Italia, momento critico. Le mosse da azzeccare e i libri da buttare

scritto da il 14 Aprile 2022

Nei prossimi due anni il ripristino degli equilibri mondiali verrà ostacolato da una crescita fragile, a rischio recessione. Troppe le difficoltà per poter incrociare le dita, chiudere gli occhi e sperare di farcela.

Ordine globale da ridisegnare. Lo scenario geopolitico è come un piatto della tradizione nelle mani di uno chef: scomposto da lasciare perplessi, conto (caro) in arrivo. Quando i carri armati russi hanno attraversato il confine ucraino è finita la Pax Americana. La guerra ha certificato una metamorfosi in atto da un decennio[i], le cui parole d’ordine sono ‘frammentazione’ e ‘competizione’. Si è aperta un’epoca nuova[ii], in cui la democrazia liberale – da tempo in crisi – traballerà sotto i colpi polarizzanti dell’autocrazia, e l’impero si riproporrà come alternativa socioeconomica allo stato nazione[iii].

Economia mondiale indebolita. Nuove ondate di protezionismo e nazionalismo fiaccheranno la globalizzazione. Le sanzioni ridurranno il commercio internazionale. I consumi soffriranno:  l’inflazione[iv] eroderà il potere d’acquisto delle famiglie. Stagflazione e incertezza freneranno gli investimenti. Le politiche economiche, di bilancio e monetaria – capaci di sostenere la domanda durante la pandemia – faticheranno[v] a coordinarsi. La crescita rallenterà, aumentando le probabilità di una recessione.

Europa meno rilevante, Italia ancor meno. Il declino geopolitico dell’Unione Europea (Ue)[vi] verrà accelerato dalla riduzione del suo contributo all’economia globale – soprattutto rispetto a Stati Uniti e Cina. Inevitabilmente, l’Italia uscirà dalla ‘top ten’ dei paesi ad alto Pil nominale, scendendo[vii] dall’ottavo posto nel 2022 al tredicesimo nel 2036.

È necessario cambiare marcia. Il contesto – più che in evoluzione – è in ‘rivoluzione’[viii]. Nei nuovi equilibri globali, i rapporti di forza conteranno più dei vecchi accordi. Gli Stati nazionali verranno confinati a ruoli più marginali; le medie potenze soffriranno le ripercussioni di scelte non loro. Se è vero che il carattere emerge quando la posta in gioco è alta, l’Italia deve essere capace di posizionarsi. Nel panorama geopolitico, deve saper al contempo coltivare il progetto europeo e relazioni bilaterali strategiche. In campo economico deve puntare sulla crescita, grazie alle riforme del ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’ (Pnrr o Recovery and Resilience Plan)[ix].

Purtroppo, nulla cambierà nel Bel Paese. A livello geopolitico, l’Italia rinuncerà a un ruolo di primo piano. Per il resto, è penoso tornare su cose scritte cinque anni fa: il circolo vizioso “stagnazione economica, governo debole, mancanza di riforme, alto debito” rimane lo scenario più probabile.

foto di Jonathan Bean per Unsplash

foto di Jonathan Bean per Unsplash

Il Pnrr non inciderà: poche riforme, poche risorse. Per tradurre le risorse del Pnrr in investimenti efficaci è necessario avviare un (noto) percorso di riforme strutturali. Pur obbligata dall’Europa, l’Italia non sarà in grado di farlo, e il Pnrr rimarrà sulla carta. Sinora governo e parlamento hanno adottato i provvedimenti e gli atti legislativi più facili[x]. Ben presto, la crisi provocata dalla guerra diventerà pretesto di rinvio[xi] delle decisioni più difficili. Il ‘conflitto esterno’ verrà usato come scusa per evitare il ‘conflitto interno’ che le riforme comportano – e per mantenere lo status quo. Arriveranno meno risorse rispetto alle attese.

Risultato: irrilevanza e ‘accettazione di fatto’ di un ruolo periferico. Per l’Italia, nel trasformato sistema internazionale, la collocazione odierna comporta rischi concreti di arretramento. A livello globale, i giochi li faranno Stati Uniti e Cina. In Europa, Germania[xii] e Francia. L’Italia rischia di non sedersi neppure al tavolo. La storia recente è già cronaca di una leadership perduta; in assenza di uno scatto d’orgoglio, il trend sembra ineludibile.

L’Italia deve capire il contesto per migliorare il proprio posizionamento … A livello internazionale, solo visione, strategia e leadership possono creare i presupposti per riavviare l’economia e ripensare la democrazia, coniugandola con la globalizzazione. È interesse dell’Italia che l’Ue diventi un leader globale, ridefinendo il proprio rapporto con gli Stati Uniti e la Cina, ma anche con la Russia e con il Regno Unito post-Brexit. La vulnerabilità della collocazione geografica[xiii] della Penisola va trasformata in un ‘atout geopolitico’, che consenta al governo di gestire i propri interessi strategici[xiv], mantenendo indipendenza e influenza.

