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Silicon Valley Bank o dell’insostenibile leggerezza delle minusvalenze
In effetti si sentiva proprio la mancanza di qualche evento epocale all’inizio dell’anno. Nel febbraio 2020 la pandemia, nel febbraio 2022 l’invasione russa dell’Ucraina. Quest’anno siamo arrivati a marzo senza sconvolgimenti di rilievo e chissà se quello che ci si prospetta è davvero una nuova crisi bancaria globale. La scorsa settimana è iniziata con la chiusura di Silvergate Bank, la cosiddetta banca delle cryptovalute, collassata sotto il peso insostenibile delle perdite legate all’exchange FTX. Poi sono arrivate le notizie delle perdite subite da Silicon Valley Bank, che ne hanno determinato la fuga dei depositi da 42 miliardi in un solo giorno e la chiusura decisa venerdì in fretta e furia, a mercati ancora aperti. Nel fine settimana poi la chiusura di un’altra banca, Signature Bank, e la predisposizione di una rete di sicurezza da parte di FED, FDIC e Tesoro.
Negli ultimi 5 giorni l’indice di borsa delle banche regionali ha perso circa il 25%, segnale che le difficoltà non sono solo legate a errori della singola banca o del singolo management. Se estendiamo ancora lo sguardo vediamo che le perdite borsistiche non sono nemmeno confinate alle sole banche regionali e solo agli USA. L’indice delle maggiori americane ha perso più del 16% negli ultimi cinque giorni e quello delle banche europee oltre il 12%. Senza dover necessariamente arrivare a vedere la catastrofe dietro l’angolo e l’imminente crollo dell’intero settore bancario, ci sono due aspetti a mio avviso che giustificano il calo generale delle valutazioni bancarie, due aspetti che la crisi di questi singole banche regionali ha definitivamente messo in evidenza.
Le minusvalenze nascoste nei bilanci
Sappiamo che le difficoltà di Silicon Valley Bank sono diventate evidenti quando ha annunciato l’avvio di una ricapitalizzazione per coprire le perdite registrate sulla vendita di 21 miliardi di titoli che aveva in portafoglio. La vendita ha riguardato il portafoglio di titoli AFS (Available for Sales), soprattutto Titoli di Stato, che devono essere valutati al fair value. Le perdite nascoste, emerse al momento la vendita, si sono pertanto registrate solo negli ultimi due mesi, dal 31 dicembre scorso, data di chiusura del bilancio.
Il resto, il grosso delle minusvalenze relative al portafoglio HTM (Held to Maturity), rimaneva ancora nascosto e questo ha fatto preoccupare i depositanti. Ma questo tipo di minusvalenze non sono soltanto una caratteristica del bilancio di Silicon Valley Bank. Il fondo tutela dei depositi americano stima che nel complesso il sistema bancario americano abbia al 31 dicembre 2022 circa 620 miliardi di dollari di minusvalenze nascoste nel portafoglio HTM. Poi ci sono le minusvalenze maturate in questo primo trimestre nel portafoglio AFS, provocate dalle attese di un più rapido aumento dei tassi da parte della FED.
Il caso di Silicon Valley Bank ha reso evidente che non si può far finta di nulla e pensare che queste minusvalenze non esistano, o che siano così remote dal manifestarsi. Dopo anni di tassi a zero, un regime prolungato di tassi significativamente più elevati può condizionare la patrimonializzazione delle banche, o almeno la sua valutazione di mercato. Di questo si inizia a tener conto non solo in America. Anche in Europa, in cui la gran parte delle attività bancarie sono classificate HTM, una maggiore attenzione del mercato alle minusvalenze latenti di questi portafogli titoli vorrebbe dire una revisione al ribasso di tutte le valutazioni fatte.
L’impatto sui margini di interesse
Il secondo aspetto da considerare riguarda il modo con il quale i depositi bancari potrebbero essere remunerati alla luce di questa esperienza. Sappiamo che la gran parte dei depositi presso Silicon Valley Bank non percepiva alcun interesse. Il caso è abbastanza classico e comune a tantissime banche, dopo che per anni anche le attività bancarie avevano rendimenti poco sopra lo zero. Ma nel nuovo regime di tassi più elevati, i depositi a tasso zero potrebbero aver vita breve, proprio perché ci sono altre alternative, rappresentate negli USA principalmente dalle quote dei fondi monetari, che a questo punto offrono dei rendimenti estremamente più allettanti. La competizione tra diverse forme di deposito della liquidità potrebbe così far alzare il tasso passivo pagato dalle banche sui conti correnti e riprezzare margine di interesse e redditività bancaria su valori significativamente più bassi rispetto a quelli che venivano ipotizzati mesi fa.
Questi due elementi, una maggiore attenzione di mercato all’impatto che le minusvalenze latenti potrebbero avere sulla patrimonializzazione bancaria e delle attese più basse per il margine d’interesse bancario a causa di una maggiore competizione sulla liquidità, potrebbero spiegare le difficoltà di questi ultimi giorni dell’intero settore. Tutto questo senza considerare il classico convitato di pietra per ogni fase del rialzo dei tassi che è il deterioramento del credito. Le crescenti difficoltà della clientela a rimborsare i prestiti, e i maggiori accantonamenti a bilancio a copertura delle perdite su crediti, sono state tenute fuori da tutto il ragionamento.