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Banche e aiuti di Stato, ma l’UE adotta due pesi e due misure o no?
Le tempistiche hanno sempre il loro peso, a volte anche superiore rispetto ai contenuti. Ecco perché le notizie ravvicinate della bocciatura UE sul caso degli asseriti aiuti di stato concessi alla Banca Tercas e della lettera inviata da Bruxelles al Governo Italiano in merito ad altrettanti asseriti aiuti erogati in favore dell’ILVA di Taranto, hanno sollevato un vespaio di polemiche su una presunta disparità di trattamento nell’applicazione della disciplina a salvaguardia della concorrenza.
Tempistiche a volte più importanti dei contenuti perché, ad esempio, la bocciatura sugli aiuti a Tercas del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) non era una novità. Infatti il Governo italiano aveva già previsto come superare l’intoppo seguendo le indicazioni europee, ossia trasformando i contributi erogati dalle banche in favore del FITD da obbligatori a volontari, uscendo così dalla disciplina sugli aiuti di stato.
Ma i due casi sopracitati, uniti alla diatriba Roma-Bruxelles su chi abbia deciso i termini dell’operazione denominata salva-banche, oltre ai noti scambi di vedute su richieste di maggiore flessibilità sulla finanza pubblica, hanno inevitabilmente scatenato un tam-tam istituzionale e mediatico che ha nuovamente irrigidito i rapporti UE-Italia.
Tralasciando le ragioni politichesi contenute nelle varie dichiarazioni, si può parlare tecnicamente di disparità di trattamento?
Brevi cenni sulla disciplina degli Aiuti di Stato
La norma di riferimento è l’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), il quale prevede al primo comma che “..sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi fra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.” Il Trattato mira a prevenire una lesione della libera concorrenza all’interno del mercato unico europeo che potrebbe derivare da favoritismi degli Stati Membri nei confronti di imprese di un determinato territorio. La ratio è altrettanto chiara: un mercato unico può funzionare solo se i giocatori competono sulla base delle stesse regole, senza favoritismi sleali.
Ovviamente la disciplina non si ferma al primo comma, ma prevede delle deroghe. Si distingue tra deroghe che si applicano automaticamente e deroghe discrezionali. Tra le prime rientrano gli aiuti concessi ai consumatori e quelli erogati nei casi di calamità naturali. Le altre deroghe, invece, vengono ammesse a seguito di giudizio discrezionale della Commissione Europea, in base alle indicazioni contenute nel terzo comma del citato art. 107, il quale prevede che “Possono considerarsi compatibili con il mercato interno”: a) gli aiuti destinati ad aree sottosviluppate; b) gli aiuti che mirino alla realizzazione di un significativo progetto di interesse europeo o a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; c) aiuti diretti ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche; d) aiuti in favore di cultura e conservazione del patrimonio; e) altri aiuti individuati con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.
Aiuti di Stato concessi al settore bancario nell’UE
Essi rientrano nelle deroghe contenute nel terzo comma dell’articolo 107 e vengono giustificati in casi di grave turbamento dell’economia. In seguito allo scoppio della crisi del 2008, l’Unione Europea ha deciso di alleggerire – a causa di un’emergenza giudicata di maggior rilievo rispetto alla tutela della concorrenza – il controllo sugli aiuti di stato concessi agli istituti di credito, in deroga alla disciplina generale.
Come noto, i numeri sono alti. Li indica direttamente la Commissione, tracciando un bilancio degli aiuti statali alle banche UE autorizzati e usati negli anni più duri della crisi (2008 – 2014).
Gli aiuti accordati dalla Commissione in deroga alla normativa generale si presentano sotto forma di tre strumenti: garanzie, ricapitalizzazioni, Asset relief.
In primo luogo le garanzie a copertura delle passività, per le quali gli aiuti autorizzati dalla Commissione corrispondono a un importo vicino ai 4.000 miliardi di euro, ma gli aiuti effettivamente usati dagli Stati Membri rappresentano meno di un quarto di quelli approvati. Ovviamente, trattandosi di strumenti aventi principalmente la funzione di rassicurare il sistema, le garanzie effettivamente escusse riguardano un importo di 3 miliardi di euro. Oltre agli aiuti per le garanzie di tipo generale, altri supporti sono andati a finanziare garanzie per strumenti di debito a breve termine. Di questi ultimi, la Commissione ne ha autorizzati per un importo complessivo di quasi 380 miliardi di euro e ne sono stati effettivamente utilizzati circa 70.
