categoria: Sistema solare
La guerra del gas, capitolo Ucraina: 200 miliardi basteranno?
Il gas è vita… Se siete un’azienda di piastrelle emiliana che vuole continuare a sfornare opere d’arte, se siete un vetraio di Murano, se siete un ristorante che vuole cucinare per i suoi clienti, se siete una azienda che vuole produrre elettricità in compliance con il nuovo accordo europeo sul clima. Il gas è il nuovo petrolio. Per il petrolio si son combattute guerre, alcune famose altre ignorate. Se il gas è il nuovo petrolio (senza se e senza ma) anch’esso esige la sua libbra di carne e sangue. Il gas è vita, e la guerra del gas si/ci consuma ormai da oltre un decennio: Siria, Libia, le shales americane, il Qatar, l’Iraq, l’Iran, la Russia, il Turkmenistan etc… Per discutere dell’intera guerra servirebbe un libro. Concentriamoci sul singolo capitolo ucraino che, ormai, ci consuma da un anno. Partiamo dall’ultima velina del giorno e torniamo indietro nella storia di questo capitolo.
Zelensky ci toglie il gas?
L’11 maggio 2022 alle 7 ora ucraina la GTSOU (l’ente ucraino di proprietà statale che gestisce la rete di condutture del gas, compressori etc..) ha comunicato di aver bloccato una delle due principali stazioni che permettono al gas russo di entrare in Ucraina, e di qui, arrivare in Europa.
La stazione di Sokhranivka trasporta poco più del 30% del gas russo diretto in Europa. Il motivo indicato per lo stop è “cause di forza maggiore”: tali cause, secondo il GTSOU, sono la presenza di militari russi nel territorio dove è sita la stazione. La GTSOU ha dichiarato che la quota del 30% sarà trasferita, in termini di transito, alla stazione più importante, quella di Sudzha. L’area di Sudzha (vicino al confine russo) è presidiata da militari ucraini. Di qui passa il 70% del gas russo verso l’Europa.
Secondo Gazprom, per motivi tecnici, la stazione non potrà gestire questo volume di gas aggiuntivo. Inoltre Gazprom ha dichiarato che non vede “ragioni di forza maggiore”, per cui l’impianto di Sokhranivka sia in condizioni di non poter operare, e che le forniture di gas, che Gazprom ha concordato contrattualmente con l’Europa, sono stabili in termini di quantità.
Sta di fatto che il 30% del gas russo verso l’Europa, se questo blocco dovesse permanere, rischia di non arrivare più e questo è un ulteriore danno all’economia europea.
Gas cattivo e gas buono?
Fortunatamente esiste la possibilità di usare del gas buono, cioè ottenuto da nazioni che rispettano i diritti umani, che usano metodi di estrazione puliti e vendono il gas a prezzi competitivi. Il nostro presidente del Consiglio ha ricevuto assicurazioni dal presidente Biden, il 10 maggio, che gli Usa ci invieranno gas liquefatto per compensare le potenziali perdite di gas russo. Sul gas liquefatto (di seguito LNG) americano si ricordi che è estratto con il metodo del fracking (sistema piuttosto inquinante). Ricordiamoci inoltre che il LNG non ci viene regalato ma venduto. Se vogliamo renderci indipendenti dal gas naturale russo, la soluzione del LNG richiederà differenti cambiamenti. Primo tra tutti costosi impianti di rigassificazione. Secondariamente fornitori stabili, affidabili e accettabili secondo gli standard europei del “politicamente corretto”. Le due nazioni che son pronte ad aiutarci in questo doloroso passaggio verso il gas buono sono Usa e Qatar (alleato degli Usa). Il LNG qatarino tuttavia non sembra essere così conveniente. Parlando di prezzi di gas LNG i tedeschi nicchiano all’idea di legarsi per 20 anni ai prezzi del LNG del Qatar.
Il LNG in generale (qatarino e americano) tende ad essere più costoso rispetto al gas naturale. Tuttavia se per ragioni di forza maggiore (o per speculazione finanziaria selvaggia) il costo del gas naturale tendesse a salire… per grandi clienti europei il prezzo del LNG e i costi accessori non sarebbero più visti come un ostacolo all’acquisto.
Guerra del gas: speculazioni e politica
Per quanto abbia già parlato, in passato, del capitolo ucraino della guerra del gas, non ho mai toccato il tema coincidenze temporali e partecipazione, speculativa si intende, della finanza occidentale. Facciamo una veloce cronistoria. Nell’inizio del 2021 con il Covid in decrescita e la ripresa dei consumi il prezzo del gas ha cominciato a crescere, ma moderatamente (vedi grafico sotto). Dobbiamo aspettare il 23-24 marzo 2021 per vedere un trend rialzista senza precedenti negli ultimi decenni. In marzo Zelensky pubblica il famoso decreto 117 per la riannessione “con mezzi militari” della Crimea, territorio russo.
