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Dietro il boom delle partite Iva le contraddizioni del Fisco
Post di Roberto Scurto, managing partner di PartitaIva24 –
Incoraggiare la nascita di partite Iva singole a scapito delle società. Questa sembra essere il credo dell’attuale sistema fiscale. Il rischio però è quello di produrre una eccessiva frammentazione mentre occorrerebbe sostenere la creazione di società per garantire una crescita sana del Paese. Secondo i recenti dati del Ministero delle Finanze (Mef), nel quarto trimestre 2021 si è segnato un aumento del 3,9% di partite Iva rispetto allo stesso periodo 2020, ma di queste solo il 4,2% è rappresentato da società di persone con il 60,7% delle nuove aperture di partita Iva operato da persone fisiche. Il regime fiscale attualmente in vigore con opzioni come quella del forfettario, per esempio, premia il piccolo lavoratore autonomo che opera da solo ma scoraggia le aggregazioni tra freelance e la nascita di società più competitive e di maggiori dimensioni. I singoli professionisti sono spaventati dal carico fiscale previsto per le società e preferiscono continuare a operare in autonomia, anche rinunciando a prospettive di crescita di medio periodo.
Questo si riflette in una decrescita del tessuto economico e sociale del Paese. Per ridurre questo divario, sarebbe opportuno introdurre un regime fiscale agevolato per le società di capitali almeno per i primi 5 esercizi, al pari di quanto previsto oggi con il regime forfettario per le partite Iva individuali; detassare con meccanismi più efficaci e impattanti il reinvestimento degli utili in azienda andando ben oltre rispetto a quanto oggi previsto dalla normativa ACE e rivedere i termini della contribuzione INPS sui cosiddetti soci lavoratori delle società di capitali che si trovano spesso a pagare personalmente fino a diverse migliaia di euro, anche quando la società non distribuisce alcun utile.
Questi tre punti diventano dirimenti perché stiamo assistendo a un radicale ripensamento delle modalità di lavoro. Secondo Elena Calvi, medico, psicanalista e formatrice “nel giro di circa sessant’anni siamo passati dal bisogno di sicurezza al desiderio di appagamento. È stato proprio durante i mesi di lockdown che abbiamo preso coscienza di questa necessità: l’essere rinchiusi in casa ha consentito a molti di noi di guardarsi dentro e chiedersi se vedevano una persona felice. La risposta per molti è stata negativa. Da qui l’aumento di desiderio e di autorealizzazione”.
Se la ricerca della flessibilità è un’esigenza che si è manifestata già da qualche anno, soprattutto in relazione alla conciliazione lavoro e vita privata sentita in particolare dalle donne occupate, oggi è molto richiesta soprattutto dai giovani neolaureati. E tutto questo è stato accelerato dalla pandemia. Secondo il nostro Osservatorio, nei primi due mesi del 2022 il 69% di chi ha aperto la partita Iva è rappresentato da professionisti/lavoratori autonomi (come ad esempio consulenti, grafici, architetti, web designer), il 17% da imprese individuali (commercianti, artigiani, ditte di servizi) e il 14% da e-commerce. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, segnaliamo un aumento di imprese e freelance (rispettivamente +4% e +12%) e un crollo delle nuove aperture di ditte individuali dedite all’e-commerce (praticamente dimezzati), a testimonianza di come intraprendere un’attività di questo tipo necessiti di grandi capacità e visione (e quindi di una formazione adeguata), con buona pace della vita dorata suggerita dagli influencer.
Questo significa che anche la politica deve dare risposte concrete alle nuove necessità che si stanno affermando. Che non si aspiri a vivere più per lavorare ma a lavorare per vivere non è più un mistero. Perché complice la pandemia che ha travolto la vita di questi ultimi due anni, la riflessione che sta coinvolgendo i più giovani – per usare delle sigle, la Generazione Z e i Millennials – è proprio sul lavoro in sé che, certamente, non deve invadere la vita. Non esiste più distinzione tra vita privata e vita professionale in questa continua fluidità nella quale siamo immersi con la complicità dei nostri smartphone ma esiste la vita, come serie di esperienze che ci possono più o meno arricchire ma che non fanno necessariamente rima con lavoro.
Esiste anche un acronimo anglosassone per indicare questa nuova tendenza: YOLO, you only live once. E quindi, per dirla in modo chiaro, il posto fisso non interessa più ai neo laureati che puntano tutto su sé stessi: fondano start up e cercano di innovare (e magari riusciranno anche a cambiare il mondo). Solo nel quarto trimestre 2021 sono state aperte 106.400 nuove partite Iva. Ben il 46,1% delle nuove aperture è stato avviato da giovani fino a 35 anni e il 31,7% dalla fascia di età 36-50 anni[1].
A dispetto di quanto si sia portati a credere, gli under 40 sono impegnati a combattere le loro battaglie per il clima, i diritti, un futuro migliore. Difficile immaginarli chiusi in un ufficio per l’intera giornata. Una recente analisi di CRIF sulle aziende costituitesi nel triennio 2018-2021 conferma questi dati e ha messo in evidenza la significativa crescita sia delle start-up innovative, che passano dalle 266.000 nel 2018 alle 305.000 nel 2021 (e segnano +40% nel 2021 rispetto al 2019), sia delle imprese neocostituite con un solo dipendente (+34% rispetto al 2019), assimilabile a un lavoratore che apre una sua partita Iva per lavorare come libero professionista, o fa nascere una sua attività imprenditoriale. Queste imprese nel 2021 sono arrivate a rappresentare fino al 93% del totale di tutte le neocostituite nell’anno. Insomma, non c’è più tempo da perdere.
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[1] MEF, Dipartimento delle Finanze, quarto trimestre 2021