Secondariamente, le misure di ricapitalizzazione dirette agli istituti di credito. La Commissione ha autorizzato un importo complessivo di aiuti pari a poco più di 821 miliardi di euro, ma gli Stati Membri ne hanno utilizzati 448 (3,4 del PIL UE nel 2013). Ma perché non li hanno utilizzati tutti? Perché non esistono aiuti gratis. Ne riparleremo nel prosieguo.
Infine, i programmi di Asset relief, con cessioni di titoli strutturati delle banche in sofferenza a un veicolo pubblico. Per questa voce, aiuti autorizzati dalla Commissione quasi 670 miliardi di euro, utilizzati poco meno di 190.
E’ vero che l’Italia ne ha usufruito in misura esigua rispetto alle somme totali? Sì, è vero.
In merito alle misure di ricapitalizzazione, ne abbiamo usati meno di 8 miliardi. Belgio 23, Francia 25, Spagna 61, Germania 64, UK 100 (sempre in miliardi di euro, cifre arrotondate per comodità. Tutti i numeri nel link al sito della Commissione Europea).
Zero alla voce dei programmi di Asset relief. Belgio quasi 22, Francia poco più di 1, Spagna quasi 33, Germania poco meno di 80, UK 40.
Più consistente il dato italiano delle garanzie sulle passività usate nell’anno di picco 2009, 86 miliardi. Belgio 46, Francia 92, Germania 135, Spagna quasi 72, UK 158.
Ma allora perché non ne abbiamo usufruito illo tempore e adesso ci tocca parlare di Bad bank, proroghe all’avvio del bail-in e quant’altro? E poi, come spiega la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager a Beda Romano sul Sole 24 Ore, siamo ormai fuori tempo massimo, visto che la Commissione sembra d’un tratto aver adottato una politica molto più restrittiva in tema di aiuti di stato?
Più che gli aiuti di stato, il vero limite si chiama debito pubblico
Aiutare le banche costa. Durante il periodo acuto della crisi, i Paesi UE hanno dovuto fare i conti con la crescita dei rispettivi debiti pubblici. E naturalmente chi ha impiegato tante risorse statali per ricapitalizzare gli istituti in sofferenza ne ha risentito. La Germania è passata da un rapporto debito/PIL al 63,6% nel 2007 al picco dell’81% raggiunto nel 2010. La Spagna era al 35,5% nel 2007, adesso è intorno al 100%, come la Francia che nel 2007 era al 64,4%.
L’Italia nel 2007 aveva un rapporto debito/PIL al 99,7%, nel 2014 è arrivato al 132,3%. Provate a immaginare a quanto sarebbe giunto il rapporto nel caso avessimo ricapitalizzato da soli il nostro sistema bancario come fatto in altri Paesi.
Non è stata una questione di aiuti di stato, semplicemente non potevamo permettercelo. È stato un male? Dipende dai punti di vista. Non credo che i contribuenti tedeschi siano felici delle cifre di cui ha scritto Fabio Pavesi sul Sole 24 Ore, considerato che il problema non è stato per nulla risolto. Come gestione del sistema bancario, non abbiamo davvero nulla da invidiare ai tedeschi (anche se un sistema di banche controllate da Stato e Enti pubblici pare ancora avere molti sostenitori in Italia…).
Avremmo potuto chiedere aiuti europei tramite i fondi ESFS e ESM? Probabilmente sì, anche se non sarebbe stata un scelta indolore. Teoricamente potremmo farlo anche ora, ma l’ESM concede prestiti (naturalmente da restituire con gli interessi e con molte condizioni) per ricapitalizzare direttamente le banche solo in seguito a sottoposizione degli istituti in difficoltà a bail-in fino all’ 8% delle passività e previo utilizzo del fondo di risoluzione.
Cosa si può e non si può fare
Ma la Commissione cosa dice? Non si può fare più nulla? No, non è proprio così, ma di certo le politiche a tutela della concorrenza sono oggi tornate a essere più restrittive rispetto al passato recente (si badi bene: le ricapitalizzazioni bancarie con fondi pubblici sono e restano estremamente distorsive per la concorrenza).
Comunque l’Esecutivo europeo è abbastanza chiaro sull’ argomento e ci “avverte” su tutto, prendendo proprio spunto dalla vicenda della Banca Tercas di cui sopra.
La Commissione ci ricorda che per il Periodo 13 ottobre 2008 – 31 luglio 2013, “(…) ha adottato un quadro globale per gli aiuti di Stato al settore finanziario durante la crisi.(…) Vista la necessità di agire rapidamente e la notevole incertezza che regnava nelle prime fasi della crisi in merito ai problemi delle banche, la Commissione ha autorizzato un “aiuto al salvataggio”, che poteva essere approvato su base temporanea a condizione che entro 6 mesi fosse presentato un piano di ristrutturazione in vista dell’approvazione definitiva da parte della Commissione.”
