Russia paralizzata dalle sanzioni. Ma l’obiettivo resta il negoziato

scritto da il 15 Novembre 2022

Post di Bruno Salerno, laureando in Politiche Europee e Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano –

Da tempo ormai si dibatte sull’efficacia delle sanzioni imposte dall’Unione Europea nei confronti della Russia. Un tema su cui si sono creati due fronti opposti, tra chi sostiene che le sanzioni siano un buon mezzo per mettere in difficoltà l’economia russa, così come lo dimostrano i dati, e chi invece sostiene l’inefficacia di questo strumento, sostenendo solo ed esclusivamente i contraccolpi significativi che ricevono i sanzionatori. In Italia sta accadendo lo stesso. Se si guarda all’attuale classe politica troviamo chi sostiene che “le sanzioni fanno bene a Mosca” e chi sostiene le pesanti ripercussioni di queste misure contro il Cremlino.

L’interdipendenza tra Russia ed Europa

I rapporti tra Europa e Russia sono caratterizzati da una forte interdipendenza: l’UE non può fare a meno della Russia, ma (soprattutto) la Russia non può fare a meno dell’Europa. Il Cremlino, com’è noto, dispone di una grande quantità di materie prime e questo mette l’Unione Europea e Mosca nelle condizioni di avere bisogno, in maniera differente, l’uno dell’altro. In conseguenza a questa forte dipendenza tra UE e Russia, l’imposizione delle sanzioni ha delle conseguenze in primis per chi è sanzionato, senza nascondere però che gli effetti negativi si hanno, anche se in maniera differente, persino per i sanzionatori.

Uno dei massimi studi che dimostra e analizza l’efficacia delle sanzioni, e dunque la paralisi dell’economia russa, proviene dall’Università di Yale (1). Secondo il rapporto, il Cremlino sta pagando caro non solo per via delle sanzioni che sono state imposte bensì anche per via dell’esclusione totale della Russia dal commercio internazionale. Per stare sui mercati internazionali c’è bisogno di credibilità, che il Cremlino ha ormai perso.

Le multinazionali e Mosca

È proprio per questo motivo che tante grandi multinazionali hanno deciso di mettere nella cartina geografica una “X” su Mosca. In seguito alle sanzioni, l’Università di Yale evidenzia un crollo significativo nel primo trimestre 2022 in termini di valore aggiunto all’interno di tutti i settori russi. Sulla base dei dati Rosstat il Russian gross domestic value added in Q1 2022 è drasticamente sceso nel delle costruzioni con un -62%, nel settore dell’agricoltura con un -55% e nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche dove si registra un -36%.

Russia

(1) La progressiva paralisi dell’economia russa (fonte: Yale University)

Le sanzioni hanno inoltre messo a dura prova anche l’inflazione che ha raggiunto i livelli più alti mai avuti dalla crisi finanziaria degli anni 90. L’inflazione è passata nel giugno del 2022 al 20% con picchi che hanno raggiunto anche il 40% ed il 60% nei settori della tecnologia, degli elettrodomestici, delle automobili e dell’ospitalità, ovvero in quei settori più dipendenti dalla catena di approvvigionamento internazionale.

Russia

(2, Ibidem)

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(3, Ibidem)

La dipendenza tra i due Paesi, però, com’è noto, sta tutta nel gas: l’83% del gas esportato dalla Russia veniva acquistato dall’Unione Europea, una quota che rappresenta più del 40% dell’import di gas dell’UE. Questo porta l’UE ad essere considerata dal Cremlino uno dei più importanti “clienti” perché compra ingenti metri cubi di gas, e la Russia ad essere considerata dall’UE fondamentale in quanto dispone nel proprio territorio una gran quantità di materie prime che gli SM importano.

Il dilemma di Mosca: tra Bruxelles e Pechino

È questo il motivo per cui da un lato l’Europa è fortemente esposta alla minaccia russa e dall’altro lato Mosca è paralizzata dalle scelte prese dall’UE perché non sa in che modo sostituire i nostri mercati. Infatti, se il piano di Ursula Von der Leyen è quello di ridurre a zero l’import di metano dalla Russia, la strategia di Putin è quella di sostituire i mercati europei con i mercati asiatici.

Una strategia però difficile per diversi motivi. In primo luogo perché non c’è una rete infrastrutturale adeguata per poter trasportare il gas verso la Cina (Power of Siberia 2, che avrà capacità di export di 50 miliardi di mc annui verso la Cina, non sarà pronto prima del 2030). In secondo luogo, la Russia nel 2021 ha esportato verso la Cina soltanto 16,5 miliardi di metri cubi di gas a fronte dei 155 miliardi dell’Unione Europea (4). Infine, perché bisogna tenere in considerazione che Putin, osservato il piano europeo, potrà vendere il gas a Xi Jinping con un deprezzamento notevole.

La narrazione di Putin

Al netto delle dichiarazioni di Putin che descrivono una grande Russia capace di far fronte con tranquillità a qualsiasi conseguenza proveniente dalla guerra e, in particolar modo, dalle sanzioni, i dati, gran parte provenienti da Istituti russi, ci descrivono un’economia paralizzata.

Bloomberg lo scorso 5 settembre ha pubblicato un documento riservato del Cremlino in cui si evidenzia un quadro critico per molti dei settori di produzione russi: nel settore dei trasporti, ad esempio, le sanzioni Ue hanno triplicato i costi per le spedizioni su gomma; nel settore dei macchinari la produzione locale non riesce a coprire la domanda interna; lo stesso accade per i prodotti farmaceutici, visto che l’80% della produzione è basato su materie prime che vengono importate.

Sono passati (quasi) 9 mesi da quel 24 febbraio 2022. E la speranza è che si possa finalmente arrivare ad un negoziato di pace per porre finalmente fine a questa brutta pagina della nostra storia.

NOTA

(4) Importazioni di gas naturale per Paese, fonte Eurostat

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