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Affitti brevi sotto accusa, ma il turismo può creare sviluppo ovunque
Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, ricerca di soluzioni finanziarie –
Qualche settimana fa il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ha raccontato ai giornali che non è in grado di trovare casa nella sua città, accendendo un faro sul tema della concorrenza tra residenti, studenti, e turisti che desiderano alloggiare nel capoluogo emiliano.
Pochi giorni dopo su Twitter abbiamo letto uno scambio, a tratti acceso, tra Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi nazionale, e Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, innescato da una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea in materia di affitti brevi, che obbliga AirBnB a sottostare alla legge italiana sulla riscossione della cedolare secca, pagata, sostiene Federalberghi, da troppo pochi proprietari di immobili offerti sul noto portale, dando così origine ad una concorrenza di prezzo con gli albergatori.ù
Affitti brevi: una questione irrisolta
Degli affitti brevi mi sono occupato più volte su Econopoly, ad esempio nel 2018 e nel 2020, quando scrivevo:
“La politica, quindi, si trova di fronte ad una situazione difficile, che sembra non avere soluzione, in questi tempi di crisi demografica ed economica, che porta ad avere un grande patrimonio immobiliare poco utilizzato, e due categorie di investitori immobiliari (proprietari di appartamenti e proprietari di alberghi) con interessi contrastanti”.
I sindaci dei maggiori comuni turistici ed i vari governi che si sono succeduti negli anni, non sono riusciti ad affrontare la questione, cosicché anche la chiusura della libreria Odadrek di Roma diventa l’occasione perché il proprietario Davide Vender accusi il turismo mordi e fuggi: “Il quartiere è diventato un immenso bed and breakfast. E i costi per i locali, dopo la pausa pandemica, si sono subito rigonfiati”.
Effetti della crisi pandemica sul turismo
Gli effetti sono stati severi e in parte persistono. Ne fa una sintesi magistrale Antonio Pezzano su Officina Turistica: l’Italia è il paese che a fine 2022 registrerà il minor tasso di recupero dei flussi turistici esteri sul 2019.
La conclusione di Pezzano ricalca temi che i più accorti di noi stanno evidenziando da molti anni e che la politica ha lasciato orfani: quello dei mercati esteri da coltivare e quello degli investimenti da orientare per location e obiettivo.
Dice Pezzano: “Considerata la debolezza della domanda domestica, il turismo italiano, soprattutto quello fuori dal circuito delle grandi città d’arte e di glamour, ha bisogno di sottrarre alla Spagna quote di mercato nel Regno Unito e nei Paesi Nordici, contrastando la forte concorrenza di Croazia, Grecia e Portogallo”.
“…la priorità del turismo italiano rimane rendere più facile, conveniente e sicuro investire nel Mezzogiorno ai grandi investitori”.
Quindi, come segnala ISTAT, la pur evidente ripresa del 2022 non recupera ancora i valori pre-Covid.
Le presenze negli esercizi ricettivi sono ancora un 10% meno del 2019, concentrate soprattutto negli hotel, mentre gli esercizi extra alberghieri hanno già recuperato il livello prepandemia. Mancano ancora molti turisti stranieri, quasi il 14% in meno del 2019, mentre Grecia (-7%) Spagna e Francia (-10%) hanno recuperato meglio di noi.
Soffrono gli hotel
Forse è proprio dalla lettura di questi dati di preconsuntivo 2022, che si spiegano le polemiche sull’ospitalità extra alberghiera.
Consideriamo i dati relativi ai primi nove mesi dell’anno e scopriamo che gli hotel hanno ancora un -7,9% di presenze italiane e -21.7% di presenze straniere, mentre gli esercizi extra alberghieri hanno -4,7% di italiani e – 0,8 di stranieri.
Questi dati risentono anche del fatto che nel frattempo sono ripresi i viaggi degli italiani verso l’estero, viaggi che, si ricorderà, si erano interrotti nell’estate 2020 e 2021.
Hotel e AirBnB, una convivenza difficile
Come un fiume carsico tornano d’attualità due temi: il ruolo del turismo nell’economia italiana e la concorrenza tra albergatori e fornitori di residenze per soggiorni brevi.
In un post di tre anni fa mi sono occupato del cosiddetto Beach Desease: la tesi che allora contestavo era che “chi vuol basare la politica economica sul turismo rischia inconsapevolmente di allontanare l’Italia dal treno delle grandi economie sviluppate”
Secondo alcuni è sbagliato investire nel turismo, cioè in “un’economia su bassi salari e bassa produttività sottraendo risorse a settori molto più moderni, produttivi, aperti al mercato internazionale”.
Invece, conclusi “è mia ferma convinzione che alcune aree dell’Italia potrebbero e dovrebbero essere destinazione turistica e contemporaneamente destinazione attrattiva per attività nei settori più qualificati, come ad esempio Brighton in Inghilterra.
Sono convinto che attività di ricerca, attività di impresa innovativa, e attività turistica possano andare d’accordo ed essere il fulcro dello sviluppo del nostro Sud.”
Il turismo può attrarre imprese innovative e ricerca al Sud
La mia idea è che sia possibile individuare zone del nostro Meridione turisticamente interessanti, su cui attrarre investimenti per il rinnovo di città via via svuotate dai residenti, trasformandole in vere città per ricercatori e turisti.
Per ragionare ancora di questo tema, e capire meglio anche il ruolo di hotel e residenze temporanee, ci viene incontro un lavoro davvero originale di Sociometrica sul tema della “Ricchezza dei comuni turistici”, una trentina di pagine fitte fitte di numeri e tabelle.
Tutta l’analisi ruota attorno ad un calcolo assai minuzioso del ruolo del turismo nell’economia locale, partendo da dati pubblici, come quello del valore aggiunto turistico di ciascun singolo comune.
