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Fondi a gestione attiva e passiva: contrapposizione o collaborazione?
Qualche tempo fa ho partecipato a Consulentia e mi sono goduto l’ennesimo scontro tra gestione attiva e gestione passiva.
Devo dire che è stato uno scontro di livello, a difendere la gestione passiva c’era un rappresentante di Vanguard – che la gestione passiva l’ha praticamente inventata – e per l’attivo c’era il responsabile Italia di Alliance, società che si occupa appunto di gestione attiva.
Oltre a loro sul palco c’era un professore che insegna mercati finanziari all’università e che ha presentato una ricerca sui risultati delle gestione attiva e passiva. Ricerca a mio avviso molto discutibile, ma ora non mettiamo troppa carne al fuoco.
Del professore me ne occuperò tra poco, adesso voglio andare subito al sodo.
Meglio il passivo o meglio l’attivo?
Per trovare la risposta giusta basta cambiare la congiunzione.
Non attivo O passivo, ma attivo E passivo!
I due stili di gestione non sono in contrapposizione ma possono (dovrebbero, nella maggior parte dei casi) collaborare per ottenere rendimenti migliori.
Bene, sono partito dalla fine, ma per capire il perché è bene usarli entrambi, è necessario tornare all’inizio.
Per prima cosa dobbiamo partire dallo stile e dagli obiettivi dei due approcci.
I fondi passivi sono nati con l’obiettivo di rendere accessibile a tutti, velocemente e a bassissimo costo, un portafoglio molto ben diversificato.
In pratica i fondi passivi cercano semplicemente di replicare un indice, come ad esempio lo S&P500, avendo come unico obiettivo quello di ottenere le stesse performance.
I fondi attivi invece nascono dall’idea che sia meglio avere qualcuno che selezioni le azioni migliori, non compro tutte le azioni dell’indice, come fa il fondo passivo, ma prendo solo il meglio. Per valutare poi la qualità del gestore bisogna paragonare il rendimento del suo fondo con l’indice di riferimento, che in termine tecnico si chiama benchmark.
Come vedi la differenza è sostanziale, i sostenitori del passivo pensano che i mercati sono molto vicini all’efficienza e molto difficili da battere, quindi meglio risparmiare gli alti costi di una gestione attiva e accontentarsi di replicare l’indice, preoccupandosi solo di scegliere l’indice giusto.
I fondi attivi invece vendono l’idea che un gestore possa pescare dal cesto solo le mele migliori evitando quelle marce.
Certo se questo fosse vero non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto di scegliere un fondo attivo, ma alla luce dei non incoraggianti risultati che i fondi attivi hanno ottenuto negli ultimi anni, la domanda sorge spontanea..
Un gestore è effettivamente in grado di battere il mercato?
A dire il vero la risposta è complessa e i fattori da tenere in considerazione sono diversi, tuttavia se avete letto l’articolo che ho scritto di recente sulle scimmie sapete bene quanto sia difficile battere il mercato ed è ancora più difficile trovare, a priori, gestori capaci di raggiungere questo obiettivo. Con buona pace dello studio del professore universitario che ha disperatamente cercato di dimostrare il contrario. Ora però non è ancora il momento del professore, mi occuperò di lui tra pochissimo, prima voglio sgombrare il campo da un legittimo dubbio.
I fondi con gestione attiva hanno ancora senso di esistere?
Certamente Sì!
Su questo non ho nessun dubbio!
Senza i gestori attivi si perderebbe la funzione principale dei mercati finanziari che è quella del Price Discovery, ovvero trovare il prezzo corretto delle varie società. Senza questo prezioso lavoro tutte le società sarebbero uguali, da Mas4 a Tesla, da Google a Pizza&Fichi Asset Management e via dicendo.
Il ruolo dei gestori attivi e degli analisti è fondamentale, indispensabile al funzionamento stesso dei mercati e dell’economia moderna.
Questo ci tenevo a chiarirlo, anche perché non vorrei mai che qualcuno potesse pensare che io ce l’abbia con la gestione attiva, considerato il fatto che sono un gestore attivo io stesso. Semmai ce l’ho con chi spaccia la gestione attiva per quello che non è, vedendola come una soluzione adatta a rispondere a tutte le domande.
Chiarito questo, finalmente, mi posso occupare del professore.
Sin dalla partenza del suo intervento ho capito che sarebbe andata a finire male.
