categoria: Res Publica
Energia, opportunità nel mezzo delle difficoltà: sarà la volta buona?
Post di Lisa Da Re, Risk Security & Business Continuity Expert in BNPP Leasing Solutions e corsista EMBA Ticinensis –
“Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità”, afferma una frase attribuita ad Albert Einstein ed in queste ultime settimane di tensione non possiamo che affidare le nostre speranze al pensiero del fisico tedesco. Il conflitto Russo-Ucraino sta preoccupando non solo per il possibile e catastrofico scenario di guerra in Europa ma anche per le pesanti conseguenze in campo energetico e climatico. In una singola giornata di guerra il costo del petrolio europeo (Brent) è salito sopra i 100 dollari al barile, avvicinandosi al record di 147,50 dollari raggiunto nel 2008 ed il prezzo del gas è volato ai massimi storici. Oggi resta attorno ai 110 dollari.
La Russia si impone con la forza in Ucraina e gioca il suo ruolo in Europa come uno dei principali tre fornitori mondiali – insieme a Stati Uniti e Arabia Saudita – di combustibili fossili.
L’Italia è, purtroppo, fra i Paesi europei con la più alta dipendenza energetica dall’estero: l’anno scorso il 77% del fabbisogno nazionale è stato importato, il 23% è stato soddisfatto dalla produzione italiana con un grande contributo delle fonti rinnovabili. Ricordiamo che solo dieci anni fa l’Italia produceva circa 17 miliardi di metri cubi di gas, oggi è ferma al 5% del nostro fabbisogno. Le importazioni riguardano essenzialmente i combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) e il nostro fornitore più importante è la Russia.
Il nostro legame con il gas russo inizia negli anni Settanta quando, come alternativa al caro petrolio mediorientale, sono stati conclusi importanti contratti d’importazione con l’Unione Sovietica. Nel 2010 l’Italia raddoppia la dipendenza dal gas russo, tralasciando una previdente politica di diversificazione dei fornitori.
Un recente studio dell’ISPI – Istituto per gli studi di politica internazionale – considera quanto gas utilizzato in Italia viene importato dalla Russia e la quantità di gas importato sul totale dei consumi nazionali. Considerando questi elementi l’ISPI ha creato un indice di vulnerabilità dal gas russo che va da 0 – la Svezia – a un massimo di 31 – l’Ungheria. L’Italia è caratterizzata da un valore di vulnerabilità di 19. La Germania ha un valore di 12 (grazie all’uso del carbone) e la Francia di 3 (perché utilizza l’energia nucleare, che soddisfa quasi i due terzi del suo fabbisogno elettrico).
Fino ad oggi il dibattito sull’indipendenza o minore dipendenza e sulla diversificazione dei fornitori non è mai stato seriamente affrontato. Malgrado i grandi proclami di investimenti in energie rinnovabili, i combustibili fossili rimangono la nostra principale fonte energetica. Negli ultimi anni l’opinione pubblica italiana ha mostrato sempre più interesse verso una politica di sviluppo sostenibile, basata sull’uso di energie alternative ed ha manifestato perplessità in relazione all’utilizzo eccessivo di combustibili fossili con conseguenti problematiche legate all’inquinamento o alle ripercussioni sul paesaggio. Ricordiamo tutti le proteste legate alle trivellazioni per l’estrazione di gas nell’Adriatico o il dibattito sulla reintroduzione dell’energia nucleare, concluso con il referendum abrogativo del 2011.
Oggi la grave situazione determinata dal conflitto russo-ucraino impone interventi urgenti di massimizzazione delle risorse interne e di diversificazione dei fornitori allo scopo di ridurre la dipendenza dal gas russo. Per fronteggiare l’attuale crisi energetica Francia e Regno Unito continuano ad investire nel nucleare mentre la Germania investe nel carbone e rinvia la chiusura delle sue centrali nucleari. Il governo italiano, come estrema ratio, inverte la tendenza degli ultimi anni e riapre le centrali a carbone che erano destinate allo spegnimento o alla riconversione, aumenta la produzione nazionale di gas e la richiesta di gas da Algeria e Libia, installa 3 nuovi rigassificatori galleggianti.
L’attuale emergenza ha comunque evidenziato anche la necessità, nel medio-lungo termine, di una autonomia energetica che riduca il nostro fabbisogno di combustibili fossili nel rispetto dell’ambiente. Se vogliamo trasformare tale difficoltà in opportunità, dobbiamo considerare questo momento come un punto di svolta ed accelerare l’investimento nelle energie rinnovabili come l’eolico e il solare.
La Commissione Europea, con il Green Deal, ci pone l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Per raggiungere l’obiettivo, l’Italia deve però installare 80 GW di fonti rinnovabili entro il 2030, ovvero installare circa 8 GW all’anno. Solo in questo modo si potranno ridurre del 55% le emissioni al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica.
