Crescere nel mondo multipolare: le Pmi e l’arte della diplomazia

scritto da il 11 Dicembre 2023

Di recente Bloomberg ha lanciato un documentario dal titolo piuttosto evocativo: La grande frattura. Il tema del documentario è il futuro della globalizzazione o, come meglio viene spiegato, quello che verrà dopo la globalizzazione.

Il fenomeno della globalizzazione nasce con Friedman, il suo padre nobile. La globalizzazione ha continuato a crescere sino al 2008. Sono in molti a ritenere questo anno un punto di non ritorno per la globalizzazione e il suo maggiore campione e sostenitore: gli Stati Uniti. Dopo la bolla del 2008 alcuni eventi che prima erano ritenuti scontati, sono mutati irrimediabilmente giungendo, dopo oltre 10 anni, a quello che osserviamo oggi. Il vecchio sistema, consolidatosi dopo il crollo del muro di Berlino, era basato su una triangolazione di merci e servizi.

La Russia, più o meno amica dell’Occidente, era il grande fornitore di qualunque materia prima a costi ridotti. Le materie prime andavano sia alle industrie avanzate occidentali, sia alla grande fabbrica del mondo: la Cina. Il dragone produceva merci a basso costo per tutti: dalla moda alle auto. Questi prodotti fluivano senza particolari problemi in Occidente dove i ricchi consumatori democratici li compravano felici e i manager della finanza facevano grassi prodotti. L’Occidente dava alla Cina e alle altre nazioni manufatturiere investimenti e tecnologie (a discapito della forza lavoro democratica che è andata via via depauperandosi).

Questo equilibrio si è rotto. Ora i russi sono divenuti (o percepiti) ostili. La Cina si sta espandendo in tutto il mondo, con l’ambizione di divenire la guida del Sud del mondo. L’Occidente sta tentando, con risultati ambigui, di riportare le sue aziende manufatturiere in patria, o quanto meno in nazioni geograficamente limitrofe come il Messico per gli Usa e l’Est Europa per la Ue.

In questo scenario si muovono le Pmi italiane. Sino a ieri sicure che l’equilibrio del mondo poteva offrire spazi di manovra, oggi devono entrare in un ecosistema completamente rivoluzionato dove, se non si conoscono le regole locali, si rischia di brutto.

D’altro canto il crollo della Germania, causato anche dalla mancanza di gas economico e politiche del lavoro estreme, impone a molte Pmi italiane la necessità di cercare da sole, senza mediazione tedesca, muovi mercati.

Le Pmi italiane e i mercati extra-Ue

“Muoversi all’estero non è semplice – conferma Alessandro Minon, presidente di Finest, l’ente di promozione per il commercio estero del Friuli Venezia Giulia -. Il primo aspetto a cui fare attenzione è il non cadere nella trappola dell’etnocentrismo: quel percorso mentale che noi occidentali facciamo pensando che tutto il mondo pensi come noi, abbia la nostra stessa visione nel fare affari. Ogni nazione extra Ue ha una sua visione. Più ci si spinge verso Est, sino alla Cina, più le trattative sono incentrate su valori e schemi come il “non perdere la faccia”. Poi ci sono le regole legate alla contrattualistica: in linea di principio un contratto è un contratto”.

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Businessmen in Malesia (immagine da Unsplash)

“Tuttavia mentre da noi in Occidente il contratto rappresenta il punto finale di un progetto, in molte culture il contratto è solo una parte della trattativa, mentre il progetto sarà completo solo quando entrambe le parti vedranno soldi, e beni/servizi, consegnati. Da ultimo, ma non meno imporrante, la conoscenza culturale, etica e linguistica delle popolazioni extra Ue. Non sto dicendo che trattare con altri clienti europei sia facile, ma, quanto meno, condividiamo con loro una matrice culturale che, per quanto amplia, ha elementi comuni: religione, etica, diritto. All’estero l’indole dei non europei si è evoluta, come logico che sia, con differenti parametri e visioni”.