Antonio Preiti in quel lavoro racconta come tra i primi 20 comuni turistici per valore aggiunto turistico quelli del Sud sono solo tre (due grandi città come Napoli e Palermo più Sorrento).
Il segreto del successo di Jesolo e Rimini
Un secondo aspetto molto interessante riguarda il ruolo di due macro aree, quella che ruota attorno a Jesolo e quella dei comuni attorno a Rimini. Entrambe queste aree valgono per valore aggiunto turistico più di Milano, Venezia o Firenze, con oltre 4 miliardi di euro di valore aggiunto ciascuna.
Nel convegno da me organizzato nel 2011 su “Urban Design e Hotel Industry” relatori di vaglia hanno a lungo dibattuto sull’importanza della attività alberghiera quale motore della città turistica. Non fu un caso se tra i relatori c’erano l’architetto Danilo Gerotto, che per molti anni aveva seguito la progettazione urbanistica di Jesolo e il compianto Massimo Pironi, allora sindaco di Riccione, cioè due città al centro delle due aree turistiche più forti del paese.
Nel suo lavoro Preiti dimostra quanto il turismo in ciascun comune contribuisca alla crescita dell’economia nazionale.
Per valutare questo impatto ha dovuto “stimare” il peso delle presenze turistiche non ufficiali (o non osservate): rimando al lavoro di Sociometrica per una descrizione esatta della metodologia adottata, mentre mi limito ad osservare che il risultato della stima sembra assai convincente.
Le presenze non osservate al Sud: cosa sono?
Così si scopre quello che solo in parte era intuitivo, e cioè che in alcune destinazioni turistiche il peso delle “presenze” non osservate è preponderante rispetto a quelle delle statistiche ufficiali.
Tra le dieci destinazioni con maggiore percentuale di presenze non osservate, incontriamo moltissime destinazioni balneari, quasi tutte localizzate al Sud: quattro sia in Sicilia che in Puglia, e una in Campania.
Se è quindi vero che il fenomeno degli affitti brevi è molto evidente nelle grandi città d’arte, è anche vero che per alcune destinazioni il numero di presenze non ufficiali stimate sono il doppio di quelle ufficiali (Siracusa ad esempio) e molte altre hanno tante presenze non ufficiali quante quelle ufficiali (tra queste le capitali del turismo meridionale Napoli, Palermo, Catania).
L’ultima parte del lavoro di Sociometrica valuta quanto i comuni turistici diano un importante impulso all’economia nel suo insieme e mostra come nei comuni con una forte vocazione turistica vi sia una maggiore percentuale di cittadini con reddito superiore a 55.000 euro.
Infine viene dimostrata una forte correlazione tra vocazione turistica del singolo comune e numero di aziende aperte (di tutti i settori).
Turismo: così può creare sviluppo economico ovunque
Tornando quindi alla competizione tra hotel e residenze per affitti brevi, i dati da me raccolti, e la ricerca di Sociometrica, portano alle seguenti conclusioni:
a) l’attività turistica crea sviluppo economico ovunque, nell’intero paese, ma soprattutto in certi piccoli comuni montani, dove l’attività turistica è essenziale per la sopravvivenza dei residenti.
b) tra le attività che producono maggiore ricchezza (che si distribuisce poi sul territorio) c’è l’attività alberghiera che notoriamente utilizza più addetti e più servizi della semplice attività di locazione breve. È l’attività che andrebbe maggiormente favorita soprattutto al Sud, dove è minore la capacità di gestione professionale dell’industria turistica.
c) Il Meridione d’Italia ha un’attività turistica molto lontana dal potenziale, spesso “non osservata”. Proprio per questo dovrebbe essere oggetto di una specifica attività di pianificazione dello sviluppo turistico, con strumenti che agevolino gli investimenti e la crescita economica.
d) ci sono due aree che sono il benchmark del successo turistico italiano: Jesolo e Rimini. In entrambe la compresenza di attività alberghiera e extra alberghiera produce benessere e redditi molto importanti, senza essere in competizione tale da bloccare la crescita economica: si pensi ad esempio al ruolo dei camping in provincia di Venezia.
e) non è casuale che i territori attorno a Rimini e a Jesolo siano stati oggetto di una intelligente pianificazione urbanistica con una visione oramai trentennale, e che la strategia adottata da Jesolo l’abbia resa vincente anche nella “gara” con Rimini
I megatrend: dove vanno gli investimenti nel turismo
Le crisi successive al 2008-2011 e ancor più quella pandemica hanno dato origine a nuovi fenomeni.
Da un lato albergatori e gestori di fondi stanno dialogando per creare anche in Italia catene alberghiere destinate soprattutto a una clientela leisure (prevalentemente balneare), mentre i grandi investitori internazionali hanno deciso di puntare sulle città, dove gli investimenti degli ultimi anni in hotel di lusso sono stati davvero rilevanti.
Dall’altro lato si stanno affermando aziende di management delle residenze di breve periodo, e altre ne stanno nascendo, che permettono una gestione “industriale” del patrimonio residenziale sempre meno utilizzato da una popolazione che diminuisce o invecchia.
Ci sono poi timide esperienze di albergatori che affiancano alla gestione degli hotel anche quella di residenze, aprendo la strada a nuove opportunità di business, orientate ad una maggiore produttività dell’azienda di gestione alberghiera.
È un quadro che finalmente evolve rapidamente, sebbene negli ultimi dieci anni, prima a causa di ministri distratti e poi di governi troppo brevi, lo stato non abbia sviluppato una strategia per il turismo e per il Sud. Il mio augurio è che questo governo finalmente inizi ad occuparsene.