categoria: Vendere e comprare
Innowashing, ovvero i rischi della consulenza al gran ballo dell’innovazione
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.“ Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
Rifletto ormai da tempo sul futuro della consulenza, sul ruolo che gioca nella crescita del Paese e delle sfide che si trova attualmente ad affrontare.
Sta cambiando la struttura economica del nostro Paese: imprese un po’ più grandi (ma non ancora grandi), più dinamiche, operanti in mercati in continuo cambiamento, soggette a forti innovazioni tecnologiche, ecc.
Tutto questo in qualche modo ha contribuito a spiazzare quella parte di consulenza che ha nelle PMI il suo target tradizionale. Ne ho scritto diffusamente nel mio libro “Restartup, le scelte imprenditoriali non più rimandabili” edito da Egea.
Dalla consulenza all’intrattenimento
Fatta questa premessa doverosa, vi sottopongo un tema su cui mi trovo a riflettere sempre più spesso ultimamente: una delle derive più pericolose per i professionisti è quella di passare da far consulenza e dottrina a far intrattenimento. Inizialmente mi sono limitato ad osservare quello che accade sui social pensando che la cosa fosse limitata a quell’ambito (e non mi riferisco ovviamente a post personali dichiaratamente di svago).
In realtà temo che questa tendenza sia ben più subdola e radicata. La chiamerò Innowashing, ovvero quel mix pericoloso di eventi/formazione/consulenza che ci illude di affrontare il cambiamento, che ci racconta l’innovazione, in qualche modo ci consola e gratifica (“Vedi che comunque mi sto ponendo il problema e sto iniziando ad affrontarlo?”) ma che non spinge all’azione e non contribuisce in maniera sostanziale al cambiamento.
Da Greenwahing a Innowashing
Il termine mi è stato suggerito da Enrico Verga (anche lui contributor di Econopoly) durante un breve confronto in cui gli ho esposto queste mie riflessioni.
Da dove deriva? Be il rimando immediato è a Greenwashing di cui riporto la definizione proposta da Wikipedia.
“Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta.”
Il rischio dell’effetto consolatorio
Nel nostro caso più che dare un’immagine ingannevole all’esterno, il rischio è quello di un ben più pericoloso effetto consolatorio ovvero di illudere affrontare il problema senza poi cambiare nel concreto. Subdolo perché fatto senza piena consapevolezza ed in buona fede, sia chiaro. Non sto parlando in questo caso di patologia.
Riprendendo un’abusata citazione del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.“
I 3 fattori della consulenza che illude
Da cosa deriva tutto questo? Principalmente credo da tre fattori:
1. Il proliferare di consulenti più o meno improvvisati che propongono soluzioni facili ad imprenditori affaticati dalle continue sfide del mercato;
2. L’illusione dell’hype: ci hanno insegnato che per spingere l’innovazione è necessario creare hype, un termine utilizzato soprattutto nel mondo dei social per indicare la strategia che si utilizza per creare grandi aspettative su un prodotto innovativo. Il rischio in questo caso è duplice: per il consulente di restare vittima della vanità (quanto sono bravo a raccontare le ultime novità e quanti like prendo), per l’imprenditore di limitarsi all’intrattenimento, al credere che restare aggiornati esaurisca quanto necessario per affrontare il forte impatto che l’innovazione avrà sul proprio mercato.
3. Cambiare è difficile: cambiare porta inevitabilmente con sé il conflitto (tra imprenditore e cliente e all’interno dell’organizzazione). Modificare il modello di business è complicato, modificare l’organizzazione in una PMI può portare a gestire il conflitto in azienda e spesso anche in famiglia.
Gli elementi essenziali della consulenza
Inoltre fare consulenza strategica è complesso e richiede:
– La capacità di aiutare l’imprenditore a porsi quelle domande che non è sempre in grado di porsi, di aiutarlo ad identificare quei bisogni che non sempre gli sono chiari;
– La costruzione di un ecosistema fatto non solo di dati e competenze multidisciplinari ma anche di potenziali interlocutori dell’imprenditore per contribuire alla cocreazione del servizio;
– un metodo ed un modello per passare dall’intuizione (e dall’effetto wow del racconto dell’innovazione) al progetto.
Compito della consulenza è aiutare l’imprenditore a prendere decisioni consapevoli sul fare o sul non fare.
Per chi volesse approfondire vi segnalo sempre su Econopoly l’articolo di Andrea Elestici “Guida teorica e pratica per imprenditori a caccia di consulenza” scritto in occasione dell’evento da me organizzato tempo fa in collaborazione con ilSole24Ore: “Accademia dei Pugni, imprenditori contro consulenti”.
La polarizzazione tra chi fa e chi si illude di fare
Nella mia attività di advisor mi accorgo sempre di più di come il mondo dell’imprenditoria si stia polarizzando tra chi fa e chi si illude di fare. Non sto dicendo nulla di nuovo sia chiaro, i dati di Banca d’Italia lo confermano.
La consulenza deve porsi come missione, anche sociale se si vuole, quella di aiutare chi fa impresa ad agire senza cullarsi nell’illusione di farlo. Il piano aziendale è uno strumento, non l’unico ovviamente, che può aiutare in tutto questo.
Attraverso un dialogo fatto di domande e risposte deve diventare l’occasione per:
– riflettere sui possibili scenari futuri (come potrebbero impattare i cambiamenti sull’impresa);
– prepararsi ad affrontare una pluralità di scenari possibili costruendo asset materiali ed immateriali (es. attenzione alla governance, gestione del rischio, creazione di know how, marchi, brevetti, crm, academy aziendali, ecc.);
– pianificare in maniera snella e flessibile l’attività dei prossimi mesi sapendo che tutto potrebbe cambiare in maniera repentina e l’azienda potrebbe trovarsi a dover reagire velocemente.
Cambiamento o intrattenimento?
Oggi credo che tutti noi che supportiamo chi fa impresa dovremmo interrogarci su quanto siamo in grado di accompagnare verso un reale cambiamento e su quanto rischiamo di ripiegare su un più comodo (e portatore di facili quanto illusori consensi) intrattenimento che ovviamente contribuisce a fare cultura d’impresa e ad informare ma che non può e non deve limitarsi a quello rischiando l’effetto placebo.
Le sfide che la consulenza si trova ad affrontare sono molte.
Interrogarci sulla nostra adeguatezza è un primo passo per provare a vincerle.