“Questo – conclude Minon – non rende i non europei migliori o peggiori di noi. Ma implica un approccio che potrebbe non corrispondere ai nostri standard. A questo aspetto si aggiunge la lingua: un elemento creatosi nei millenni. Conoscere la lingua di ogni paese è impossibile, ma trovo che sia più interessante conoscere la loro filosofia, storia, geografia. Per la lingua è utile avere un traduttore, e comunque chi va all’estero minimo dovrebbe parlare inglese. Ma capire la mentalità di popoli differenti da noi è alla base per capire cosa poter dire, come affrontare un discorso e una trattativa”.

Prendere le misure al nuovo mondo multipolare

I rischi sono un tema familiare anche ad Alessandro Mancini, ceo di Mancini Worldwide. “La multipolarità, un nuovo paradigma mondiale, è un fenomeno con cui chiunque voglia fare esportazione, o insediarsi all’estero, dovrà fare i conti. Quello che prima era una sorta di terreno piatto, dove ognuno aveva una base di trattativa creata nei decenni dallo sviluppo occidentale, oggi diviene sempre più un terreno montuoso. La crisi ucraina, le recenti espansioni cinesi nel medio oriente, le nuove filiere asiatiche non cinesi, sono solo gli elementi principali di quello che ci aspetta. Le Pmi che prima producevano in Cina, oggi, con la moral dissuasion americana, rischiano di dover rilocalizzare le produzioni in paesi più amici, diciamo filo occidentali”.

“Il near-reshoring, o friend shoring, è sempre più un tema che deve essere assimilato dalle Pmi. Per dirla all’americana, la Cina non è più the place to be. Penso alle parti di ricambio per auto elettriche, che ormai hanno trovato il loro paese amico nell’Ungheria di Orban. Un vantaggio se consideriamo che la nazione è nella Ue, ma non sempre è cosi semplice. Molte aziende si stanno spostando nelle nazioni limitrofe alla Cina, ben viste dagli Stati Uniti e, soprattutto, con un costo del lavoro più basso rispetto agli stipendi cinesi che sono andati crescendo negli anni”.

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L’aeroporto di Samarcanda (immagine da Unsplash)

“A questo aggiungiamo una crescente influenza dei grandi attori come Cina e Russia in molti paesi che forniscono materie prime anche alle Pmi italiane. Penso al Medio Oriente per l’energia, all’Asia centrale per le materie prime minerali. Tutte queste nazioni sono un territorio ideale per vendere la nostra meccanica. Penso al recente viaggio del presidente Mattarella in Uzbekistan: nazione poco conosciuta ma, con i suoi giacimenti minerari, un crocevia importante per molte delle nostre industrie. Tutte queste sfide e opportunità devono essere valutate ricordando che, ad oggi, molte nazioni erano clienti italiani indiretti, tramite per esempio la Germania che compra molta della nostra meccanica ma che, al contempo, riduce i margini di vendita delle Pmi. A mio avviso esplorare questi mercati direttamente è un’opportunità che dovrebbe essere colta”.

Nuovi mercati richiedono nuove risorse umane

Capire come muoversi in nuovi mercati non è sempre facile. Le grandi aziende, le multinazionali, hanno un approccio estremamente strutturato che le Pmi, per dirla in modo semplice, non possono permettersi. Avere una matrice di conversione per massimizzare le proprie attività all’estero implica di dover assumere nuovo personale. È una sfida nella sfida che deve essere compresa da ogni Pmi.

“Mi è capitato di vedere nelle Pmi – continua Minon – approcci da praterie da attreversare. Praterie non ce ne sono, in realtà, sotto il manto erboso si nascondono delle trappole. Le opportunità, certo, ci sono. Ma è bene comprendere che se la Pmi non ha, al suo interno, figure dedicate ed esperte sui temi internazionali, dovrà appoggiarsi a strutture esterne oppure a manager presi in prestito, come i temporary o i fractional manager. Se parliamo di strutture esterne che hanno già un’esperienza sul campo ci sono due soluzioni: la prima pubblica e la seconda privata. L’una ovviamente non esclude l’altra. Se parliamo di Est Europa e stati della sfera d’influenza ex sovetica, c’è da prendere in considerazione, per esempio, Confindustria est Europa, molto attiva per supportare le aziende specialmente le Pmi. Sempre nell’ambito delle Confindustria è doveroso ricordare Confindustria Romania, Confindustria Polonia e Confindustria Serbia. Poi ci sono le Camere di Commercio: quella Italo-Ucraina e Italo-Polacca”.