(Dati 11 maggio)
Bene inteso nemmeno io ritengo che il prezzo del gas abbia cominciato a salire solo per colpa di Zelensky ma sembra che la finanza speculativa adori l’Ucraina e Zelensky. Se vogliamo avere un termine di paragone osserviamo la precedente crisi/ripresa del 2008-2011. Una volta terminata, pur con l’onda speculativa sulle materie prime che impazzava, notiamo che il prezzo del gas non fece cose esagerate, specialmente rispetto al 2021 (vedi foto).
Per avere un ulteriore esempio di come l’agire ucraino sul gas sia fortemente amplificato dai mercati, che fiutano in anticipo (un gran fiuto si deve ammetterlo), le mosse di Zelensky, facciamo un altro paragone.
A febbraio 2022 l’Unione europea decide di includere nelle soluzioni energetiche di “transizione” verso un futuro sostenibile il gas naturale. A febbraio 2022 il prezzo del gas è già posizionato sui nuovi livelli (l’ascesa iniziata, come detto poco sopra, a marzo 2021), ma nei giorni successivi i mercati finanziari non sembrano prender la decisione della UE in modo serio.
Se consideriamo che la domanda di gas (europea) nei successivi anni andrà ad aumentare anno su anno, i mercati avrebbero dovuto festeggiare con una bella ascesa, invece nulla di che. Dobbiamo aspettare che le tensioni Ucraina-Russia esplodano alcuni giorni dopo, per avere dei nuovi picchi del prezzo del gas naturale.
Ora veniamo alla velina della giornata e il suo effetto sui mercati. L’11 maggio il gestore ucraino decide di chiudere la stazione per “cause di forza maggiore”. È ipotizzabile che questa decisione sia stata discussa prima (magari il 9 o il 10 maggio) con i vertici del governo ucraino? Parliamo di una decisione importante, non è da escludere che prima di venir messa in atto, sia stata dibattuta, ai più alti vertici del governo ucraino. Il 10 maggio i mercati finanziari fiutano (in anticipo dato che la chiusura è stata dichiarata l’11 maggio) il sangue e il gas torna a salire. Il gas “ucraino” come arma di ricatto?
Ad oggi si parla continuamente del ricatto del gas russo. La teoria che supporta questo concetto si riferisce al fatto che Putin potrebbe usare il gas come arma di ricatto (magari chiudendoci i rubinetti). Putin, per dare una spinta al valore del rublo crollato con la crisi ucraina, ha chiesto un sistema di doppi pagamenti verso fine marzo 2022. Nulla che violi gli accordi preesistenti con i partner europei. Semplicemente il partner europeo pagherà in euro e la banca russa convertirà quanto pagato in rubli. Con questi rubli pagherà il gas russo. (fonte times of india)
Una mossa che ha fatto tornare il valore del rublo ai prezzi pre guerra, e, tuttavia, un’azione ben distante dal palesato “ricatto del gas” che molti temevano.
La recente scelta del GTSOU di chiudere il gas è ascrivibile in una logica di “gioco del gas” che Zelensky potrebbe usare per avere ulteriori aiuti militari o finanziari dall’Europa (attuali o nel futuro post bellico)? In merito Zelensky non ha dichiarato nulla. Ad oggi il presidente ucraino ha valorizzato mediaticamente ogni evento accaduto in Ucraina, ma di questo aspetto sinora non ha detto molto di rilevante (in data 11 maggio).
Tutti ricordiamo quanti milioni di dollari i lobbisti e gli oligarchi ucraini han speso per convincere i politici americani della “bontà” del gas russo (se passa per i gasdotti ucraini) e del pericolo del gas russo “diretto” in arrivo in Germania by-passando l’Ucraina.
È ipotizzabile che Zelensky possa avere interesse a sottolineare, gentilmente e solo per causa di “forza maggiore”, come le sue condutture siano vitali per l’Europa per l’approvvigionamento di gas? Soprattutto considerando che il Nord Stream 2 non diventerà operativo, sospeso per decisione della Germania (fortemente supportata dai politici americani che dialogavano con i lobbysti ucraini). A questa domanda non so rispondere.
Tuttavia mentre la GTSOU il 10-11 maggio decideva di chiudere la stazione di Sokhranivka, la Commissione europea meditava di offrire 15 miliardi di prestiti alla Ucraina (come riporta il 9 maggio il media Politico). Ovviamente sarebbe quanto mai azzardato pensare che l’azione del GTSOU (di proprietà dello stato ucraino) abbia in qualche modo una correlazione con le decisioni della Commissione europea. A confermare che una correlazione non potrebbe mai esistere, ricordiamoci che già alla conferenza di Varsavia dei primi di maggio, sono stati promessi oltre 6 miliardi di dollari di aiuti.