Infatti è partito dicendo che è sufficiente vedere la performance degli ultimi 5 anni per selezionare facilmente i gestori capaci. A dimostrazione di ciò ha fatto vedere che prendendo i fondi attivi con sovra performance dal 2012 al 2017 sul mercato americano si avrebbe avuto il 70% di probabilità di vedere sovra performance realizzate anche nei successivi 5 anni. Quindi a suo dire, trovare gestori in grado di battere l’S&P500 è facile come bere un bicchier d’acqua.
Sono caduto dalla sedia.
A parte che se battere i mercati fosse così semplice non staremmo qui a dibattere da anni sul ruolo e sulla funzione della gestione attiva, ma ciò che è più clamoroso è che ha portato l’esempio del mercato americano, ovvero il mercato più efficiente al mondo e per questo oggettivamente il più difficile da battere. I gestori in grado di avere una performance migliore dell’indice stesso si contano sulle dita di una mano.
Attenzione, questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare a cercare gestori attivi in grado di aggiungere valore, ma sicuramente ha molto più senso cercare un gestore su classi di attivo meno efficienti. Quindi evitiamo di cercare un gestore attivo per l’S&P500 e andiamo magari a cercarne uno su obbligazioni emergenti e High Yield.
Per tornare alla domanda iniziale, attivo o passivo? La risposta sta in una combinazione di gestioni attive e passive che rendano il proprio portafoglio efficiente sia da un punto di vista dei costi, del risultato atteso e del trade off rischio rendimento. Una regola semplice potrebbe essere: passivo per mercati core efficienti, attivo per strategie alternative e mercati meno efficienti.
Ma torniamo al nostro professore.
Un altro punto che non mi ha convinto del suo intervento è stato quando ha spiegato che i gestori non possono essere ritenuti responsabili delle commissioni di gestione che vengono fatte pagare.
A sostegno della sua tesi ha detto che non è giusto imputare al gestore il costo di vendita del prodotto che lui crea, e aggiungo io, sarebbe come se un ingegnere della Ferrari fosse ritenuto responsabile, e quindi giudicato, a seconda del prezzo a cui viene venduta la macchina.
In questo caso, sono completamente d’accordo a metà (citazione) con il caro professore.
Nella presentazione ha messo in evidenza come tre gestioni identiche, vendute però a prezzi differenti, hanno risultati contrastanti.
Infatti i clienti retail, ovvero i fondi a cui noi tutti accediamo, pagano commissioni maggiori, mentre i clienti istituzionali, investendo grandissime somme di denaro, pagano commissioni molto basse.
Il professore ha fatto vedere come i prodotti riservati agli istituzionali battevano il mercato, non essendo appesantiti dai costi di gestione, mentre quelli riservati al retail erano perennemente in rosso, perché i vantaggi della gestione attiva non compensavano i costi più elevati.
Si potrebbe concludere che la gestione attiva è cosa buona e giusta, visto che effettivamente riesce a fare meglio del mercato con costi contenuti!
Il problema sta nel fatto che ai risparmiatori interessa veramente poco che il gestore sia bravo o meno, se alla fine dei conti loro non ne traggono nessun beneficio diretto.
Tuttavia, voglio spezzare una lancia per il nostro professore. Infatti, come probabilmente saprete, sono stato responsabile della gestione attiva di 150 miliardi, e devo ammettere di aver sempre pensato, in linea con il prof, che non fossimo responsabili del costo applicato alla clientela. Il nostro obiettivo era di fare meglio dell’indice, punto.
Questo sembra essere molto comune e condiviso, ma, ad oggi, mi sento di dissentire. Non perché in generale sia giusto far pesare quei costi sui gestori, ma perché così facendo, saremo in grado di cambiare un sistema sbagliato, che vede i piccoli investitori pagare dei costi spropositati.
Sono 20 anni che si parla di far scendere i costi dei fondi attivi in Italia senza successo. Sono convinto che allineando gli incentivi dei gestori, sarebbero loro i primi a spingere per abbassare il costo delle classi retail o quantomeno rendere trasparente la differenza tra costo di gestione e costo di distribuzione.
Obiettivi comuni portano a vantaggi comuni, è ora che anche l’industria finanziaria se ne accorga.
Articolo a cura di Giorgio Carlino co-fondatore di Mas4-Institute for Personal Finance