… e costruire il proprio futuro. A livello nazionale, l’Italia deve definire le proprie priorità e assumersi maggiori responsabilità[xv]. Oltre ad adottare le riforme del Pnrr, nei prossimi due anni il governo deve: 1) risolvere l’odierna incompatibilità tra le politiche energetiche e quelle di sicurezza, riducendo la dipendenza energetica (fra le più alte in Europa e freno allo sviluppo[xvi]); e 2) attrarre investimenti migliorando la competitività, per aumentare la crescita potenziale di lungo periodo.

Nel caos che distrae, bisogna fermare il pensiero sull’essenziale. Continuare a fare ‘ciò che si è sempre fatto’ non conviene; vivere di rendita, aggrappati al passato, sarebbe un lento suicidio[xvii], perché nel frattempo i rischi aumentano e l’economia viene esposta a potenziali shock avversi[xviii]. Se elevata a sistema, la mentalità dell’“io speriamo che me la cavo” porterà al naufragio o all’irrilevanza – che è lo stesso.

 

Twitter @AMagnoliBocchi

Linkedin Alessandro Magnoli Bocchi

 

NOTE 

[i] Il dominio dell’Occidente è minato da invecchiamento della popolazione, mancanza di materie prime, politiche energetiche incompatibili con quelle di sicurezza, flussi finanziari e migratori mal ponderati.

[ii] Due libri possono essere buttati senza rimorsi: 1) “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama, secondo cui il processo di evoluzione dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice irreversibile con la caduta del muro di Berlino e l’avvento della democrazia liberale; e 2) “Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo” di Thomas Lauren Friedman, in cui l’autore descrive la globalizzazione come un fenomeno evolutivo che comporta l’inarrestabile appiattimento del mondo.

[iii] Arrivano alla stessa conclusione autori di diversa estrazione ideologica, quali: 1) Niall Ferguson (“Empire: How Britain Made the Modern World”, London: Allen Lane, 2003); e 2) Michael Hardt e Antonio Negri (“Empire”. Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2000).

[iv] Uno shock dell’offerta ha causato l’accelerazione dei prezzi delle materie prime, su tutte energia e cereali. Il valore del petrolio (Wti e Brent) si è attestato al sopra dei 100 dollari al barile, il livello più alto dal 2008 – mentre il gas è volato al massimo storico di 225 euro. Il prezzo del grano e del mais hanno stabilito nuovi record sui mercati europei, rispettivamente a 351,25 e 340 euro per tonnellata. Non finirà presto: Russia e Ucraina sono il primo e il quinto esportatore mondiale di grano; insieme rappresentano un terzo delle esportazioni mondiali. L’Ucraina è il terzo produttore al mondo di frumento e, assieme alla Russia, arriva a un quarto della produzione mondiale.

[v] La politica fiscale ha le mani legate: al debito pubblico della ‘lotta al Covid’ si aggiungeranno: 1) spese energetiche e militari inaspettate; e 2) la necessità di ridurre la pressione fiscale (i.e. l’Irpef) sulle classi di reddito medio basse. La politica monetaria ha spazi di manovra assai ridotti: se aumenta i tassi riduce la crescita e se non li aumenta spinge l’inflazione.

[vi] Ad oggi, nell’Unione europea vive il 6 per cento della popolazione mondiale, si produce il 22 per cento del prodotto interno lordo (Pil) globale e l’euro – la valuta di 19 dei 28 paesi dell’Ue – è il secondo mezzo di pagamento negli scambi planetari.

[vii] Il Pil pro capite è ridisceso ai valori del 1995. Gli ultimi dati confermano che la stagnazione è dovuta a rigidità strutturali: 1) l’invecchiamento della popolazione riduce i consumi; 2) alti livelli di debito – pubblico e privato – limitano gli investimenti e la crescita della produttività; e 3) innovazione e competitività sono al di sotto della media europea.

[viii] Trattati e confini ignorati, violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, ritorno della minaccia nucleare.

[ix] L’Italia sarà il principale beneficiario dei fondi europei per un totale di 191,5 miliardi di euro, tra risorse a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato. Da qui al 2026, per ottenere i fondi (suddivisi in 10 rate), l’Italia dovrà realizzare 520 obiettivi. Quasi un terzo (154 su 520) degli obiettivi sono riforme, tra cui 59 leggi.  I 51 obiettivi sinora conseguiti sono ‘di facile attuazione‘ e hanno permesso la richiesta di pagamento della prima rata (24,1 miliardi di euro, di cui 11,5 in sovvenzioni e 12,6 in prestiti) alla Commissione Europea. Nel 2022, per assicurarsi seconda e terza rata dei fondi (in tutto 40 miliardi) il gioco si farà duro: le riforme da approvare sono 66 (23 con atti legislativi e 43 con atti normativi secondari, concentrati per lo più nel secondo trimestre del 2022) e gli obiettivi da raggiungere 102 (47 nel primo semestre e 55 nel secondo). Per esempio, entro: 1) il 30 giugno 2022 sono previste la riforma del ‘Codice degli Appalti pubblici’ (tramite approvazione della legge delega) e la riforma della ‘Carriera degli insegnanti’; 2) il 31 dicembre è prevista l’adozione della ‘Legge annuale sulla concorrenza’, con provvedimenti nei campi: i) delle reti di telecomunicazione; ii) delle reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale; iii) della gestione dei porti; e iv) delle concessioni autostradali.