Successivamente a questa situazione emergenziale dove gli aiuti sono stati approvati con grande disinvoltura, “Dal 1° agosto 2013: la Commissione ha adottato una nuova comunicazione sul settore bancario (…) L’aspetto più importante è che tali norme hanno introdotto un processo di ristrutturazione più efficace per le banche che beneficiano di aiuti e hanno rafforzato i requisiti in materia di ripartizione degli oneri, chiedendo agli azionisti e ai titolari di prestiti subordinati di dare un contributo prima della concessione di un aiuto (…)”.
Il grassetto, aggiunto, ci ricollega naturalmente al Bail-in e al principio del burden sharing. Questo cambio di rotta è la prova della disparità di trattamento? Il primo periodo di deroga è durato 5 anni, un lasso di tempo considerevole per intervenire prima che si iniziasse a parlare di Bail-in.
Ma la Commissione interviene anche sul dibattito che prosegue ormai da anni in Italia, relativo alla Bad bank. La Bad bank è compatibile con la normativa europea sugli aiuti di stato? Si, lo è. Ma a determinate condizioni. Due ipotesi:
- Senza aiuti di stato. Se uno Stato membro interviene come lo farebbe un investitore privato, l’intervento è ammissibile. “La misura non comporta aiuti di Stato se la bad bank è strutturata in modo da non coinvolgere fondi pubblici oppure, se la bad bank è sostenuta da fondi pubblici, i prestiti devono essere trasferiti a prezzi di mercato (cioè i prezzi che applicherebbe un investitore privato).”
- Con aiuti di Stato. “se gli attivi sono trasferiti alla bad bank a prezzi superiori ai prezzi di mercato, costituiscono un aiuto di Stato e la misura può essere attuata solo se la banca è sottoposta a risoluzione, conformemente alle norme sugli aiuti di Stato e ai requisiti pertinenti della BRRD.” Quindi, non si scappa dal Bail-in. Ma a queste condizioni si può fare sia una Bad bank che interessi una o più banche, sia una Bad bank sistemica come la SAREB spagnola.
La posizione europea è quella appena descritta. Essendo i giudizi discrezionali (un limite nell’architettura istituzionale) qualche deroga è sempre possibile, ma mai a costo zero.
Sorprende sempre dover constatare che mentre tutta la parte di mondo colpita dalla crisi post-Leman Brothers provvedeva a ricapitalizzare le banche, noi non abbiamo nemmeno abbozzato un piano (benché, come detto, l’alto debito pubblico limitava il nostro raggio di azione). Adesso lo spettro del Bail-in ha gettato l’opinione pubblica nel panico e si invocano soluzioni straordinarie. Da chi propone di chiedere una proroga alla stessa applicazione della Direttiva che introduce il Bail-in (BRRD), a chi invoca – come spesso in questi casi – un intervento prodigioso della Cassa Depositi e Prestiti (sicuri che quest’ultima soluzione sia esente dall’applicazione delle regole sugli aiuti di stato?).
Quella che emerge però è una situazione di incertezza nella quale navigano Governo e Banca d’Italia. Un segnale incoraggiante è arrivato dalla vendita di sofferenze per un miliardo effettuata dal Monte dei Paschi di Siena e per la possibile affermazione di un mercato dei crediti deterioriati. Una soluzione di mercato di cui scriveva qualche settimana fa Diego Valiante su queste colonne.
Naturalmente sarebbe la soluzione ideale per Governo, banche e contribuenti, ma stiamo parlando di oltre 300 miliardi di crediti sofferenti. Inoltre, come sottolineava Valiante, manca la trasparenza su quale sia la reale situazione delle banche non sottoposte alla supervisione della BCE (grave limite dell’Unione Bancaria).
A tal proposito, per la serie “Who’s next?”, Nicola Borzi, a pagina 7 di Plus 24 (all’ interno del Sole 24 Ore) di sabato 9 gennaio, evidenzia, ad esempio, la situazione preoccupante che concerne il futuro della Cassa di Risparmio di Cesena.
La situazione resta preoccupante, ma sarà difficile invocare nuove deroghe speciali alla disciplina sugli aiuti di stato, perché è una finestra probabilmente ormai chiusa. Ma anche se fosse ancora aperta, persisterebbe un problema di risorse e di funding dell’operazione di certo non secondario.
Twitter @frabruno88