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Supply Chain e Supply Chain Finance: come renderle green e sostenibili
Post di Giulia De Vendictis, Public Funding & Grants Specialist presso MET Development, MAIRE Group –
La recente crisi pandemica e la guerra Russia-Ucraina hanno enfatizzato la necessità di reimpostare le priorità a lungo termine delle imprese. Su richiesta di governi, stakeholder e investitori, l’Industria ha iniziato a considerare fattori quali l’ambiente, il sociale e il governo dell’impresa (ESG) nonché il proprio impatto su di essi – se non per bontà, quantomeno per interesse.
Avere una buona reputazione, un buon rating, è essenziale: attira investitori, migliora i prezzi delle operazioni e apre porte. Poco importa se un buon rating ESG sia sinonimo di buona performance aziendale, perché chi non ne avrà uno a tendere non riuscirà più a operare.
Supply chain sostenibile, anche grazie ai fornitori
Ecco che le imprese più lungimiranti, i leader di settore, hanno iniziato non solo a farsi assegnare un rating ESG, ma ad assegnarne uno alle proprie controparti – in pratica incaricandosi di promuovere e diffondere la sostenibilità lungo tutta la propria filiera. Così è nata la Sustainable Supply Chain (SSC), cioè la catena di approvvigionamento sostenibile.
I fornitori vengono analizzati sulla base dei tre fattori ESG (Environmental, Social & Governance) tenendo conto delle caratteristiche dell’impresa, come la dimensione e il settore in cui operano. I Key Performance Indicators (KPI) che vengono considerati per ognuno dei tre fattori devono essere ben identificabili, misurabili e monitorabili; vengono raccolti a partire da diverse fonti documentali come, per esempio, questionari auto-compilati dai fornitori, certificazioni ambientali (es. certificazione ISO) o sociali (es. standard SA8000) e bilanci di sostenibilità.
Volendo procedere a una valutazione ESG dei propri fornitori, le aziende possono scegliere tra condurla internamente o esternalizzarla incaricando un ESG information provider. Nel primo caso, l’impresa dovrà dotarsi di una piattaforma e degli strumenti necessari per la valutazione e l’attribuzione del rating di sostenibilità (questa opzione permette un maggior livello di personalizzazione nella scelta dei parametri da considerare per l’analisi). Nel secondo caso, l’impresa non dovrà investire in sistemi di valutazione interni, ma otterrà direttamente la valutazione dei propri fornitori certificata da un ente terzo.
La valutazione della performance di sostenibilità può quindi essere utilizzata per incentivare i fornitori a migliorare le proprie pratiche di sostenibilità istituendo delle barriere all’ingresso o attribuendo bonus e malus. In pratica, i fornitori che non raggiungono un determinato livello di sostenibilità non possono partecipare a gare di appalto per ottenere contratti di fornitura e/o accedere a soluzioni di Sustainable Supply Chain Finance (o possono, ma a prezzi più svantaggiosi).
Supply chain, rating ESG e barriere all’ingresso
Parlando di Supply Chain Finance – ovvero l’insieme di soluzioni di finanziamento e di mitigazione del rischio che consentono a un’impresa di ottimizzare il capitale circolante proprio e della filiera in cui opera facendo leva sul ruolo che essa ricopre all’interno della Supply Chain – le imprese stanno iniziando ad integrare la valutazione ESG dei propri fornitori all’interno dei programmi di Supply Chain Finance.
Questo schema di finanziamento utilizza e raggruppa vari strumenti tradizionali di Trade Finance appartenenti alle due categorie di acquisto crediti (i.e. Receivables Discounting, Forfaiting, Factoring e le sue varianti, Payables Finance e la sua variazione nel Dynamic Discount) e di tecniche basate su prestiti o anticipazioni (i.e. Loans/Advances against Receivables, Distributor Finance, Inventory Finance e Pre-shipment Finance).
Per rendere sostenibile la Supply Chain Finance, basta attribuire un rating ESG ai fornitori e suddividerli in gruppi diversi sulla base del loro punteggio; a questo punto si sceglie se utilizzare un sistema di ricompense, per cui ai cluster più virtuosi viene offerto un prezzo di finanziamento o un costo di sconto più basso (es. il Reverse Factoring diventa Rewarding Reverse Factoring), oppure se istituire una barriera all’ingresso per partecipare al programma di Sustainable Supply Chain Finance, per cui i fornitori con basse prestazioni in termini di sostenibilità non saranno ammessi, mentre quelli più sostenibili potranno accedere (es. Entry Barrier Reverse Factoring).
Qual è il problema? Si fatica a implementare una Supply Chain Finance normale – e in Europa fatica a fare il suo ingresso lo schema di finanziamento oltre il primo livello di fornitura (i.e. Deep Tier Financing) – figuriamoci una Supply Chain Finance sostenibile (SSCF).
Il conflitto tra banche e fintech
Un grande problema è che le banche resistono all’on-boarding delle fintech che propongono le piattaforme di Supply Chain Finance a vari finanziatori, perché vorrebbe dire rinunciare in parte a vendere le proprie piattaforme di Trade Finance o Reverse Factoring. D’altro canto, l’offerta delle banche non è appetibile per le imprese, che non possono sottoscrivere decine di piattaforme di altrettante banche di relazione. Negli ultimi tempi, stanno anche provando a imitare l’offerta delle fintech, proponendo piattaforme di Supply Chain Finance mono-banca o spacciando l’automatizzazione di un prodotto tradizionale per Supply Chain Finance.
Anche le fintech stanno iniziando a raggiungere un numero spropositato. Ormai spuntano come funghi e le imprese faticano a stare dietro alle offerte effetto-spam sull’ultima e più fantastica piattaforma di Supply Chain Finance. Seguendo questa tendenza, il beneficio di avere una piattaforma digitale unica, che raggruppa varie forme tradizionali di finanziamento e coinvolge diversi istituti finanziari, si riduce drasticamente. Soprattutto perché integrarle e implementarle non è un gioco da ragazzi e spesso, dopo la fase pilota, ci si ritrova con un prodotto finale che è il vago sentore della proposta originale (con molti paletti tecnici e plafond inadeguato alle esigenze). Così, se l’obiettivo era quello di sostituire alcuni prodotti di Trade Finance tradizionale riconvertendo le linee di credito disponibili e mettendole a servizio dei programmi di Supply Chain Finance, il piano resta spesso realizzato a metà.
In questo contesto, implementare delle barriere all’ingresso per rendere la Supply Chain Finance sostenibile, può risultare impossibile. Rimane comunque interessante il meccanismo delle ricompense.
In conclusione
Riuscire ad attivare una Sustainable Supply Chain e una Sustainable Supply Chain Finance è, in ogni caso, una evidente dimostrazione di innovazione. Può voler dire migliorare il rating ESG dell’impresa e, quindi, ottenere più agevolmente o convenientemente finanziamenti o concessioni, perché gli operatori di mercato considerano sempre più spesso i fattori ESG come elementi determinanti le proprie scelte di investimento.