[x] L’ultima relazione dal Parlamento sullo ‘stato di attuazione’ (del dicembre 2021 – Tabella 2, pagina 49) parla chiaro: sinora ci si è concentrati su “piani operativi e di riorganizzazione, assunzione degli esperti, decreti interministeriali, entrata in vigore di linee guida, legislazione attuativa, modifiche legislative, norme”. Se è andata bene è stata fatta una riforma del quadro giuridico (condizione necessaria ma non sufficiente). La parte difficile – quella in cui vanno fatte le scelte ingrate – deve ancora venire.

[xi] Va ammesso: il quadro economico e politico cui il Pnrr si riferisce è cambiato a causa di variabili esogene: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, i costi delle materie prime. Tuttavia, la prima fase di attuazione del Pnrr ha già mostrato criticità evidenti: incapacità delle amministrazioni locali (soprattutto al Sud), necessità di dotare i comuni di risorse professionali esterne (per esempio, per essere in grado di partecipare ai bandi), ritardi di molti progetti, costi più alti. Gli iter burocratico-legislativi rimangono troppo lunghi: per esempio, per la ‘Riforma del pubblico impiego’ (DL n. 80/2021), prima deve “entrare in vigore la legislazione attuativa” (2021), poi devono essere “adottati i provvedimenti attuativi e organizzativi conseguenti” (2022). Lo stesso vale per gli altri settori chiave: lavoro, giustizia, turismo, salute, transizione ecologica.

[xii] In assenza di riforme, la progressiva condivisione dei rischi a livello europeo – attraverso meccanismi quali (o simili a) gli Eurobonds, l’unione bancaria e lo schema unico di assicurazione dei depositi – rafforzerà Germania e Francia. Il processo sarà lento e implicito: per esempio, la Germania accetterà la mutualizzazione senza dichiararlo esplicitamente, e i soldi tedeschi arriveranno in cambio di un consolidamento della leadership di Berlino.

[xiii] L’area compresa tra Mediterraneo occidentale (Marocco, Algeria, Libia), confini sud-orientali dell’Unione Europea (Turchia, Ucraina, Georgia) e Golfo (Arabia Saudita, Iran) è tanto fragile quanto strategica per: 1) la sicurezza energetica; 2) il controllo dei flussi migratori; 3) la lotta al terrorismo; e 4) la gestione delle crisi.

[xiv] Per esempio, promuovere (con strumenti multi e bilaterali) sicurezza, diritti umani e sviluppo economico.

[xv] Sono necessarie una visione di lungo periodo delle scelte chiave, la volontà politica di attuarle in tempi rapidi e la decisione di dotarsi delle risorse umane adeguate. Per sviluppare il paese e garantire coesione non è sufficiente rivendicare diritti, ci vogliono i doveri. I valori prevalenti – egalitari e comunitari – vanno integrati con valori altrettanto importanti: l’etica del lavoro, il merito, il civismo e la responsabilità sociale. Quasi fosse una nuova religione, bisogna iniziare a premiare chi crea valore aggiunto, assumendosi le responsabilità richieste dal proprio ruolo nella collettività.

[xvi] La dipendenza energetica dell’Italia è fra le più alte d’Europa. Nel 2021, il 77 per cento del fabbisogno è stato soddisfatto da importazioni di combustibili fossili (gas, petrolio e carbone) e solo il 23 per cento da fonti energetiche nazionali (principalmente rinnovabili). Per soddisfare il proprio consumo di combustibili fossili (di cui solo il 5 per cento è coperto da produzione nazionale), l’Italia dipende dalla Russia (25 per cento del consumo), Algeria (15 per cento), Azerbaijan (13 per cento) e Libia (9 per cento). Rispetto alla media europea, l’Italia – che non impiega energia nucleare – presenta un maggiore consumo di gas (39 per cento del totale), petrolio (35 per cento) e di fonti rinnovabili (19 per cento) ma un minor consumo di carbone (5 per cento).

[xvii] Il vivere di rendita comporta Disneyzzazione. Commercializzare vestigia di uno splendore costruito da antenati più laboriosi è strategia miope. Se il capitale è la bellezza (anche svuotata d’identità) e la propensione al rischio rimane minima, verranno privilegiati i “buoni guadagni senza troppi sforzi”: paesaggio, cultura e tradizioni verranno venduti al turismo di massa. Tuttavia, “vendere” gloria passata – senza investire per costruirne di nuova – rischia di far diventare l’Italia una Disneyland delle classi medie dei paesi emergenti, i cui flussi sono in continua crescita.

[xviii] Conflitti e tensioni geopolitiche, deglobalizzazione, turbolenze sui mercati finanziari, erosione dei diritti, possibili crisi sociali, inquinamento di aria e acqua e degrado ambientale richiedono nuove politiche economiche. Dovesse la politica monetaria della Banca Centrale Europea (Bce) diventare restrittiva, la stabilità finanziaria del Paese potrebbe essere a rischio.