Terna, il gestore nazionale della rete elettrica, ha comunicato che a fine Ottobre 2021 avevano ricevuto richieste di autorizzazione per impianti eolici e solari sulla terraferma (on shore) di 130GW e di pale eoliche in mare (off shore) di 22,7 GW per un totale di oltre 150 GW. Ne sarebbero bastati 80 GW per raggiungere il target del 2030 ma siamo riusciti a produrne solo 1 GW.
Le domande di fotovoltaico e di eolico oggi in lista d’attesa basterebbero a soddisfare il fabbisogno di energia rinnovabile.
Nonostante Terna abbia dato il permesso all’allaccio alla rete elettrica (primo step approvativo) per la maggior parte degli impianti proposti – l’85% (pari a circa 110 GW) per l’on shore e il 75% (circa 17 GW) per l’off shore – le richieste di autorizzazione attendono il parere di Regioni e Province.
Come spesso avviene in Italia, gli iter autorizzativi sono molto lunghi. Legambiente ha calcolato che per l’autorizzazione a realizzare un impianto eolico servono 38 autorizzazioni e finora ci vogliono in media 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa europea. Qualora l’impianto riuscisse a ricevere le approvazioni, servirebbe probabilmente un ammodernamento tecnologico e l’iter per la valutazione dell’impatto ambientale ricomincerebbe. La poca chiarezza fa nascere anche in questo caso opposizioni dei territori e nascono comitati come Nimby (Not In My Back Yard, ossia non nel mio giardino) e Nimto (Not in my terms of office, ossia non durante il mio mandato elettorale). Un esempio è l’unico progetto di eolico off shore realizzato nel mediterraneo a Taranto: iniziato 14 anni fa, delle 10 pale previste, oggi ne è stata costruita soltanto una perché la sovraintendenza si è opposta lamentando un impatto paesaggistico, in una città in cui ci sono decine di ciminiere dell’ex Ilva. Il dibattito tocca anche la realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici: l’installazione di impianti su larga scala può ridurre i terreni agricoli così come un utilizzo intensivo di dighe per l’idroelettrico potrebbe alterare l’equilibrio di vita dei pesci.
L’associazione di Confindustria, Elettricità Futura, che rappresenta il 70% del mercato elettrico italiano ha esposto una possibile soluzione: il settore elettrico investirebbe 85 miliardi di euro per installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili nei prossimi 3 anni. Ogni anno si installerebbero, quindi, 20 GW di rinnovabili; traguardo raggiungibile considerando che più di dieci anni fa, con una tecnologia poco sofisticata, abbiamo installato 10 GW in un anno. La proposta prevede la stipula di un contratto a lungo termine per l’acquisto dell’energia elettrica a 65 euro al megawattora per 20 anni. Considerando che oggi il costo dell’energia è di 280 euro/MWh, la proposta non sarebbe solo vantaggiosa per il prezzo, inferiore a quello di qualsiasi altra fonte di energia fossile e nucleare, ma anche perché non considera spese a carico dello Stato e permetterebbe di creare 80.000 nuovi posti di lavoro.
Elettricità Futura chiede al Governo delle azioni per garantire il successo dell’iniziativa: sbloccare entro Giugno gli iter autorizzativi ed individuare le aree idonee per la realizzazione degli impianti (per 48 GW di impianti fotovoltaici a terra servirebbero circa 48.000 ettari, il 0,3% della superficie agricola nazionale).
Risulta palese che per accelerare la transizione ecologica serva sicuramente accelerare la transizione burocratica. Come ogni transizione si tratta di un processo lungo ma è importante definire oggi la strategia e la pianificazione. Se nel breve periodo gli effetti dell’emergenza russo-ucraino possono essere mitigati solo con la massimizzazione delle risorse interne e la riduzione della dipendenza dal gas russo, il medio-lungo termine deve essere caratterizzato da una sempre maggior riduzione di combustibili fossili ed investimenti in rinnovabili. Nel mezzo delle difficoltà, riusciremo a far nascere opportunità? Sicuramente sarà un nuovo inizio, deve esserlo!
FONTI:
ISPI: Energia: 5 mappe per capire la crisi del gas
Statista: What Alternatives Does Europe Have to Russian Gas?
Focus: La guerra in Ucraina darà una spinta alle rinnovabili?
Sky tg24: ll governo sblocca sei parchi eolici: dove sono e quanta elettricità producono
Guardian: Ukraine war prompts European reappraisal of its energy supplies
Italy for climate: Risolviamo la grave crisi energetica con 60 Gw di rinnovabili autiorizzate entro giugno 2022