Chi paga la guerra del gas?
Se è vero che non riesco a vedere correlazioni tra gli elementi indicati sopra, sono sicuro di una cosa: qualcuno dovrà pagare il conto.
Miliardi di dollari ed euro di aiuti, finanziamenti post bellici, donazioni di armi (sia americane che europee), prezzi del gas naturale alle stelle. Con tutti questi miliardi che si muovono il comune Mario Rossi della strada, potrebbe lecitamente domandarsi chi paga.
La domanda è ovviamente accademica: pagano i cittadini e le aziende americane ed europee, tramite le loro tasse.
Tra aiuti umanitari e armamenti (oltre 2/3 del totale sborsato) gli Usa han stanziato (o stanno stanziando) oltre 50 miliardi, e la cifra potrebbe salire ancora. A marzo erano già oltre 13 miliardi di dollari. Già prima che scoppiasse il conflitto a febbraio, gli Usa avevano inviato armamenti e addestratori per un valore totale di 4,5 miliardi. Il nuovo pacchetto di aiuti chiesto da Biden (33 miliardi circa) sommato a tutte le spese precedenti (e magari qualche fondo nero di cui nessuno saprà mai nulla) supera di poco i 50 miliardi di dollari.
Giusto per mettere i numeri in una logica di spesa militare: il totale del budget militare russo dell’ultimo anno per l’intero esercito (non per la guerra in Ucraina) è di 65 miliardi di dollari. Ovviamente c’è da sperare che queste armi, americane ed europee, non finiscano nelle mani sbagliate, come già accaduto in passato in medio oriente.
In pratica gli aiuti in armi dei soli Stati Uniti, grazie alle tasse dei contribuenti americani, rischiano di superare il budget annuale dell’intero esercito russo, facendo, nel contempo, la felicità dei produttori di armi americani che hanno scoperto una nuova miniera d’oro, dopo Afghanistan e Iraq.
Queste sono solo le cifre americane. Noi europei stiamo donando, in aiuti militari e finanziari, cifre un poco inferiori.
Come detto, chi pagherà queste forniture di armi? I produttori di armi han già detto che sono al massimo della produzione e richiedono ulteriori fondi al Pentagono per compensare le quote di armamenti che gli Usa han donato all’Ucraina. Il rischio che i produttori di armi americane palesano è che i magazzini di armi disponibili per l’esercito americano, per fini di difesa, possano ridursi fino a limitare la capacità operativa delle armate americane.
Per fare due conti a fine aprile si stima che fossero oltre 28 i miliardi di dollari promessi o già arrivati in Ucraina. Se a questi sommiamo le recenti promesse di prestiti o donazioni europee di cui sopra (15 + 6) arriviamo a 49 miliardi. Con le ultime richieste di Biden al Congresso (33 miliardi ma potrebbero esserne stanziati di più) arriviamo a 78 miliardi. Una cifra stupefacente per così pochi mesi. Del resto già ad aprile Zelensky dichiarava che, solo in aiuti umanitari, l’Ucraina necessitava di 7 miliardi di dollari al mese. Malgrado tutti questi aiuti la possibilità che l’Ucraina entri velocemente nella UE, secondo Macron, è scarsa. Il presidente francese ritiene che ci vorranno decenni prima che l’Ucraina entri nella UE.
Ad un certo punto, spero, le ostilità termineranno. Nel peggiore dei casi il conflitto descalerà riducendosi al livello di intensità avuto tra il 2014 e il febbraio 2022 (dove erano morti 14.000 ucraini indipendentisti). Le sanzioni contro la Russia, tuttavia, potrebbero restare tali per anni. Sanzioni che non sembrano aver danneggiato seriamente l’economia russa, come riporta l’inglese the Economist.
Sanzioni tuttavia che rischiano di costare alle industrie e alla società civile europea miliardi (Italia e Germania in prima fila).
Miliardi in bollette del gas a prezzi mai visti prima (oggi 12 maggio nuovo picco del gas naturale a 107).
Miliardi persi in esportazione di beni resi più costosi (grazie a fonti di approvvigionamento di materie prime non così economiche come la Russia).
Miliardi persi in una competizione economica di pricing con quelle nazioni che, invece, beneficeranno di prezzi “scontati” per le materie prime russe (prime tra tutti Cina e India).
Temo, e lo dico con preoccupazione, che la guerra del gas continuerà per anni. Ma solo il capitolo ucraino costerà, a noi europei, tra aiuti umanitari, armi e guadagni mancati, molto più di 200 miliardi di dollari.
Vuoi parlarne con me?
Sono @EnricoVerga su Twitter oppure trovami su LinkedIn