categoria: Distruzione creativa
Editoria e creators da TikTok a Substack: opportunità o minaccia?
Post di Marie Sophie Von Bibra, Chief Marketing Officer di Readly –
I media evolvono rapidamente, e questo è in particolar modo vero per i social media. Il recente periodo di campagna elettorale pre-elezioni ha reso – casomai ce ne fosse bisogno – ancora più evidente il ruolo sempre più definito degli influencer e della nuova economia dei creators.
L’attenzione sul tema è stata posta anche dal Governo italiano, che nei mesi scorsi ha di fatto riconosciuto una nuova categoria di lavoratori del settore digital & tech italiano, inserendo l’emendamento “Content Creators” nel ddl Concorrenza. Ed è di questi giorni la nascita di Assoinfluencer, la prima associazione italiana di categoria per i professionisti dei social networks, che figura ora ufficialmente tra le associazioni professionali riconosciute dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Si pongono nuove questioni nel mondo assai variegato dell’editoria. I contenuti prodotti dai creators vengono di fatto letteralmente “divorati” anche dal pubblico tradizionale. Ma si tratta di un’opportunità o di una minaccia per il mondo dell’editoria?
I bisogni dei consumatori e l’economia dei creators
Che si tratti di un hobby, di un interesse o di uno stile di vita, abbiamo tutti una passione e cerchiamo – con diverso entusiasmo – di trovare ispirazione da chi condivide i nostri stessi interessi. Il potere dei creators risiede certamente nella loro visibilità e nella possibilità di accedere ai loro contenuti – e alla loro personalità – da parte dei follower. Questo accade con una facilità, una rapidità e un impatto che nessun inserzionista tradizionale potrebbe mai raggiungere oggi.
Per esempio, l’enorme successo degli “skinfluencers” di TikTok – le superstar della cura della pelle – è particolarmente eloquente. Hyram Yarbro, la personalità di @SkincarebyHyram accreditato come il catalizzatore del marchio di farmacie CeraVe, è stato soprannominato il “sussurratore della Gen Z”, un target che – insieme ai Millennials – è notoriamente difficile da catturare.
Gli editori e le sfide dei creators
Fino a un paio di decenni fa, nel periodo di massimo splendore dei media, i contenuti degli editori influenzavano letteralmente il pubblico in merito, per esempio, ai locali più “in” dove mangiare, a quali capi indossare, a dove andare in vacanza e così via: era una sorta di esercizio unidirezionale con poco o nessun feedback da parte dei lettori. A differenza dei creators, generalmente gli editori sono oggi meno abituati al confronto diretto con il pubblico, che ha oltretutto standard molto elevati, spesso perfino severi.
Quello dei creators è indubbiamente un settore in continua crescita, in cui si prospetta un giro d’affari pari a 16,4 miliardi di dollari nel 2022; nel 2021 erano 19 mila le aziende attive in questo specifico settore a livello globale, per oltre 50 milioni di “influencers” in tutto il mondo, che utilizzano meccanismi sofisticati per costruire eserciti di fedelissimi follower.
Gli editori potrebbero sfruttare le stesse tattiche per coinvolgere e fidelizzare allo stesso modo il loro pubblico?
In che modo gli editori possono utilizzare l’economia dei creators per raggiungere nuovi segmenti di pubblico
Le case editrici hanno oggi la necessità di sviluppare strategie per attrarre e coinvolgere nuovi lettori. Il “playbook” dell’influencer può essere la chiave di volta. A ben vedere, esiste già una forte sovrapposizione tra la tipologia di contenuti prodotti da molte riviste e dai creators: forte impatto visivo e pubblico ben definito, con interessi di nicchia. In un punto cruciale differiscono: nella capacità di coinvolgimento.
Secondo l’esperienza di Readly, che lavora quotidianamente con i contenuti delle case editrici di tutto il mondo, ci sono tuttavia almeno tre modalità in cui gli editori possono avvalersi dell’abilità dei “creators” a vantaggio del loro settore.
1. Cercare la collaborazione
I marchi editoriali – le testate – stanno subendo in generale una perdita di autorevolezza; tuttavia, se c’è un valore che viene loro riconosciuto dal mercato, è proprio il brand. Pensiamo a testate come Vogue o Vanity Fair, per esempio: il potere del marchio è fortissimo, e questo dovrebbe essere sfruttato come un’arma potente dagli editori per ottenere l’accesso a nuove fasce di pubblico. Allo stesso tempo, in uno scenario che si rivelerebbe vantaggioso per tutti, utilizzando questi brand gli influencer a loro volta potrebbero avrebbero a disposizione uno strumento prestigioso per espandere il proprio profilo ed acquisire nuova visibilità.
