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Italia, import/export tra guerra e inflazione: le previsioni per il 2023
Post di Marta Bonati, Country Manager Italia di Ebury –
I flussi del commercio internazionale hanno superato i livelli pre-Covid. Secondo i dati del XIX Rapporto: Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori realizzato dall’Agenzia ICE, in collaborazione con Prometeia, entro la fine del 2022 la crescita del commercio mondiale a prezzi costanti è prevista al 2,1%. Tuttavia, questo dato è inferiore al 5,6% previsto nello scenario antecedente il conflitto russo-ucraino, la guerra ha infatti posto una nuova sfida, sia in termini di equilibri geopolitici, sia per l’economia globale.
In Italia, le recenti sanzioni economiche attivate nei confronti di Mosca e le conseguenti reazioni del Cremlino stanno infatti colpendo duramente svariati settori economici del Paese; attualmente, l’interscambio commerciale tra Italia e Russia vale più di 20 miliardi di euro l’anno, ma potrebbe subire un’importante contrazione, a causa dell’aggravarsi del conflitto.
Tra i settori economici più a rischio di flessione troviamo quelli dell’energia: quasi la metà delle fonti energetiche fossili che utilizziamo – tra gas, petrolio e carbone – proviene dalla Russia, l’Italia riscontrerebbe, quindi, grosse difficoltà a sostituire in tempi brevi il gas naturale russo se si decidesse di istituire un blocco totale.
Dalla Russia, l’Italia non importa solo fonti di energia, ma, seppure in misura minore, anche altre tipologie di merci, tra cui: prodotti metallurgici, chimici, derivanti dalla lavorazione del petrolio, in carta e in legno, alimentari e dell’agricoltura. In particolare, il grano, di cui la Russia è il primo produttore al mondo, ma anche mais e soia, che sono i principali mangimi per gli allevamenti italiani.
Per quanto riguarda le esportazioni italiane in Russia, queste includono macchinari e apparecchiature meccaniche, abbigliamento, prodotti farmaceutici, apparecchiature elettriche e per uso domestico. E ancora: articoli in pelle, arredi, autoveicoli e prodotti agroalimentari, in particolare il vino e la pasta. Ad oggi, possiamo contare ben 11 mila imprese nostrane in affari con Mosca. I dati del Ministero degli Affari Esteri Italiano dimostrano che i rapporti commerciali tra Mosca e Roma sono notevolmente sbilanciati a favore del paese russo: nei primi 11 mesi del 2021 l’Italia ha esportato nell’ex paese degli zar un quantitativo di merci del valore di 7 miliardi di euro e ha importato per un totale di 12,5 miliardi di euro. Ad aprile 2022, secondo i dati dell’Istat, l’ export verso la Russia è dimezzato, mentre l’import è raddoppiato rispetto allo stesso mese dell’anno scorso; il disavanzo commerciale è diventato di 2,5 miliardi di euro.
Un altro settore importante dell’economia italiana, che già era stato messo a dura prova a causa del Covid e che il conflitto ha ulteriormente penalizzato è il turismo. Fiavet-Confcommercio ha infatti recentemente comunicato che la guerra russo-ucraina provocherà ingenti perdite al comparto turistico italiano, il cui fatturato è già sceso dell’80% negli ultimi due anni a causa del Covid. Nonostante gli operatori del settore fossero fiduciosi che il mercato potesse riprendersi a seguito dell’emergenza sanitaria, la crisi geopolitica in corso rischia di frenare la ripresa.
Un altro elemento che influisce in modo significativo sulla solidità delle imprese italiane è l’aumento dell’inflazione derivante dal rincaro dei prezzi delle materie prime e soprattutto delle risorse energetiche. Il quadro che emerge da un recente studio dell’Istat ha fornito il dato stimato preliminare del mese di luglio: nel mese, i prezzi sono aumentati dello 0,4% su giugno, e del 7,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La leggera diminuzione dei prezzi dei beni energetici che si è registrata a luglio non ha frenato l’onda lunga dell’aumento dei prezzi che si stanno diffondendo agli altri comparti merceologici; ad esempio, il “carrello della spesa” è cresciuto del +9,1% anno su anno, un aumento che non si vedeva dal settembre 1984.
.A livello globale, bisogna sottolineare che le imprese esportatrici italiane hanno reagito prontamente a questa situazione facendo comunque registrare per l’Italia tassi di crescita dell’export più sostenuti di quelli di altre grandi economie. Se a fine 2021 l’ export italiano aveva registrato un tasso di crescita pari a + 7,5% rispetto ai livelli pre-Covid (+18,2% vs 2020), nel 1° semestre 2022 si è registrata una crescita tendenziale pari al +22,4% rispetto allo stesso periodo del 2021.
Tra i settori che trainano l’export, troviamo i prodotti alimentari e bevande, i prodotti del settore dei metalli, i prodotti chimici e gli apparecchi elettrici; ed è verso la Turchia che le esportazioni italiane hanno registrato la maggior crescita (38,5% vs 2021), seguita da Belgio (+32,7%), Stati Uniti (+31,3%), Spagna (29,1%), Austria (+24,8%), Romania e Paesi Bassi (+23%), Regno Unito (+20,8%) e Francia (+20%).
Quali sono allora le prospettive per il 2023 per l’economia italiana?
Anche per il prossimo anno, il quadro di previsione rimane orientato alla prudenza, con grandi sfide da affrontare in termini di transizione energetica, digitale e innovazione sostenibile. Si stima un tasso di crescita degli scambi a prezzi costanti al 4% a livello globale, con però ancora la penalizzazione delle aree e dei settori strutturalmente più esposti verso l’economia russa. Ci si aspetta invece un aumento delle importazioni provenienti dagli Stati Uniti e dalla Cina.
Con un tasso di crescita reale del commercio internazionale che resta comunque positivo, per l’ export italiano il 2023 si delinea come un anno di sviluppo sui mercati esteri e al contempo un’opportunità per ridefinire le strategie di internazionalizzazione, riorientare parte dei flussi, diversificare i mercati di sbocco e innovare l’offerta..
Secondo le rilevazioni dell’Ufficio Studi di PwC, l’ export italiano toccherà i 532 miliardi di euro entro il 2023, con una crescita del 24% rispetto al 2020. “Ad incidere positivamente saranno anche i 6,8 miliardi di risorse stanziate dal PNRR ed i fondi complementari a sostegno diretto dell’agroalimentare italiano, che oggi rappresenta oltre 500 mila addetti.” Questa si inserisce sicuramente come nota positiva all’interno del complesso scenario attuale, dove, si prevede che il trend della crescita dell’inflazione mondiale ci farà compagnia, almeno per tutto il biennio di previsione a venire.