“Diciamo che queste due tipologie di agenzie pubbliche devono essere utilizzate con uno scopo preciso. Le Confindustrie sono più adatte per Pmi che vogliono installare una sede stabile nel paese bersaglio, mentre le Camere di Commercio sono più adatte alle Pmi che vogliono esportare merci e servizi senza strutturare un’organizzazione stabile ma utilizzare agenti locali, o avere un semplice rappresentanza commerciale. A queste due tipologie di entità poi dobbiamo aggiungere Ice, che ha una visione mondiale, e Simest. A livello regionale l’equivalente di Simest sono entità come Finest, di cui sono presidente”.

“È una realtà partecipata al 99% da capitale pubblico: 73% dal Friuli Venezia Giulia, una quota minore in capo al Veneto e una piccola quota della provincia autonoma del Trentino. Poi ci sono partecipazioni simboliche degli istituti bancaria privati che operano come un supporto di rete e servizi per le aziende che s’affidano a noi. È un’entità vitale, quasi una sorta di merchant bank per l’internazionalizzazione delle aziende del Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige. Come Finest – conclude Minon – operiamo in tutto per le repubbliche ex sovietiche, a cui di recente si è aperto il mandato per tutti i paesi che si affacciano sul mediterraneo dal nord africa al medio oriente. A queste entità pubbliche si affiancano”,

Anche Mancini ha le idee chiare sul tema risorse umane e agenzie di supporto alle Pmi. “La sfida che ogni imprenditore affronta quando vuole andare all’estero è importante: un ecosistema culturale differente, regole di ingaggio complesse, la lingua. Tutto questo implica una preparazione che spesso una Pmi non possiede tra le risorse interne. Nella mia esperienza prima con Expo 2015, poi con Expo Astana, ho avuto modo di confrontarmi con molte Pmi che avevano interesse a relazionarsi con gli espositori di questi eventi”.

Le Pmi e l’arte della diplomazia

“C’è una forte voglia di italianità e professionalità di cui il nostro paese è ricco, ma che necessitano di essere supportate e intermediate. Le Pmi dovrebbero relazionarsi in eventi ufficiali, come quelli organizzati da ambasciate o consolati italiani. Spesso noto, invece, una certa ritrosia: esiste l’errata percezione che questi eventi siano troppo formali o distaccati dall’attività di business. Niente di più errato. Spesso mi sono confrontato con ambasciatori e consoli italiani durante eventi organizzati tra la comunità nazionale, dove l’ambasciatore opera, e le nostre imprese venute in occasione dell’evento: sono situazioni dove il formale e l’informale si mischiano. A questo si aggiunga che spesso la cucina italiana gioca a favore delle nostre imprese, dopo tutto il cibo è un linguaggio internazionale”.

“Ovviamente le Pmi devono comprendere che se non hanno risorse interne adatte si devono affidare a manager o agenzie, pubbliche o private, che possono accompagnarle e smussare quelle spigolosità classiche che si manifestano quando due culture, oserei dire due mondi, si incontrano”, conclude Mancini

Con l’evoluzione di un mondo multipolare sempre di più le Pmi dovranno imparare a relazionarsi con un territorio economico e sociale che muta rapidamente. Considerare i mercati esteri, magari fuori dall’Unione europea, territori che possono portare molti vantaggi, se valorizzati, è un approccio vincente. Tuttavia per evitare delusioni le Pmi dovranno comprendere quando e come affidarsi a risorse esterne all’azienda, che possano aiutarle a raggiungere i propri traguardi all’estero.

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