Il successo di Rolling Stone
La rivista Rolling Stone – che ha compiuto 55 anni – utilizza questa strategia con grande successo: il 2021 è stato dichiaratamente l’anno più redditizio degli ultimi due decenni grazie a un rinnovato investimento in eventi dal vivo e una nuova attenzione editoriale ai creators. Copertine delle riviste come quella con il profilo della star di YouTube MrBeast di Rolling Stone sono solo l’inizio del pesante investimento editoriale nei confronti degli influencers, che include l’esposizione mediatica degli stessi, coinvolgendoli allo stesso tempo come autori.
Quando si lavora con i creators è però necessario avere alle spalle un marchio editoriale solido e verificare a fondo tutti i potenziali candidati. Gli editori dovrebbero mirare a lavorare con influencers affermati, con obiettivi chiari e regole di ingaggio per ridurre al minimo il rischio di polemiche dannose per i propri brand. E si tratta di relazioni che vanno coltivate e curate senza soluzione di continuità, perché questo mondo è in rapida evoluzione. Sono esemplificativi i casi degli YouTuber David Dobrik, Jeffree Star e PewDiePie, vere e proprie personalità del web, la cui reputazione è velocemente scaduta a seguito di scandali mediatici, per fare solo alcuni esempi.
2. Copiare la strategia multipiattaforma degli influencer
I canali social sono diventati sempre più necessari per gli editori, che possono così mirare al raggiungimento di nuovo pubblico.
I migliori creators hanno conquistato più piattaforme e spesso hanno anche una presenza sul web completamente indipendente. L’arte dell’omnicanalità è necessaria per ridurre al minimo il “rischio piattaforma”, che lascia i marchi vulnerabili alla rimozione di funzionalità o di cambiamenti nell’algoritmo che potrebbero danneggiarli. Infine, una strategia multipiattaforma tutela gli editori dall’improvviso, possibile, declino di una singola piattaforma.
Editori e piattaforme da non trascurare
La maggior parte degli editori probabilmente ha già una presenza sui social media, ma oltre ai profili previsti su Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn, non vanno oggi trascurate piattaforme quali TikTok, Patreon, Substack, per esempio. Ci sono sempre nuove opportunità, nuove tecniche e nuove intuizioni da raccogliere in merito a ciò che il pubblico sta pensando e a come può – e vuole – farsi coinvolgere.
Uno sviluppo apparentemente inaspettato, tuttavia tipico dello spazio dei media digitali, è l’evoluzione di Substack da strumento tecnologico a piattaforma di newsletter in cui autori e creators affermati costituiscono comunità vivaci. Alcuni esempi eclatanti sono la popolarissima newsletter statunitense Culture Study della giornalista Anne Helen Petersen, che vanta decine di migliaia di fedelissimi lettori, e la pubblicazione “Letters from American” della professoressa di storia del Boston College, Heather Cox Richardson.
3. Promuovere il talento creativo in “stile influencer”
Oltre a coinvolgere creators esterni, gli editori dovrebbero anche cercare di ampliare il loro mercato trasformando lo staff editoriale in veri e propri influencer, grazie anche alla propria presenza online. Sembrerà un passo logico, ma l’accordo deve essere reciprocamente vantaggioso, per il brand editoriale e per chi scrive – e, potremmo dire, “ci mette la faccia” – con regole di base chiare: il giornalista fa affidamento sul marchio editoriale, ma è allo stesso tempo rappresentativo dello stesso, con tutti i possibili rischi che ne derivano. Gestiti bene, editori, redattori e i creators godranno di una spinta ai propri profili, proprio come la beauty influencer Nadine Baggott, originariamente una Beauty Editor di HELLO! Magazine, ora content creator con un seguito di oltre 171 mila follower.
TikTok al Washington Post
Allo stesso modo, il giornalista del Washington Post Dave Jorgenson ha ampliato la presenza TikTok del quotidiano con grande efficacia. Dal 2019, i video umoristici della testata non solo hanno convogliato il traffico verso il flusso di notizie, ma hanno di fatto trasformato lo stesso Jorgenson in una celebrità da centinaia di migliaia di follower. L’account TikTok del Washington Post vanta ora 1,4 milioni di follower.
Come mai prima d’ora, l’emergere dell’economia dei creators ha innescato il potenziale degli editori verso una migliore comprensione un maggiore coinvolgimento del pubblico.
Quali soluzioni
Invece di tormentarsi per il declino dei vecchi modelli editoriali, le case editrici dovrebbero puntare ad emulare le strategie degli influencer per connettersi sempre più con i loro attuali e nuovi lettori, in particolare la Gen Z. La buona notizia è che gli editori possiedono ancora “gravitas” e sono capaci di essere influenti: rimanere rilevanti è solo una questione di incontrare i lettori sul loro territorio.