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Climate change: perché l’approccio darwiniano non funziona più
Post di Sauro Mostarda, CEO di Lokky –
Che il cambiamento climatico sia una delle urgenze degli ultimi decenni non è certo mistero. Se questo fenomeno c’è sempre stato nella storia del pianeta, il surriscaldamento a cui abbiamo assistito nell’ultimo secolo è, però, anomalo. Ed è innescato dalle attività umane che generano un effetto serra antropico. Quest’ultimo si aggiunge all’effetto serra naturale e che rappresenta uno dei maggiori rischi socio-economici mondiali.
Secondo le stime del Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), nel periodo compreso tra il 2001 e il 2020, la media dei costi globali sostenuti, causati dagli eventi climatici estremi, è stata di 153,8 mld, nel solo 2021 ha raggiunto 252,1 mld. Non solo, si prevede che incrementeranno sia la frequenza sia l’intensità degli eventi estremi, con conseguenze drammatiche anche in termini di perdite economiche ed umane. Nel biennio 2020-21, in Italia ci sono stati 1.118 eventi meteorologici estremi in 602 comuni, come osserva il recente Rapporto dell’Osservatorio CittàClima 2021 di Legambiente. Questi eventi imputabili al climate change sono stati di diversa natura: temperature elevate, piogge intense, grandinate estreme, alluvioni e trombe d’aria. Nel 2021, sono morte nove persone per cause climatiche, per un totale di 261 morti in oltre 10 anni. La progressiva tropicalizzazione del clima alla nostra latitudine sta aumentando il rischio di precipitazioni violente che possono causare frane e alluvioni.
Come dicevamo, i danni provocati da eventi naturali estremi hanno un impatto enorme anche dal punto di vista economico, soprattutto se si considera che l’Italia, tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, è tra i più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici (1) e al rischio sismico e, proprio a causa del suo tessuto morfologico, il 73% del territorio nazionale è potenzialmente esposto alla minaccia di terremoti. Nonostante questo, l’Italia ha attualmente il più grande gap di protezione rispetto a questa tipologia di rischio: secondo i dati del Rapporto Sigma il suo divario di protezione per il rischio sismico è uno dei più grandi al mondo (2). Inoltre, alluvioni e frane si verificano in Italia più frequentemente di qualsiasi altro pericolo naturale, i principali fattori di rischio sono le inondazioni improvvise, le piene dei fiumi e le colate di fango.
Nel nostro Paese, però, soltanto il 5% delle abitazioni ha una copertura assicurativa contro terremoti e alluvioni, a fronte di un rischio – alto o medio-alto – che riguarda almeno il 78% degli edifici adibiti ad abitazione. Il rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicato nel febbraio 2022, ha prodotto una serie di approfondimenti su scala regionale dedicati alla quantificazione degli impatti del climate change su società ed ecosistemi, valutandone le vulnerabilità e le capacità di adattamento. Per quanto riguarda l’Europa, in particolare, sono stati individuati quattro rischi fondamentali: il calore, i danni all’agricoltura, la scarsità d’acqua e le alluvioni.
Nello scenario attuale il mercato delle assicurazioni gioca, perciò, un ruolo decisivo nell’accompagnare cittadini, professionisti e imprese nel selezionare gli strumenti più adeguati in risposta a tali rischi. È importante però che vengano utilizzati dei dati sempre più puntuali dei modelli climatici e del monitoraggio meteorologico, per far sì che possano essere effettivamente implementate soluzioni assicurative realmente efficaci.
Se si guarda al mondo delle imprese, in Italia un’azienda su tre è esposta a potenziali perdite economiche a causa di fenomeni naturali, gravi e meno gravi, generati dal climate change. A causa della scarsa cultura assicurativa che ha portato, negli anni, a una sottoassicurazione strutturale delle piccole e medie imprese italiane, l’adozione delle polizze a garanzia, contro perdite innescate da questi eventi, rimane marginale in tutta la Penisola (3).
Secondo lo studio CRIF-RED i rischi fisici causano alle aziende italiane una perdita attesa di circa l’1% di fatturato all’anno e, a causa dei cambiamenti climatici, nei prossimi 30 anni le perdite economiche attese saliranno di circa il 10%. Nel 2050, infine, il 7% delle aziende italiane sarà a rischio perdite per ondate di calore, con punte fino al 55% nel Sud.
Assume così un ruolo fondamentale il dibattito sull’impact underwriting, ovvero l’integrazione dei rischi climatici nelle politiche di sottoscrizione. L’impact underwriting mette i fattori ESG (Environmental, Social e Governance) e al loro interno i rischi climatici, al centro della costruzione dei prodotti, della valutazione dei potenziali assicurati e della determinazione dei premi; l’impact underwriting traccia così una possibile evoluzione dei modelli di business assicurativi. Per affrontare in modo adeguato la crisi climatica, infine, le compagnie e i player del mercato assicurativo non potranno più limitarsi a elaborare coperture ai rischi, ma dovranno accompagnare gli assicurati in un percorso di adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso l’offerta di soluzioni digitali dedicate e logiche innovative di prodotto e di gestione dei sinistri.
Davanti a una sfida che non può più essere rimandata, tutti gli attori coinvolti dovranno agire in modo sinergico e unire le forze per rendere tali coperture obbligatorie e discriminare un approccio darwiniano di assunzione del rischio che, in Italia, non ci possiamo più permettere, ormai, da troppo tempo.