilità di collaborazione nei progetti formativi.
La proposta di Tortuga
Insomma, lo stanziamento di fondi per l’educazione a contrasto della violenza di genere è un’ottima notizia, ma le modalità possono essere migliorate. Il think-tank Tortuga ha immaginato altri modi in cui questi 15 milioni avrebbero potuto essere investiti nella lotta a contrasto della violenza contro le donne, seguendo le tre “P” suggerite dalla Convenzione di Istanbul.
1. Prevenire
Mantenendo la destinazione dei fondi a programmi educativi nelle scuole, questi potrebbero supportare momenti di formazione obbligatori, in orario curricolare nel primo anno della scuola media, moderati da figure professionali esperte sul tema, che possono comprendere dipendenti dei centri antiviolenza e psicologi adeguatamente formati.
Data l’assenza del costo del programma per singola classe, calcoliamo una stima basandoci su un programma proposto in Valle d’Aosta. Si tratta di un progetto di 16 ore complessive, di cui 8 in classe e 8 di coordinamento con genitori e docenti, dunque lungo la metà di quanto annunciato da Valditara in conferenza stampa (30 ore). Riunendo due classi di prima media insieme, il costo del piano valdostano per la singola classe è di circa 500€. Moltiplicando questa cifra per le 26.000 classi di prima media in Italia, il costo è di circa 13 mln e comprende anche una valutazione delle conoscenze acquisite da studenti e studentesse alla fine del progetto.
2. Proteggere
I 15 milioni di euro annunciati dal Ministro Valditara potrebbero altrimenti confluire nel Fondo per il finanziamento del Reddito di Libertà, strumento istituito con la legge di Bilancio 2021. Il Reddito di Libertà prevede un supporto di 400 euro al mese per 12 mesi per le donne vittime di violenza di genere, allo scopo di favorirne l’indipendenza economica e facilitarne il reinserimento nella società.
Seppur la sua dotazione sia aumentata da 3 mln nel 2021 a circa 12 mln nel 2024, la cifra è sufficiente a supportare solo 2.500 donne. Inoltre, il Rapporto Annuale dell’Inps evidenzia come nell’ultimo biennio 2366 richieste siano rimaste non accolte per mancanza di budget, mostrando che i fondi del 2024 coprirebbero a malapena le domande degli anni precedenti. Aggiungere 15 milioni di euro permetterebbe di supportare altre 5.625 donne per un anno coprendo le richieste degli anni precedenti e altre 3mila domande.
In alternativa, si potrebbero aggiungere fondi supplementari a quelli già destinati ai Centri Anti-Violenza. Attualmente, i centri ricevono oltre 30 mln di euro all’anno: questi 15 mln rappresenterebbero quindi circa la metà del finanziamento annuale complessivo. A livello nazionale, i finanziamenti si traducono in circa 412 euro di spesa per ogni donna assistita, con forti divari regionali.
Utilizzando questi fondi, si potrebbe estendere l’assistenza ad altre 63.000 donne. In termini di nuovi centri operativi, la cifra potrebbe sostenere per un periodo di 10 anni 20 centri di fascia più elevata, che offrono orientamento lavorativo, supporto ai figli minorenni, assistenza alle immigrate e vittime di tratta, nonché l’attivazione del permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica.
3. Perseguire
L’ultima proposta di spesa alternativa riguarda la formazione degli operatori in ambito giudiziario e delle forze dell’ordine sul fenomeno della violenza contro le donne. Se il Consiglio superiore della Magistratura riporta che 9 procure su 10 hanno almeno un pubblico ministero specializzato, una recente indagine condotta da Il Sole 24 Ore sottolinea che nella magistratura giudicante solo il 24% lo è, anche se il trend è in crescita.
Questo significa che, delle 27 procure esistenti in Italia, solo 7 hanno almeno un magistrato giudicante adeguatamente specializzato sul fenomeno della violenza di genere. Lo scorso 22 novembre, il Senato ha approvato definitivamente il ddl sulle disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne. La legge include un articolo rivolto alla formazione degli “operatori che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza”, ma non prevede lo stanziamento di fondi per la sua implementazione.
Prendendo come riferimento il costo di un corso proposto dall’Università degli Studi di Milano rivolto agli avvocati e assumendo conservativamente che la formazione dei magistrati costi il doppio (circa 850 euro), formare sul tema i 6.700 magistrati giudicanti in Italia costerebbe circa 6 mln di euro, mentre formare l’intera magistratura italiana altri 8 mln circa. I 15 milioni di euro avrebbero potuto rappresentare un’ottima dotazione finanziaria per la formazione della magistratura, con la possibilità di utilizzare le risorse rimanenti per la formazione di operatori e operatrici delle forze dell’ordine.
Il cambiamento difficile, nel lungo termine
Per rispondere al sentire dell’opinione pubblica, il governo si è affrettato a predisporre e promettere fondi per piani emergenziali che difficilmente porteranno a un cambiamento nel lungo termine. Ma, come Tortuga ha provato a mostrare, i modi di rispondere ai bisogni e alle richieste di chi da anni si occupa del fenomeno o di supportare programmi e politiche virtuose esistenti non sarebbero certo mancati.