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Riforma tributaria in arrivo: sicuri che la strada scelta sia quella giusta?
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
Lo scorso 17 maggio, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge per la riforma della giustizia tributaria, condizione fondamentale per l’utilizzazione delle tanto agognate risorse del PNRR.
Di riforma tributaria si parla ormai da tantissimo senza tuttavia mai giungere a risultati concreti.
Sperando che sia la volta buona, i punti cardine della riforma, definiti nel richiamato disegno di legge, meritano più di qualche riflessione.
Tema principale, la professionalizzazione dei magistrati tributari, i quali verranno reclutati a tempo pieno mediante un apposito concorso con prove scritte e orali. L’organico sarà fortemente rimodulato, con riduzione sensibile dei numeri: 450 magistrati in primo grado e 126 in secondo grado. Durante il passaggio, continueranno ad operare i giudici tributari presenti nelle Commissioni, che rimarranno in servizio fino al compimento dei 70 anni di età, nuovo limite di pensionamento allineato alle altre magistrature.
L’obiettivo dichiarato è quello di creare una categoria “ad hoc”, preparata sulla materia, in grado di rendere decisioni qualitativamente più apprezzabili, in tempi accettabili per la durata di un processo tributario, in linea con gli altri paesi. Ciò perché l’incertezza in questo ambito ha un effetto di scoramento anche sugli investimenti esteri.
A mio modo di vedere, tuttavia, la strada scelta non coglie nel segno. La “professionalizzazione” non si ottiene andando a ricercare le figure all’interno di una specifica categoria (ovvero “pescare” dalla magistratura ordinaria), ma semmai mediante l’istituzione di corsi di formazione e aggiornamento (obbligatori), l’obbligo di organizzazione e/o partecipazione a convegni, tavoli tecnici, eventi formativi che coinvolgano anche le altre categorie, professionisti, studenti, personale di segreteria e funzionari. Criteri di qualificazione, poi, che potrebbero e dovrebbero essere tenuti in debita considerazione anche nei concorsi per diventare giudice tributario, i cui parametri invece appaiono sempre sproporzionati nel favorire la provenienza del candidato da una specifica categoria, piuttosto che le competenze, le conoscenze e le capacità specifiche legate alla materia.
A tal proposito, infatti, vorrei sottolineare che l’aspetto della “professionalizzazione” non si risolve eliminando le figure laiche e rendendo la giustizia tributaria un’esclusiva dei magistrati ordinari.
È un’ingenuità pensare che il magistrato ordinario sia, di per sé e in automatico, già preparato o comunque più preparato rispetto ad una figura laica. Si tratta, infatti, di una materia molto specifica, e non a caso il sistema è stato concepito in origine (sin dalla carta costituzionale) come un apparato diverso e a se stante. È del tutto fuorviante pensare che un magistrato ordinario, solo perché tale, sia già preparato a dirimere scientemente la materia tributaria: professionalizzazione, insomma, non vuol dire eliminare le figure laiche. Tanto il laico, quanto il magistrato ordinario, necessità di preparazione specifica, esperienza nella materia, aggiornamento. Del resto, ogni professione prevede il possesso di titoli abilitativi e, soprattutto, l’obbligo di aggiornamento continuo, attraverso l’ottenimento di quelli che nelle professioni si chiamano “crediti formativi”, che si accumulano partecipando ad eventi o corsi, per l’appunto, “professionalizzanti”. Mi chiedo perché non debba essere così anche per i giudici tributari. E, soprattutto, una tale misura potrebbe essere implementata nell’immediato e produrre i suoi effetti in tempi brevi. A differenza, invece, dell’ambizioso programma di creazione di una categoria ad hoc, che richiede tempi lunghi (tant’è che è previsto un periodo di transizione).
Altro tema legato alla riforma, questa volta più di contenuto “quantitativo”, la durata dei processi tributari, con l’obiettivo di ridurne i tempi. A parte che l’obiettivo dichiarato già sembra cozzare con l’idea di ridurre il numero dei giudici (meno giudici, ancorché più “professionali” difficilmente riusciranno a smaltire i carichi in un tempo minore); inoltre, parimenti insensato, sotto questo profilo, l’anticipo del pensionamento a 70 anni (rispetto agli attuali 75) con dispersione di preziose risorse tutta in una volta, non in linea con i tempi richiesti dal cambiamento per un’adeguata sostituzione. Avrebbe più senso, semmai, mantenere in carica gli attuali giudici, ancorché abbiano superato i 70 anni, per poi applicare il nuovo limite alla “nuova” categoria.
Ma poi, quello dei tempi dei processi è a mio avviso anche un falso problema, specie se si fa il paragone con altre realtà giudiziarie che connotano il nostro paese. E i dati che emergono ogni anno dalla “Relazione annuale sullo stato del contenzioso tributario” predisposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze lo confermano in maniera inequivocabile. Non sono certo i numeri, dunque, ad essere preoccupanti, essendo gli stessi in linea con le aspettative di durata media di un processo (circa 3 anni per esaurire sia il primo che il secondo grado), con l’unica eccezione forse costituita dai tempi del giudizio di Cassazione, unica leva su cui sarebbe il caso di intervenire in questi termini. Quale altra giurisdizione, in Italia, ha tempi più brevi di quella tributaria? La durata, nell’ambito del processo tributario, è un falso problema.
Ecco, non aver contezza dei problemi reali, non mi sembra il miglior presupposto da cui partire per disegnare una riforma efficace.